tag:blogger.com,1999:blog-31850414793257391762024-02-21T06:49:39.071-08:00Allontaniamoci da OmelasVincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.comBlogger134125tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-4339838464604159242018-10-22T12:38:00.000-07:002018-10-22T13:22:35.110-07:00Roberto Bolaño - Lo Spirito della Fantascienza<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<div style="text-align: justify;">
<div class="MsoNoSpacing">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Il primo approccio con Bolaño è spiazzante, ma non meno affascinante: la sua scrittura pare disperdersi in derive narrative ramificate, in ogni dove; pare smarrirsi in variegate suggestioni affabulatorie, nella ricerca di arabeschi stilistici e bizzarrie umane, letterarie e urbane; pare distrarsi nella costruzione di personaggi strani, improbabili, fuori o ai margini della società reale. Tuttavia non è così – non è completamente così: nel pieno di una lunga tirata tra il visionario e l’assurdo Bolaño può incuneare all'improvviso una raffica di considerazioni che fotografano con disillusa, feroce precisione il nostro mondo e l’umanità che lo popola: il surreale, l’improbabile, il visionario di Bolaño sono lo specchio, o ancora meglio la chiave interpretativa del reale. Un reale certo lontano dalla prosa realistica, dal quotidiano della cronaca: un reale che si sfalda di senso e di struttura, il reale di vite che si fanno narrazione e invenzione letteraria. Un reale dickiano: pur citato solo di sfuggita, Philip Dick aleggia sulle pagine del romanzo: un aleggiare nascosto, sotteso: un aleggiare di senso. Dick più dei molti altri grandi scrittori americani di fantascienza ai quali Bolaño si rivolge “direttamente” è modello di un comune sentire la realtà e la narrativa: oltre l’apparenza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWyxq7jUy_wMFlB9Et27cgkrWx8zIJe7rHgscaMp3ZLE-XYxQN49tm5HfhUDNGT09cFHficyMnFz_gnxUnZlbITKt8tm3_UznTpKgC91CwmOF7oERDV_4O9DX2mMI9Ghs4VrX6HwCbm61_/s1600/Bolano.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="648" data-original-width="980" height="131" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWyxq7jUy_wMFlB9Et27cgkrWx8zIJe7rHgscaMp3ZLE-XYxQN49tm5HfhUDNGT09cFHficyMnFz_gnxUnZlbITKt8tm3_UznTpKgC91CwmOF7oERDV_4O9DX2mMI9Ghs4VrX6HwCbm61_/s200/Bolano.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Roberto Bolaño</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br />
</span></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">L’alternarsi dei piani narrativi e delle sottotrame è inizialmente faticoso da seguire, per poi divenire parte del gioco e della sua bellezza: nel rincorrersi dei personaggi e delle storie, nell’irrompere di nuovi personaggi e nell’affievolirsi e perdersi di altri, Bolaño costruisce un labirinto dove il lettore si perde, si ritrova, si perde di nuovo e infine si ritrova ancora in un percorso di scoperta, crescita e iniziazione che segue, anticipa e suggella il medesimo percorso dei personaggi principali, Jan e Remo, entrambi probabili (uno sicuro) alter ego dell’autore, adolescenti cileni che vivono una vita orfana nella Città del Messico degli anni ’70 (e ’80). Una Città del Messico che ai nostri occhi si </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">mostra paradossale, più fantastica di un futuro di Philip Dick, ma della quale, al di sotto della tramatura visionaria di cui la riveste Bolaño, si percepiscono nettamente il ribollire umano e culturale e le complesse stratificazioni sociali, le diversità molteplici trai suoi abitanti, il divenire in essere della sua anima urbana. In questo senso è esemplare il breve capitolo conclusivo del romanzo, Manifesto messicano, storia nella storia all’apparenza sospesa tra triviale quotidiano – anzi un quotidiano assai triviale - e fantasia erotica immaginaria nella quale si rinvengono i poli contrapposti del desiderio e della noia dello sperimentare, del vivere intensamente e del lasciarsi vivere trasportati dalla corrente; in ultima analisi le mille contraddizioni dell’adolescenza e di quella sua per molti lunghissima continuazione che è l’età adulta. </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsdvRFjxP2wgtq3f8lrI97LgcsaVYoxPaOvxk2kqypaWR7KAKsee2zWvAN0PwibivYjUXV3wYwmN4v1-cnqkMN2_VvkNt_Mhn7EtOCCQNs0CBYUtzdGggh3hHTJNnQMEOvTjXXEfa-T8QF/s1600/Spirito.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="943" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsdvRFjxP2wgtq3f8lrI97LgcsaVYoxPaOvxk2kqypaWR7KAKsee2zWvAN0PwibivYjUXV3wYwmN4v1-cnqkMN2_VvkNt_Mhn7EtOCCQNs0CBYUtzdGggh3hHTJNnQMEOvTjXXEfa-T8QF/s320/Spirito.jpg" width="203" /></a></div>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br />
</span> <br />
<div class="MsoNoSpacing">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Perché il titolo, dunque, che è il medesimo in originale, al di là delle lettere fittizie indirizzate ai vari Fritz Leiber, Robert Silverberg, Ursula Le Guin, Alice Sheldon e agli altri ai quali Bolaño si rivolge attraverso Jan (non a Dick, che doveva essere morto da poco quando Bolaño scrisse il grosso del romanzo)? Di certo non per un semplice omaggio agli autori inseriti nel tessuto del libro come una vera e propria cornice dei racconti, e a una letteratura evidentemente ben conosciuta e molto amata; e neppure perché il romanzo verta in qualche modo sulla letteratura di fantascienza o nel romanzo si compia un’analisi del genere e delle sue voci principali coeve. Al di là della “bellezza” in sé del titolo, della sua suggestività e delle suggestioni che esso suggerisce, dei rimandi interni che esso trova nelle pagine del libro, lo “spirito della fantascienza” è l’essenza stessa dell’opera, della sua struttura e della sua scrittura: da sempre sfuggente ed elusiva, la definizione di “fantascienza” emerge con nitidezza dall’osservazione del dipanarsi e continuo riavvolgersi dei percorsi narrativi del romanzo; dal denso nucleo del bildungsroman che si coagula dai mille rivoli che sfilacciano, riallacciano, costruiscono e infine costituiscono il racconto; dal continuo scambiarsi di ruolo tra immagine visionaria e fotografia del reale – che si tratti dell’animo umano, della fauna umana o del panorama urbano. La fantascienza è nelle sfaccettature di una realtà che si rivela prismatica, spesso ingannevole, quasi sempre criptata; mai monocromatica, sincera, nitida. All’apparenza: a occhi non allenati, occhi ciechi che si lascino travisare dall’irrilevante. Come illustra perfettamente il suo Spirito.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
</div>
</div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-6922014254672498982014-04-13T08:17:00.001-07:002014-04-13T08:17:33.762-07:00I contemporanei – Soluzione infernale (Hell of a fix - 2009) di Matthew Hughes (n.1949)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFou0Lkonoc-lHgsbGU9ksVh3eEwlfp0ybAvBvai3esO7Krv76PJ2sLc7_If_ctyfJpeezE6xy_dFgROaZ-t7jcSeMgmKT6ewZqBKkYdovmh_7ATdqWjFUWrClH02NAXp2vHk8wXKN8NnO/s1600/matthew_hughes.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFou0Lkonoc-lHgsbGU9ksVh3eEwlfp0ybAvBvai3esO7Krv76PJ2sLc7_If_ctyfJpeezE6xy_dFgROaZ-t7jcSeMgmKT6ewZqBKkYdovmh_7ATdqWjFUWrClH02NAXp2vHk8wXKN8NnO/s1600/matthew_hughes.jpg" height="200" width="193" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
percorso in autobus fino al lavoro fu placido in maniera surreale. Nessuno che
si spintonasse per essere il primo nella fila, e Chesney vide addirittura un
adolescente cedere il suo posto a una vecchia signora. Il traffico era pacato,
i taxi davano la precedenza e nessuno passava con il rosso. </span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ed è
così che capiamo di essere in una storia di fantascienza – anzi: fantasy <i>tout court</i>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Scherzi a parte.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il fascicolo n.7
dell’edizione italiana di Fantasy&ScienceFiction, operazione a dir poco
meritoria e azzardata mandata in edicola dall’editrice Elara (e meritoria
quanto azzardata, cioè tantissimo), si era aperto con un racconto agghiacciante
di Ken Liu: <i>Letteromante</i>.
Agghiacciante per la durezza e crudezza del suo contenuto, per lo sguardo
totalmente disincantato dell’autore cinese naturalizzato americano sulla realtà
della nostra umanità. Un racconto splendido, ma il cui contenuto fantastico è testimoniato
unicamente dalla sua pubblicazione su una delle più antiche e belle riviste che
hanno elaborato l’immaginario fantastico e fantascientifico dello scorso
secolo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXMHSfWrp6SUkxifHUNndRV2g4_4wflnYhLaMpWhkGkgnx-0m6-owkSq6eBIaqCmpcln_jMRKMWyM9MwWQFXMc1RJqfY8_cAw8ZsjMknWlwfn4jtCrpYGN0lo2r3DWkcFioxVO2qH9RHql/s1600/fantasy_and_science_fiction_elara_7.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXMHSfWrp6SUkxifHUNndRV2g4_4wflnYhLaMpWhkGkgnx-0m6-owkSq6eBIaqCmpcln_jMRKMWyM9MwWQFXMc1RJqfY8_cAw8ZsjMknWlwfn4jtCrpYGN0lo2r3DWkcFioxVO2qH9RHql/s1600/fantasy_and_science_fiction_elara_7.jpg" height="200" width="133" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sull’appartenenza del
racconto di Hughes al campo del fantastico, più che uno specifico
fantascientifico, non vi è invece dubbio alcuno. E, volendo spaccare il capello
in quattro e mettersi a fare i tristi etichettatori di storie, la trattazione
satirica e laica che egli fa della mitologia angelica e demoniaca (per tacere
dell’innominata divinità del racconto e della speculazione sul libero arbitrio)
è tuttavia più inclinata verso la fantascienza che non la fantasy. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tono e registro sono quanto
di più lontano da quelli di Liu, alla cui liricità (nella prima parte di <i>Letteromante</i>) e scabrosa tragicità
(nella seconda) Hughes sostituisce l’aerea leggerezza della sua sferza satirica
e un cinismo divertito e sornione. Lo sguardo di Hughes non è tuttavia meno
ampio di quello di Liu, né meno profonde le sue riflessioni sull’uomo. E sebbene
tali riflessioni appaiano più banali, più scontate e a buon mercato, le parole
di Hughes pizzicano in realtà con grande sapienza i nervi più scoperti delle
male abitudini, dei malvezzi, delle piccole e grandi meschinità che trapuntano di
fragile umanità le vite e i comportamenti di noi esseri umani. Le parole di
Hughes penetrano altrettanto in profondità sotto la pelle dell’uomo<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Le parole di Hughes hanno la
sapidità di quelle dei grandi moralisti del passato. Ché oggi moralista è un
termine di pessima stampa, ma un tempo (e nel suo più autentico significato)
soleva indicare chi con la sua acutezza nell’analizzare la società e riflettere
sui comportamenti umani sapeva indicare quelli migliori per una convivenza
umana serena e solidale. Con i preti (di ogni genere) che oggi se ne arrogano
il monopolio, per la morale e il moralismo sono tempi francamente grami.
Vabbe’. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzyXEm1TSv9tEZyuo3Ai_rcNG9EKKoTJjlHC_MPaYCKVLOov1AhWN5sy6e9WuGmZax7voT97roiLXYwC5kw2yIMdXaKfqOpfywfYnesIKhg15EFbX3Mry5s9YAGVL_XE4bdTVG7Z20SBCg/s1600/jack+vance+abbastanza+giovane.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzyXEm1TSv9tEZyuo3Ai_rcNG9EKKoTJjlHC_MPaYCKVLOov1AhWN5sy6e9WuGmZax7voT97roiLXYwC5kw2yIMdXaKfqOpfywfYnesIKhg15EFbX3Mry5s9YAGVL_XE4bdTVG7Z20SBCg/s1600/jack+vance+abbastanza+giovane.jpg" height="200" width="166" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Un giovane Jack Vance, autore<br />prossimo alla sensibilità di Hughes</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Se Hughes è variamente descritto e indicato,
ivi compreso il suo profilo su Wikipedia, come un erede tutt’altro che indegno
di Jack Vance (e il suo romanzo <i>Guth Bandar Esploratore della Noosfera, </i>apparso in Italia per Delos Books può
testimoniare la fondatezza dell’assunto); non di meno nel suo editoriale
al settimo fascicolo di F&SF, Armando Corridore definisce <i>swiftiana </i>questa ispirazione satirica
del racconto di Hughes (e appunto Swift fu certamente tra i grandi moralisti
del passato). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pur senza voler troppo oltre scomodare
il grande irlandese o il C.S.Lewis delle <i>Lettere
di Berlicche </i>non vi è dubbio che <i>Hell
of a fix </i>risenta, beneficamente, dell’opera di Swift. O che quanto meno sia
accostabile a un altro <i>divertissement </i>“diavolesco”
di un grande autore di fantascienza del passato: Isaac Asimov con il suo
Azazel. I fulminanti racconti che Asimov dedicò al suo demonio in formato
tascabile abitano molto di più il versante puramente umoristico e i territori
del funambolismo logico e linguistico; laddove la riflessione che Hughes
propone nelle due direzioni della natura umana e dei meccanismi della creazione
narrativa è senza dubbio molto più analitica e approfondita. Con Azazel Asimov
dava libera voce e libero sfogo alle immaginifiche profondità dell’<i>Homo ludens</i> (dell’<i>Asimov ludens…</i>) senza proporsi di scendere in profondità; in questo
racconto Hughes si sofferma sui meccanismi psichici profondi di quell’uomo che
gioca (e narra), e sulle regole e i percorsi della sua creatività. Oltre a
scatenare una nobile vena moralista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU2_qgN9xs6mVCxr6pc6SBzRMggyfPRK8HStxc3WEZ7LeLwjqMAZuYYLzjg-Ix3yqG8f3gNQV_pxEOT1F-9N-G_BMTeSPHJvdhsTiiUqbdZpPAcDxeytp5zFivmMiS14hBcDlC-y5p_2wC/s1600/isaac-asimov-1940web.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU2_qgN9xs6mVCxr6pc6SBzRMggyfPRK8HStxc3WEZ7LeLwjqMAZuYYLzjg-Ix3yqG8f3gNQV_pxEOT1F-9N-G_BMTeSPHJvdhsTiiUqbdZpPAcDxeytp5zFivmMiS14hBcDlC-y5p_2wC/s1600/isaac-asimov-1940web.jpg" height="200" width="174" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Isaac Asimov sui vent'anni</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La trama è presto riassunta:
Chesney Arnstruther fa una cavolata e all’Inferno entrano in sciopero; con
conseguenze devastanti sulle attività dell’umano consorzio civile. Per essere
più giusti e precisi, Chesney si trova coinvolto suo malgrado in un quasi
kafkiano <i>cul-de-sac</i> originato dalla
stolidità della burocrazia infernale – stolida come ogni burocrazia compiuta
che si rispetti: ciò che è molto più in sintonia con il tono del racconto e i
suoi intenti. Si noti <i>en passant</i> come
il nome del protagonista suoni molto asimoviano: chiaramente dell’Asimov dei
racconti di Azazel. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Chesney è un protagonista assolutamente
tipico di certa letteratura popolare, certo cinema, certa televisione americana
e più in generale anglosassone. È tutt’altro che uno stupido, Chesney, e
sebbene sia il primo ad essere cosciente del fatto che gli manchi
quell’elemento fondamentale di visionaria creatività atta a trasformare un
matematico che si guadagna la pagnotta come attuario in una società
assicurativa in un Gauss o un Peano, il suo è un cervello fino e abituato a
ragionare in termini quantitativi, di costi e benefici. È però anche il
prototipo del <i>nerd</i>, infatuato di
Batman e con un universo psichico di fantasie che sostituiscono l’assenza di
una vita reale. Ed è questo a renderlo il protagonista tanto tipico di una
storia del genere. Il protagonista perfetto, che salverà la baracca – non senza
l’aiuto di un altro personaggio non meno tipico, il <i>self made man </i>dai mille talenti, anche e soprattutto truffaldini,
perfettamente rappresentato dal “reverendo” William “Billy” Lee Hardacre, che
nell’economia del racconto funge da <i>deus
ex machina</i> non meno che da specchio privilegiato di tante nostre piccole e
grandi meschinità e infingardaggini. Oltre a fornire il destro per un altro <i>topos</i> da novanta della narrativa
popolare: il ravvedimento operoso del peccatore. Tutto questo va immaginato
inserito nella tramatura fortemente ironica della narrazione, nel gusto
divertito e insistito con il quale Hughes procede all’esposizione degli eventi
e in seguito alla soluzione del dilemma: qui basti vedere con quanta levità e
al contempo accurata e spassionata lucidità l’autore analizzi la diade
fondamentale della civiltà umana attraverso la descrizione che fa del rapporto
madre/figlio che intercorre tra Letitia e Chesney Arnstruther.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtR4zhjFpQH1AJOkA5YhgqAwF7yrxDrtRrvix3prD4xjL4riG-HoHOdmdd3g10ekTBDh6Mr7-EmzO9lM5zC-6krtwViuwU06dcGH6NfhpDPj_5V2B08XKbT1o96zIv1TtC08LAZYsaIqs7/s1600/Azazel+u1096.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtR4zhjFpQH1AJOkA5YhgqAwF7yrxDrtRrvix3prD4xjL4riG-HoHOdmdd3g10ekTBDh6Mr7-EmzO9lM5zC-6krtwViuwU06dcGH6NfhpDPj_5V2B08XKbT1o96zIv1TtC08LAZYsaIqs7/s1600/Azazel+u1096.jpg" height="200" width="136" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’intera storia corre su un
doppio binario: da una parte la riflessione sui meccanismi creativi della
narrazione, su come i personaggi prendano in qualche modo vita propria e
finiscano per prendere la mano al loro autore; dall’altro, e specularmente, il
libero arbitrio umano che sembra il modello – o la mimesi – di tale meccanismo.
Nulla di inedito, ma il vero punto di forza e la giustificazione del racconto
restano la soave impudenza e la benevolente cattiveria con la quale Hughes
mette, o meglio omette in scena la sua divinità che va a tentoni, servendosi
della storia umana per apprendere il senso profondo dell’etica, scrivendo e
riscrivendo la trama del suo “romanzo” rappresentato da quell’intera storia,
correggendone passo passo gli errori e le dimenticanze. Attorno a Chesney,
Billy Lee e all’apprendista dio ignaro dei termini dell’etica si affolla una
pittoresca galleria di dèmoni, angeli e più o meno improbabili personaggi
umani. Nel seguire questo suo doppio binario, con altrettanta negligente
noncuranza l’autore mette alla berlina i capisaldi della civilizzazione umana
(la competizione, la gerarchizzazione sociale, la famiglia, la libidine, la
necessità di trascendenza), senza nascondersi quanto essi siano anche necessari
a una evolutiva civiltà umana – e ovviamente necessari alla creazione
narrativa: senza il conflitto, senza la grandi passioni negative o quelle
estreme, senza gli orrori dell’umanità, la letteratura diverrebbe molto noiosa.
Senza il pungolo del desiderio la vita sarebbe piatta e priva di attrattive. In
tal senso, Chesney appare quasi come una possibile soluzione di compromesso tra
le due eterne polarità del Bene e del Male. O, anche meglio, della passione e
dell’apatia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE6NNalWdardFvZ7t3Lyos_ZA91dKms5MaHbCvUNwYZ7kcHAqEEgsDpWH06T4mu3ke4VaKw7b-oD1vlX0FxIymO86t2KZiV6WqcUdyTdOoBCAGXsSoBABmC94Lzdvxhqnr2kJawCs-l3zT/s1600/Guth+Bandar+osf_36_hughes_z.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE6NNalWdardFvZ7t3Lyos_ZA91dKms5MaHbCvUNwYZ7kcHAqEEgsDpWH06T4mu3ke4VaKw7b-oD1vlX0FxIymO86t2KZiV6WqcUdyTdOoBCAGXsSoBABmC94Lzdvxhqnr2kJawCs-l3zT/s1600/Guth+Bandar+osf_36_hughes_z.jpg" height="320" width="192" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il romanzo di Hughes pubblicato<br />da Delos Books in Odissea Fantascienza,<br />oggi come oggi probabilmente la miglior<br />collana di sf in Italia.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La fantascienza ha usato
innumerevoli volte del concetto di una umanità trastullo di entità (o divinità)
infinitamente superiori a essa, o semplici pedine di esperimenti di tali entità
o divinità. Questo aspetto appare però secondario nella breve novella di
Matthew Hughes, e l’autore si serve soltanto dell’escamotage, per riflettere
beffardamente su quanto su detto. In questo Hughes si allontana in qualche modo
da un’ortodossia fantascientifica per addentrarsi piuttosto nella narrativa
speculativa. Tuttavia la miglior fantascienza ad argomento religioso ha sempre
fatto null’altro che questo: per citarne che pochissimi, dal Miller di <i>Un Cantico per Leibowitz </i>al Blish di <i>A case of conscience</i>, dal Del Rey di <i>For I am a Jealous People! (</i></span><a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2012/10/i-classici-non-avrai-altro-popolo-for-i.html"><i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">http://olivavincenzo.blogspot.it/2012/10/i-classici-non-avrai-altro-popolo-for-i.html</span></i></a><i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">) </span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">al Chiang di <i>L’inferno è l’assenza di Dio</i> i migliori
risultati fantascientifici sono stati ottenuti in apparenza allontanandosi da
una fantascienza pienamente riconoscibile come tale. Il Satana afflitto dalle
rivendicazioni sindacali della manovalanza demoniaca e i noiosissimi angeli di
Hughes sono il sogghignante e perfetto specchio degli spietati alieni senza
peccato di Lester Del Rey; i fratelli minori degli iperuranici angeli di Ted Chiang
e del loro distruttivo e noncurante manifestarsi nella realtà umana. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Matthew Hughes non è un
giovane di primo pelo, e di primo pelo non era neppure vent’anni fa quando
iniziò la sua carriera letteraria nel campo della narrativa. Britannico di
nascita ma emigrato ancora bambino in Canada, come racconta nel suo sito, oltre
a scrivere da alcuni anni si dedica all’attività di housesitter, in tal modo
vivendo spesato un po’ qui e un po’ là e dedicandosi così alla scrittura con
maggiore comodità.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un’ultima notazione sulla
traduzione del titolo, quell’insipido e burocraticamente (ecco…) preciso <i>Soluzione infernale </i>che non rende
giustizia al titolo originale, che suonerebbe meglio come qualcosa tipo <i>Un diavolo di soluzione!</i> Ma non si può
avere tutto dalla vita </span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ascii-font-family: "Bodoni MT"; mso-char-type: symbol; mso-hansi-font-family: "Bodoni MT"; mso-symbol-font-family: Wingdings;">J</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-7952370073833358662014-03-23T10:42:00.003-07:002014-03-23T10:42:52.544-07:00Fumetto - Lukas 1 – Deathropolis (2014) di Michele Medda e Michele Benevento<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikkYN05eTooFUPyMLWKPyB8QQgVjhBw3E75Oc9as8QVrSNygZOM5hV69X03uPAmVCuJnFM3nH_DZHGcPPtoQo5zDK7os7TeKgeCKl7DbFBXjHLN70PFZRH6-Rfs42dRuGWM2fiM7QZvbzI/s1600/Lukas+1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikkYN05eTooFUPyMLWKPyB8QQgVjhBw3E75Oc9as8QVrSNygZOM5hV69X03uPAmVCuJnFM3nH_DZHGcPPtoQo5zDK7os7TeKgeCKl7DbFBXjHLN70PFZRH6-Rfs42dRuGWM2fiM7QZvbzI/s1600/Lukas+1.jpg" height="320" width="242" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È
d’obbligo una premessa: Michele Medda è un amico, e questo può naturalmente
falsare il giudizio. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È
però opportuna anche una seconda premessa: inteso in astratto, l’argomento di
Lukas non è esattamente nelle mie corde, e questo fornisce con qualche probabilità
un bilanciamento. In verità, e per dirla tutta, se vampiri, licantropi, zombie
o ridestati che siano non sono mai stati al vertice delle mie preferenze
narrative, negli ultimi anni la loro dilagante invadenza è diventata una vera e
propria rottura di… sì, insomma: di </span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ascii-font-family: "Bodoni MT"; mso-char-type: symbol; mso-hansi-font-family: "Bodoni MT"; mso-symbol-font-family: Wingdings;">J</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">.
Perciò quando seppi quale sarebbe stato l’argomento della nuova serie di Medda
dopo Caravan (di cui ho scritto qui: <a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2010/01/caravan-spedizione-verso-lignoto.html">http://olivavincenzo.blogspot.it/2010/01/caravan-spedizione-verso-lignoto.html</a>)
non ero propriamente entusiasta. Non-morti di vario genere calati nell’ambientazione
di una indeterminata città corrotta e anonima non sembravano cosa troppo
allettante. <i>Urban fantasy</i>? Gli amanti
delle etichette effettivamente paiono orientati verso tale sistematizzazione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Avrei
però dovuto fidarmi quanto meno della storia dell’autore per i miei timori, e
quanto alla necessità di un’etichetta editoriale, se proprio ne dovessi
indicare una sarebbe quella di <i>speculative
fiction</i>, più in grado di tutte di rendere conto della densità narrativa
della storia. Quanto meno di questa prima.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn0oCHJrUdVSSQ8scuLcNjfS_oRgb8yVe6laubV6yesAvbzXQzc7K7eUavCuj-73v1io1T9fbNb1OXpEZubOIl0ve9_D3P1LDcrpGjyg4_I512c2k43cPnXXNpq5hUyHw3HK2XyJyfFvFE/s1600/Michele.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn0oCHJrUdVSSQ8scuLcNjfS_oRgb8yVe6laubV6yesAvbzXQzc7K7eUavCuj-73v1io1T9fbNb1OXpEZubOIl0ve9_D3P1LDcrpGjyg4_I512c2k43cPnXXNpq5hUyHw3HK2XyJyfFvFE/s1600/Michele.jpeg" height="200" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Michele Medda</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Deathropolis</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">,
primo albo di 24 di una serie che si intuisce sarà unitaria e in progressione,
è senza dubbio una storia interlocutoria, una prima presentazione del
protagonista e dei temi della serie. Dell’uno e degli altri fornisce con asciuttezza
una chiara traccia – sarà da vedere quali e quante divagazioni e quali e quanti
sovvertimenti dovessero occorrere. Sebbene questa interlocutorietà dell’albo
sia evidente, la narrazione è anche perfettamente conclusa: il primo episodio
apre gli scenari della serie e squaderna l’essenziale del protagonista (i
dettagli emergeranno sicuramente nei mesi a venire), ma è anche un racconto
compiuto in sé. È ormai invalsa l’abitudine, non saprei quanto opportuna, di
accostare sempre più la struttura del fumetto seriale a quella dei serial
televisivi parlando di “stagioni” e partendo le dodici uscite annuali di una
serie a fumetti (laddove si tratti di fumetti mensili, ovviamente) in archi
narrativi che si rifacciano appunto alle stagioni di un serial televisivo. Non
so quanto l’accostamento sia opportuno, scrivevo, tuttavia per questo primo
albo di Lukas non è davvero sbagliato parlare di un “pilot”. Un ottimo “pilot”,
in grado come detto di mettere immediatamente sul tappeto le caratteristiche
della serie e quelli che intuitivamente saranno gli elementi cardine del
carattere del suo protagonista; così come di suscitare l’interesse del lettore
per il prosieguo della serie; e infine di fare l’una e l’altra cosa attraverso
la vetrina di una storia che, nella sua semplicità narrativa, si rivela
stilisticamente raffinatissima e in grado di innescare le prime riflessioni. Non
manca nulla davvero nell’economia di una storia ricca di elementi, proiettati
nel futuro della serie e radicati nell’immediato dell’albo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una
volta tanto, in rete sembra che quanto meno i lettori più attivi e reattivi sui
forum dedicati al fumetto si siano resi conto delle potenzialità della serie
mostrate dal suo primo albo, e delle qualità di fattura dell’albo stesso. Che
questo si traduca in un successo di vendite è probabilmente chimerico, forse in
Italia l’epoca dei grandi numeri è definitivamente tramontata per il fumetto; e
comunque i due fenomeni della qualità dell’opera e della quantità di copie non
sono mai state grandezze necessariamente in proporzione diretta. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7RrOeeX2e9ZrU8cam41PusB2rp2ewcNWQ22eQkxcUpDsk5Cn-HCstfLarq1af5iRKIUQ-WfnSI3DF2xiH-iElDe1w7tMD8FgV5jT9NGfnDULZuLzz13UL3-mgDRaMW0BnkJjzfsgXZkcz/s1600/LUKAS-1+pag.1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7RrOeeX2e9ZrU8cam41PusB2rp2ewcNWQ22eQkxcUpDsk5Cn-HCstfLarq1af5iRKIUQ-WfnSI3DF2xiH-iElDe1w7tMD8FgV5jT9NGfnDULZuLzz13UL3-mgDRaMW0BnkJjzfsgXZkcz/s1600/LUKAS-1+pag.1.jpg" height="200" width="150" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La prima tavola</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
racconto si apre su due pagine splendide, in primo luogo per la traduzione
grafica delle scelte di sceneggiatura, e in secondo luogo naturalmente per
dette scelte e per la bellezza in sé del disegno. Ché, se il lavoro di Michele
Medda è stato curatissimo in ogni particolare del soggetto e attento a che la
sceneggiatura esaltasse la storia, il creatore grafico Michele Benevento ha
saputo rendere alla perfezione tali cura e attenzione, e creare attorno al
personaggio e alla storia un’architettura grafica che trasmette con vigore le
suggestioni e le emozioni del racconto, una scenografia urbana e una galleria
umana che gettano il lettore dentro Deathropolis, dentro la città senz’anima e
senza nome che di questo anonimato e questo vuoto fa la propria cifra. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un
modesto consiglio en passant alla redazione: quella didascalia sul frontespizio
(<i>Quella era una città spietata </i>ecc.)
ce la possiamo evitare: non siamo ancora al livello di dover essere assistiti –
anche se continuando con certi fumetti e certi spiegoni rischiamo seriamente di
aver bisogno di assistenza: psichiatrica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8e7Zacm13wkxCfortLVsj9yHQBM2be4xc-mJ66l4QiH1qP_PLJDwGrgVVrQ26NYGMkzFfq6F-LE9NT69D42hHBJSzg7Uupq201DquGZWnnBtVU94Q1-vApBasOjkZ2Gh7f_DxEaey0eIg/s1600/LUKAS-1+pag.2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8e7Zacm13wkxCfortLVsj9yHQBM2be4xc-mJ66l4QiH1qP_PLJDwGrgVVrQ26NYGMkzFfq6F-LE9NT69D42hHBJSzg7Uupq201DquGZWnnBtVU94Q1-vApBasOjkZ2Gh7f_DxEaey0eIg/s1600/LUKAS-1+pag.2.jpg" height="200" width="150" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La seconda tavola</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Le
prime due pagine: <i>Deathropolis</i> e
Lukas si aprono su una sequenza che con la massima semplicità fornisce il
massimo delle informazioni sul personaggio in scena. Il “risveglio” di Lukas, i
suoi piedi che sfondano la lapide del suo loculo al cimitero, le reazioni, le
sensazioni di chi effettivamente si ridesta da qualcosa di analogo a un letargo
e i cui ricordi sono confusi, a brandelli. Le didascalie, nere con il lettering
bianco, usate come fossero i pannelli del cinema muto che sostituivano un audio
ancora indisponibile, avvolgono l’intera scena, le danno corpo e la rivestono
di atmosfera – quella famigerata atmosfera che troppo spesso è ricercata come
un effetto speciale a buon mercato, e che qui emerge nitida dalla successione
di precise scelte stilistiche. Didascalie in terza persona che innerveranno l’albo,
accompagnando il protagonista non solo in sostituzione dei balloon di pensiero:
principalmente per ottenere un effetto straniante e di distanziamento, dal
protagonista e del protagonista, ma anche per marcare una precisa scelta di
narrazione più “adulta”. Il bianco e nero di Benevento è netto, violento,
nitido, dettagliato. Aggiunge una patina di elegante freddezza alla fredda
eleganza della prosa di Medda e alla secchezza della narrazione (la penultima
vignetta della seconda tavola è come una miniatura brecciana da <i>Gli uomini dagli occhi di piombo</i>,
suggello quanto mai adatto per questa sequenza d’esordio). Di qui la storia si
dipana di conseguenza, sviluppando le premesse quasi con geometrica
progressione. Freddamente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Freddezza.
La freddezza che permea la prosa, i dialoghi, le atmosfere di Lukas non appare
un difetto né un limite. È anzi l’ingrediente necessario perché prosa,
dialoghi, atmosfera, personaggio, storia e tono generale della serie
sedimentino nelle emozioni del lettore e vi facciano presa. <i>Deathropolis</i> è di una crudezza
inaspettata e inusitata in un fumetto bonelliano, sebbene non sia una novità (è
una crudezza di ritorno, che il lettore è ben lieto di poter ritrovare in una
versione realistica e matura, non plastificata e infantile come negli ultimi
anni è capitato). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqKQPF5iShSH17IPBQDFySsQC-rYr3qM6cabttfwcQm_tVQ-xZ-4KcXgTj3zHia_VrEJjlt3qjA8dh9-1l8OQfaNXv2dFQiBQKuJRDvLEdbqmVXlp7CVoUSIarV5yRbbGgBFgHpbA5OtPw/s1600/Lukas_01_01_1392910930784.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqKQPF5iShSH17IPBQDFySsQC-rYr3qM6cabttfwcQm_tVQ-xZ-4KcXgTj3zHia_VrEJjlt3qjA8dh9-1l8OQfaNXv2dFQiBQKuJRDvLEdbqmVXlp7CVoUSIarV5yRbbGgBFgHpbA5OtPw/s1600/Lukas_01_01_1392910930784.jpg" height="200" width="151" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per
certi versi è accostabile a un fumetto da lungo tempo scomparso: il Dylan Dog
degli inizi. Con una sostanziale differenza: lo Sclavi degli anni ’80 e dei
primi anni ’90 aveva una scrittura calda, di stomaco. Una scrittura che faceva
appello alle emozioni del lettore, al loro scatenarsi, per raggiungerne in
qualche modo l’anima e il cervello – ma non era una conclusione che fosse
necessaria. Medda, e sicuramente questo Medda, ha una scrittura controllata e fredda,
di testa. Fa appello alla coscienza vigile del lettore, o meglio la brutalizza,
per suscitarne le emozioni e indurre la riflessione e toccarne così l’anima. Non
vi è alcuna gerarchia nei due registri, solo differenza. Che in qualche modo si
traduce in un tono più “adulto” e “scarno” della scrittura meddiana e uno più “ricco”
e “d’impatto” di quella sclaviana. I dialoghi, da sempre un punto di forza dell’autore
non meno delle sue didascalie, sono cinici e taglienti, caratterizzati da un
sarcasmo che spesso pare andare oltre le righe, indulgere nel compiacimento e
gigioneggiare con la propria abilità, ma che non di meno sono parte integrante
del tono e dell’atmosfera della storia, difficilmente pensabile senza dialoghi
che a volte sembrano fuori misura. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvi18-7ASy7Dld7_bD3J2dkT7zxbtC_BvUFhl11WN1TLKuzFdBVWfXccZREVzBAotbiX90xpF9kTq8SK6baR9FklIlhmO9k-R5K8eK9zZsZLB0WTxN_mhP7O-NE5bt5Ipj_Ja50UlbN-lT/s1600/michele_benevento.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvi18-7ASy7Dld7_bD3J2dkT7zxbtC_BvUFhl11WN1TLKuzFdBVWfXccZREVzBAotbiX90xpF9kTq8SK6baR9FklIlhmO9k-R5K8eK9zZsZLB0WTxN_mhP7O-NE5bt5Ipj_Ja50UlbN-lT/s1600/michele_benevento.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Michele Benevento (più o meno ;-))</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A
latere di tutto questo ci si può divertire a ricercare e rinvenire le metafore
sottese o più precisamente sovraestese da Medda al racconto. Divertire non
perché sia un esercizio sterile o minore, ma perché è quasi un momento di
leggerezza ludica il poter staccare dal ritmo ampio e disteso dell’albo, ma che
ugualmente richiede tutta l’attenzione del lettore; staccare da una scansione
narrativa che esige la capacità del lettore di porre attenzione alla raffinata
complessità mascherata da naturalezza facile. Metafore sovraestese, e anzi
neppure metafore, perché non vi è nulla di sotterraneo nella realtà umana e
urbana di Deathropolis. Medda costella l’albo di vampireschi, licantropici
ridestati, ma essi non mascherano nulla: l’emergenza della realtà nuda e cruda,
le nostre realtà e cronaca quotidiane, è a tal punto immediata e brutale da
apparire rozza. Non vi è nulla di sotterraneo nella prospettata dominazione di
una classe di parassiti biologici, sociali, culturali, psicologici su un’umanità
in gran parte ignara, e ignara perché troppo torpida per risvegliarsi – essa sì
– a una vita consapevole. Proprio come in qualche modo era evidente, esibita,
urlata la metafora/non metafora in <i>Il
Quinto Principio</i> di Vittorio Catani, splendido capolavoro e vero <i>unicum</i> della fantascienza italiana (<a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2010/02/fantascienza-i-contemporanei-il-quinto.html">http://olivavincenzo.blogspot.it/2010/02/fantascienza-i-contemporanei-il-quinto.html</a>).
Insomma, se siete ciechi e non vi svegliate è davvero colpa vostra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Lukas
sarà l’inevitabile granello di sabbia destinato a inceppare il meccanismo dei
dominatori? Probabilmente sì. Come sempre o quasi, Michele Medda è rispettoso
della tradizione bonelliana; non per conservatorismo, ma per consapevolezza
delle potenzialità di una formula e un formato che hanno reso possibili
innumerevoli storie che hanno fatto la storia del fumetto italiano; e perché a
onta delle rigidità di questa formula e di questo formato (rigidità, per altro,
editoriali e redazionali, non della formula e del formato) consentono una
libertà e un’inventiva narrativa molto ampie. In questo primo albo Lukas nasce “ignaro”,
come ignari sono gli uomini e le donne comuni di Deathropolis. Ma naturalmente
egli è ignaro in un modo diverso: questa sua qualità è quanto suscita in lui l’inquietudine
morale e psicologica che è il marchio di chi intraprende un percorso di
risveglio della propria coscienza. In questo primo albo Lukas si è risvegliato
come corpo, corpo che è punto dal pungolo dell’inquietudine interiore a
muoversi e cercare. È immaginabile che nel corso dei 24 albi che andranno a
comporre la serie, questo risveglio da puramente fisico finisca per
completarsi, tradursi in un risveglio della coscienza e dell’umanità del
personaggio. <o:p></o:p></span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-45665379553134545212014-01-12T08:45:00.004-08:002014-01-12T08:50:36.565-08:00I contemporanei – Cumhu, oltre la soglia dell’ignoto (2013) di Giovanni De Matteo (n.1981) e Andrea Jarok (n.1970)<div style="text-align: left;">
</div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5LWTpURX0kLMidMwuQ3nzlMFxMfl5cn023veV6VAQZi9d4u8d1I8BeJqIZ4C8jAnMnO2dB1UsZKgIFwg7S2u6ixa2GYE1sktyB15n1YgD_YsmrxPvYe0d5L7x5ihXaVQuUIJrkXbfP-cX/s1600/Giovanni+De+Matteo+b-n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5LWTpURX0kLMidMwuQ3nzlMFxMfl5cn023veV6VAQZi9d4u8d1I8BeJqIZ4C8jAnMnO2dB1UsZKgIFwg7S2u6ixa2GYE1sktyB15n1YgD_YsmrxPvYe0d5L7x5ihXaVQuUIJrkXbfP-cX/s1600/Giovanni+De+Matteo+b-n.jpg" height="198" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Giovanni De Matteo</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pirati
spaziali; profeti dementi; divinità misteriose, crudeli e remote; pianeti
sperduti agli estremi confini del Sistema Solare; antiche civiltà terrestri
nascoste dalle nebulose dei millenni trascorsi, e seducenti nel loro manto di
conoscenze arcane e leggendarie; esperienze visionarie; stati di coscienza
alterati (e alterabili); potenti, oscure, sibilline sostanze psicotrope; commistioni
tra piani temporali disparati; viaggi spaziali su astronavi guidate da Ragazze
Iperluminali, astronavi che paiono fuoriuscite da ingiallite pagine hamiltoniane;
mirabolanti viaggi temporali attraverso la mente e la coscienza; scambi mentali
e identitari tra siderali deità e umani, tra umani e metamorfici esseri-chimera
che provengono dritti dall’ibridarsi di mitologie esotiche e mitologie
immaginarie; il ’68, la contestazione, la <i>Beat
Generation</i>, l’estetica <i>on the road</i>,
sfiorando le marginalità a stelle e strisce. Poi la Consapevolezza Terminale;
la chimica della trascendenza; la morte della morte; il tempo che può finire; l’apocalisse-epifania
che tutto conclude e tutto riavvia. Lovecraft, inevitabilmente (e giustamente)
Lovecraft; e William Burroughs: citati e richiamati implicitamente ed esplicitamente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un’abbuffata,
in qualche modo: un coagularsi, precipitare, implodere e poi riesplodere di
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmhnu1luoAOpHpkUXofatx4UgWoX1cqoOsx2YPiIMufKKVu-GHG2RiNLWXSGFXCLqYoFk4GwWTiEYxPAMeLfC8Wp1mFWIesQrE78TdWuqW7KHS_9wtgeM4s-UnTqfAxzZiiu9j2JZczi_B/s1600/Jarok+foto2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmhnu1luoAOpHpkUXofatx4UgWoX1cqoOsx2YPiIMufKKVu-GHG2RiNLWXSGFXCLqYoFk4GwWTiEYxPAMeLfC8Wp1mFWIesQrE78TdWuqW7KHS_9wtgeM4s-UnTqfAxzZiiu9j2JZczi_B/s1600/Jarok+foto2.jpg" height="200" width="142" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Andrea "Jarok" Vaccaro</td></tr>
</tbody></table>
mille e mille ingredienti disparati. Un’affastellarsi di suggestioni; immagini;
rimandi; citazioni; omaggi; idee; sensazioni; evocazioni; visioni;
allucinazioni. Lovecraft, inevitabilmente e giustamente: il racconto è apparso
sul numero 1 di <i>Hypnos</i>, il cui
sottotitolo recita: <i>rivista di
letteratura weird e fantastica</i>, e che del vate di Providence ospita, tanto
per stare sul pezzo, proprio il racconto del 1922 <i>Hypnos</i>. Ma inevitabilmente anche Burroughs, il poeta dei meandri
allucinati della mente. Un’abbuffata di colori e sapori; un’abbuffata di parole
usate come fini prima che come mezzi: usate per il loro suono; per il loro
concatenarsi le une con le altre; per la magia del loro richiamare immagini nella
mente del lettore dalla sua memoria. Un racconto che è una pietanza di mille e
mille sapori forti, fortemente speziati e spesso dissonanti; un pastiche la cui
degustazione impone di lasciarsi affascinare dal suono delle parole e di
lasciarsi indurre a richiamare le immagini sepolte nella propria memoria. Una
pietanza, un pastiche goticheggiante che opera consapevolmente la scelta della
ridondanza: di termini, di visioni, di rimandi e memorie. E con la ridondanza,
l’eccesso: <i>Una trasfusione di Eternità:
per eseguirla, il solito ago. Nudo, sprofonda nella pelle improvvisamente
accogliente, si concede alla carne e disseta la vena. Di lì risale il flusso
circolatorio fino al cuore e riparte a velocità di curvatura in arterie
sussultanti – gallerie organiche dalle diramazioni frattali, senza fine –
sospingendo la forza delle parole, concludendo al termine di una scorribanda psichica
durata mille eoni e una pulsazione e mezza la sua Ultima Evocazione.</i> Ecco,
per dire. Un intento ludico (anche ludico) emerge chiaramente, insieme al
piacere della scelta delle parole per l’effetto che avranno, per il
sovraccarico sensuale e sensoriale che produrranno nel lettore. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkj1enD3nyE6J_l-SfpngVNUFXBQguSg2_DgWE4QWKJcxELujnuvK4NuTWbKK-uZGztgT1xs7MZIEcHV3SOFGP72U3rCk4HsibSLrbARjOqciCkZU9nWPJqq2jZSj7u-LK59k1YEBIaxE0/s1600/Hypnos+1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkj1enD3nyE6J_l-SfpngVNUFXBQguSg2_DgWE4QWKJcxELujnuvK4NuTWbKK-uZGztgT1xs7MZIEcHV3SOFGP72U3rCk4HsibSLrbARjOqciCkZU9nWPJqq2jZSj7u-LK59k1YEBIaxE0/s1600/Hypnos+1.jpg" height="320" width="230" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Hypnos rivista n.1</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’opera
letteraria in generale, e un breve racconto in particolare, non ha bisogno di
altro che la propria bellezza per giustificare stesura e lettura; e ciascuna
opera fonderà la propria bellezza (se la fonderà…) su basi diverse - che esse
abbiano fondamento nella preziosità linguistica, nella profondità dell’analisi
psicologica dei caratteri, nell’arditezza della speculazione sul futuro, nella
puntualità dell’analisi sociologica o politica del presente. O qualunque altro
sia il fondamento della bellezza dell’opera, quel <i>quid</i> che la rende meritevole di memoria, anche soltanto una fugace
memoria. Al di là del gioco, della lingua lussureggiante che ne costruisce l’impianto
gotico e l’identità di omaggio ai capisaldi della fantascienza <i>weird</i>; al di là della piacevolezza
estetica che con la sua rincorsa all’eccesso e all’ipertrofia verbale e
fantastica solletica il gusto della lettura; al di là del puro gusto di leggere
parole e ascoltarne il suono nella propria mente, il racconto di De Matteo e
Jarok si lascia ricordare volentieri anche per il suo finale. Forse
principalmente per il suo finale. Un finale che è al contempo disperato e aperto
alla speranza; che pare perduto nella contemplazione di stilemi e visioni di
una letteratura fantastica slegata da ogni realtà e al contempo disvela, e narra,
la realtà del mondo di oggi attraverso i bagliori di un’allegoria fantastica ma
dai risvolti assai concreti. Nell’epifania e poi apocalisse finale del Capitano
Nero, nato dall’uovo nero che aveva attirato a sé Cumhu, il Ragazzo-iguana e
Xolotl, il Ragazzo-salamandra, imperfetti custodi e profeti di saggezza, è possibile
scorgere l’immagine di quel consumismo che impera e che tutto divora: le
risorse della Terra, il piacere e il gusto della bellezza, il tempo della vita
e le risorse spirituali e fisiche degli esseri umani. Finanche l’anima stessa degli
esseri umani. Sono saggi Cumhu e Xolotl. Sono sagge le parole di Cumhu: <i>La vostra morte è un organismo che voi
stessi create. Se lo temete o vi prostrate davanti a lui, l’organismo diventa
il vostro padrone; </i>sono sagge le parole di Xolotl: <i>La morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola
per parola.</i> Poco prima, l’abominio evocato dal Capitano Nero aveva
apportato una prima ondata di morte e distruzione. Ma come tutta la saggezza
che la nostra civiltà ha prodotto almeno dai tempi di Omero in poi ci appare imperfetta
se non riesce, come non riesce, a renderci davvero consapevoli della spirale di
distruzione a cui va conducendoci la foia consumistica, così le parole di Cumhu
e Xolotl non evitano la distruzione finale operata dal Capitano Nero. Così come
oggi la sola risposta rimasta, sempre più spesso, appare quella individuale e
individualistica di rifiuto e ripulsa della spirale consumistica; allo stesso
modo la fuga individuale di Cumhu e Xolotl verso il pianeta Yuggoth, là dove il
nastro del tempo tornerà ad avvolgersi e svolgersi circolarmente, riavviando il
ciclo degli eventi, appare una via di salvezza autistica. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Eppure proprio
laddove il Fato, inevitabile, sembra il vero vincitore è forse opportuno
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPvTOiV0T8lPEfq2Sr1_fr02pGB8w_b3WC4EW3_L-zbEhX5QWroNYM7OWaOzu-Um9htuZYBpDDVwlkaBXsMwXwVCy910iUVvmcdc07Z86ZFnSFp6Z26Cd6-uvkLzsErqVt7QPLiPVv5uHy/s1600/Hypnos+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPvTOiV0T8lPEfq2Sr1_fr02pGB8w_b3WC4EW3_L-zbEhX5QWroNYM7OWaOzu-Um9htuZYBpDDVwlkaBXsMwXwVCy910iUVvmcdc07Z86ZFnSFp6Z26Cd6-uvkLzsErqVt7QPLiPVv5uHy/s1600/Hypnos+2.jpg" height="200" width="143" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Hypnos rivista n.2</td></tr>
</tbody></table>
rammentare meglio le parole di Xolotl: <i>La
morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola per parola.</i>
Ciò che è stato, non necessariamente sarà. E questa è una lezione che vale la
pena ricordare quando ci sentiamo sconfortati e scavalcati dagli eventi che
accadono attorno a noi; è una lezione valida anche, e soprattutto, per la Storia
con la “S” maiuscola e non solo per una storia narrata su una rivista. A un
breve racconto si chiede di divertirci, di avvincerci con le parole, di
fornirci uno stimolo per la mente. Si chiede di aprirci una piccola finestra su
noi stessi o sul mondo. Oppure sull’arte. Il racconto di De Matteo e Jarok ci
riesce.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Antichi
e malvagi dei di dimenticate cosmologie arcane; visioni ai confini e oltre i
confini del misticismo; esperienze e percezioni allucinatorie; mostri la cui
deformità è spirituale prima che fisica; esseri proteiformi e mutaforme; uomini
che si trasformano in dei; sentenze criptiche ed esoteriche; civiltà antiche e
civiltà fantastiche: è ancora fantascienza? Lo è certamente, una fantascienza
pura sebbene ibridata, pura perché ibridata. Sin dalle origini la fantascienza
si è bagnata anche nei mari della letteratura dell’orrore come della
letteratura fantastica in generale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAt9LeK9z2jR_Vzalpf49CeCje3nkEkuEm97_KHxd9IwQWH9OKUJNV84yB32aauK6GKwzOjByTMrqaSPPJztUBGeFc1BQV2XSsVvIPvYVNQpZCj4JDH9kknuQ9brtM9nFr6yBohvQgYVlH/s1600/hypnos_09_cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAt9LeK9z2jR_Vzalpf49CeCje3nkEkuEm97_KHxd9IwQWH9OKUJNV84yB32aauK6GKwzOjByTMrqaSPPJztUBGeFc1BQV2XSsVvIPvYVNQpZCj4JDH9kknuQ9brtM9nFr6yBohvQgYVlH/s1600/hypnos_09_cover.jpg" height="200" width="140" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Hypnos fanzine n.9</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Da Mary Shelley in poi, a partire dai
precursori e i primi esponenti di quella modalità letteraria che avrebbe preso
il nome di fantascienza, semplicemente si è fatta letteratura, con ogni
materiale a disposizione di uno scrittore. Come sarà per i dichiarati numi
tutelari di questo racconto. Lovecraft, le cui opere più fantascientifiche sono
capisaldi di una fantascienza dal respiro cosmologico e dall’anima piantata
nelle profondità delle pulsioni e paure e aspirazioni umane: fantascienza
appunto. Burroughs, tra i primi a coniugare lo sperimentalismo letterario e i <i>topoi</i> della fantascienza di genere,
esplorando quello spazio interno che poi Ballard avrebbe introdotto come
concetto in fantascienza (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/James_Graham_Ballard">http://it.wikipedia.org/wiki/James_Graham_Ballard</a>)
e di cui, con lo stesso Ballard e con Philip K. Dick fu il principale
esploratore.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPqT2Wy8zBXEqJwWvB57Y2mCZLdqk7eI7IxLfMfRCnCDikpKgVLLVVIZ5TBPnh3ZyDOk3pBlHkbbiwqgBCy7fLq9j_YL2Jj7Z4CsAw2Q90TtoaDbuAOGMgiQK9XzmWmd22bl5jENpRCodU/s1600/De+Matteo+u1528.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPqT2Wy8zBXEqJwWvB57Y2mCZLdqk7eI7IxLfMfRCnCDikpKgVLLVVIZ5TBPnh3ZyDOk3pBlHkbbiwqgBCy7fLq9j_YL2Jj7Z4CsAw2Q90TtoaDbuAOGMgiQK9XzmWmd22bl5jENpRCodU/s1600/De+Matteo+u1528.jpg" height="200" width="121" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ancor
giovane, Giovanni De Matteo, oltre a essere tra i fondatori della corrente
letteraria italiana del Connettivismo (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Connettivismo_(letteratura)">http://it.wikipedia.org/wiki/Connettivismo_(letteratura)</a>
è già un veterano della fantascienza italiana, con all’attivo svariati racconti
e un romanzo che diversi anni fa gli fece vincere il Premio Urania. Andrea
Jarok è a sua volta attivo da moltissimo tempo in campo fantascientifico,
principalmente come saggista e in ambito editoriale. <i>Hypnos</i>, la rivista, è la diretta filiazione dell’omonima fanzine
attraverso l’omonima casa editrice (<a href="http://www.edizionihypnos.com/index.htm">http://www.edizionihypnos.com/index.htm</a>).<o:p></o:p></span></div>
<br /></div>
<o:p></o:p>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-66373310343157756182013-09-28T12:36:00.000-07:002013-09-28T12:36:00.487-07:00Il classico – Cor Serpentis (id. 1959 – in russo Се́рдце Змеи́) di Ivan Antonovič Efremov (1908-1972)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJw3ptmebXXHrr3LuiciFLpl1z8uAtBXmoy5nNCQj0IVWypzc4QAt5Ac1d3Oq6wHCGVSRL3b9oF7-UYXv95vX9_qkVGz661fWanNvLUT0mCDhjoElYHK14CROhyphenhyphent9iAVJu5RilYOuHAjTH/s1600/Ivan+Efremov.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJw3ptmebXXHrr3LuiciFLpl1z8uAtBXmoy5nNCQj0IVWypzc4QAt5Ac1d3Oq6wHCGVSRL3b9oF7-UYXv95vX9_qkVGz661fWanNvLUT0mCDhjoElYHK14CROhyphenhyphent9iAVJu5RilYOuHAjTH/s320/Ivan+Efremov.jpg" width="240" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Cor
Serpentis</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> è un vero classico, con tutti i crismi della classicità. È
anche un’opera storica: nel senso di documento storico della sua epoca. Infine,
è un reperto della geopolitica del XX secolo, e in particolare dell’età
postbellica della Guerra Fredda.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La breve novella è una delle
opere più note del suo autore, il paleontologo e scrittore russo Ivan Efremov
che, se non il maggiore esponente, fu senza meno tra i nomi più importanti
della letteratura di fantascienza sovietica che fiorì dopo la II Guerra
Mondiale. Di quella vasta produzione, che fu sicuramente la più lontana dai
canoni della sf angloamericana che ha “colonizzato” (ormai non solo) l’Occidente,
dall’altra parte della Cortina di Ferro non giunse moltissimo. Ai patrii lidi italici
approdò comunque una significativa scelta di testi, tra i quali nel tempo si
segnalarono particolarmente i romanzi dei fratelli Arkadij e Boris Natanovi</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">č</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"> Strugackij, sia per il notevole livello del
loro lavoro, sia, probabilmente, perché i due Strugackij si posero spesso, e
sempre più col tempo, in posizione critica verso il sistema politico sovietico o
quanto meno tutt’altro che prona, mostrando nella loro scrittura una visione
critica e uno scetticismo vicini a quelli occidentali. Efremov fu invece fin
quasi all’ultimo un convinto assertore dei valori di un socialismo umanitario, o
forse di un umanesimo socialista, e la sua opera è attraversata da una
fortissima tensione verso una pace universale e una fratellanza tra le genti,
raggiungibile solo attraverso il compiersi di una rivoluzione socialista – una rivoluzione
del pensiero e dello spirito umani, è bene precisare. Una rivoluzione del modo
di essere degli uomini, il loro conformarsi a una visione solidaristica e
progressiva dell’esistenza, ed evolutivamente progressiva della storia, in una
prospettiva che si allarga all’infinito, senza limiti per questo Uomo Compiuto
se non quelli intrinseci delle leggi della fisica e della chimica. Un qualcosa che in <i>Cor Serpentis</i> si vede chiaramente. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhq0KKhNmbrWXNxok1P5bV07K1BBVsTOiDEMw1SW-I5pUm4R-S5zehT38OwWIdQ3CyegRlGj1tONfWMA04vXHl3zI20TGuuaiomRs8XsDLqN5DJUTWbcylAfwRwRMc2LIZ-JnJmMcZlSQ_Y/s1600/La+Nebulosa+di+Andromeda.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhq0KKhNmbrWXNxok1P5bV07K1BBVsTOiDEMw1SW-I5pUm4R-S5zehT38OwWIdQ3CyegRlGj1tONfWMA04vXHl3zI20TGuuaiomRs8XsDLqN5DJUTWbcylAfwRwRMc2LIZ-JnJmMcZlSQ_Y/s320/La+Nebulosa+di+Andromeda.jpeg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La Nebulosa di Andromeda - seconda edizione italiana</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">Come anche nell’opera più
significativa di Efremov, il romanzo <i>La
Nebulosa di Andromeda</i>. Pubblicato due anni prima di <i>Cor Serpentis</i>, a dispetto della relativa aridità dello stile e
della narrazione è il racconto filosoficamente affascinante di un utopia
socialista, e rilanciò la sf sovietica in virtù di un allargamento concettuale
e visivo a tematiche sociali e a un futuro lontano nel tempo, lasciando
(relativamente) in secondo piano quella rigida estrapolazione scientifica e
tecnologica che fu un po’ il marchio della fantascienza d’oltrecortina (e che
comunque Efremov tratta con l’abituale accuratezza). In <i>Chas Byká</i>, il suo
ultimo romanzo pubblicato in vita, e rapidamente ritirato dal commercio dalle
autorità, Efremov tornò all’universo narrativo de <i>La Nebulosa di Andromeda,</i> ma questa volta con toni e riflessioni
lontane dalla fiducia che aveva caratterizzato la sua passata produzione.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBCu5iy1bNYFHXtZUT_RwJT2uwhpZ8BsF872hTzdGre_Wu-Y88maO1D7QWYoMVM6vxq5pI1ArVfPUXJjXwcaZvaMLHvZ9GlzJcjYBt3_Jk1_c_zfuDdB6OOR0xSYimxitNqMcZcXoCSWj9/s1600/Cor+Serpentis+Galassia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBCu5iy1bNYFHXtZUT_RwJT2uwhpZ8BsF872hTzdGre_Wu-Y88maO1D7QWYoMVM6vxq5pI1ArVfPUXJjXwcaZvaMLHvZ9GlzJcjYBt3_Jk1_c_zfuDdB6OOR0xSYimxitNqMcZcXoCSWj9/s1600/Cor+Serpentis+Galassia.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Prima edizione italiana della novella: 1963, Galassia n.26</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">Cor Serpentis</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"> è un autentico classico in primo luogo perché
appartiene al genere che più di ogni altro identifica la fantascienza nella
storia della letteratura e dell’immaginario: la <i>Space-Opera</i>. E al suo interno consuma un altro dei <i>topoi </i>assolutamente fondamentali e
identificativi della sf: l’incontro con l’Alieno. Un primo contatto, per di
più. Senza ridursi a fare un trattatello scientifico o peggio
pseudoscientifico, Efremov cura con grande attenzione i dettagli scientifici e
tecnologici del racconto, che non risultano semplici accessori ma sono una
cornice che dà senso al quadro narrativo ed elementi dinamici di essa,
fondamentali per dare il tono all’ambientazione filosofica della narrazione. Ad
appesantire quest’ultima sono se mai gli incisi più prettamente speculativi,
sociologici e didascalici (o propagandistici <i>tout court</i>), che spesso sfociano in vera e propria ingenuità o
utopismo illusorio. A riscattare questi passaggi a vuoto sono gli occasionali
squarci lirici che riescono a imporsi all’attenzione del lettore a onta della
traduzione da cani e della cura editoriale perfino più approssimativa della
traduzione. È attraverso tali intarsi, di un lirismo appassionato e naif, che trapela
la natura profondamente romantica dell’ispirazione utopistica di Efremov:
quando i suoi controllatissimi personaggi dismettono per un attimo la loro
attitudine, degna di manichini robotici, di perfetti esempi di Uomo Evoluto e
Compiuto, in essi si legge in filigrana qualcosa di più e di meglio del
pensiero di un convinto uomo di apparato: si vede un sognatore. Un sognatore
forse ingenuo come i personaggi a cui dà vita, ma sincero. E sicuramente
visionario, un ardito che ha spinto la sua immaginazione non tanto nelle pieghe
dello spazio e del tempo, quanto dell’uomo. Un utopista, certo, e probabilmente
un illuso che riponeva troppe speranze nelle potenzialità umane di sviluppare
una coscienza solidaristica; tuttavia questi nostri tempi in cui assistiamo,
quanto meno in Occidente, a una vera e propria morte dell’Utopia e dei suoi
sogni, ci mostrano come l’Utopia sia la linfa vitale dell’elaborazione e della
progettazione politica, sociale, filosofica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"><br /></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi25r5wjUzl-GCr2rHthS2ssp_57AFGttIT5yGA4wLCYi-kNYuJCNVRalyAaxtZhhSj_qs3i1RX7wQ7fJeFJ_r9_hHB74N_SWccE60AAcwJ5tntb776yU8GEcigeHPnv1IV0GHCHkQxaDwg/s1600/Chas+Byka.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi25r5wjUzl-GCr2rHthS2ssp_57AFGttIT5yGA4wLCYi-kNYuJCNVRalyAaxtZhhSj_qs3i1RX7wQ7fJeFJ_r9_hHB74N_SWccE60AAcwJ5tntb776yU8GEcigeHPnv1IV0GHCHkQxaDwg/s320/Chas+Byka.jpg" width="225" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: 'Bodoni MT', serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><i>Chas Byká, </i>inedito in Italia</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">È
difficile immaginare <i>Cor Serpentis</i>
scritto in un’epoca storica diversa da quella in cui fu effettivamente scritto.
La (relativa) rinascita del sogno socialista seguita alla denuncia della
politica staliniana da parte del nuovo leader sovietico Nikita Chruš</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">čё</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">v inquadra la novella come una lettura
utopistica di quella rinnovata speranza che si originò dal voltare pagina
operato dal politico ucraino. E diventa facile pensare che la restaurazione
attuata in seguito dal cupo ordine brezneviano condurrà le speranze e la
visione gioiosa, l’aspettativa di un felice futuro di pace coltivata nella
novella a mutarsi nella visione critica del romanzo <i>Chas Byká</i>, che è del 1968. <i>Cor Serpentis</i> è innegabilmente un’opera
che contiene un intento propagandistico e didascalico, ma è ben lungi dal
ridursi a questo. Nella scrittura il linguaggio e l’animo di Efremov si
mostrano primariamente gioiosi. Il desiderio di un futuro di pace e di amore
per la conoscenza è palpabile nella sua sincerità, così come la convinzione che
questo possa avvenire solo con il compiersi del comunismo. <table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEdLSmftZ4MdFKnGcXVD3dFuaS8ojq6fjYt4VqVh0hATGpAlWpvaG0cScotdDcT71vkFWvmeOFHx5PfyPHO0zArLzq8itG0zPGnnqiURR10fDpNUQRQn4oY3wFSt1PS34AEkYm_ziBnyLp/s1600/Ivan-Efremov-1926.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEdLSmftZ4MdFKnGcXVD3dFuaS8ojq6fjYt4VqVh0hATGpAlWpvaG0cScotdDcT71vkFWvmeOFHx5PfyPHO0zArLzq8itG0zPGnnqiURR10fDpNUQRQn4oY3wFSt1PS34AEkYm_ziBnyLp/s200/Ivan-Efremov-1926.jpg" width="133" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'autore poco più che ventenne</td></tr>
</tbody></table>
A questa genuinità
di pensiero va concessa l’ingenuità delle estreme semplificazioni psicologiche,
sociali e di proiezione storica che Efremov compie. Gli uomini e le donne
partiti dalla Terra per esplorare le profondità spaziali alla ricerca di
conoscenza, e con la speranza di incontrare altre razze intelligenti, sono
vuoti nella perfezione delle loro coscienze, nella purezza della loro anima,
nella completa equanimità della loro morale. E così dal momento che Efremov è
comunque troppo un buon scrittore per appiattire del tutto i personaggi senza
conferire loro dei guizzi di emozione e vitalità, umana e narrativa, tuttavia i
dubbi sollevati da Kari Ram o le velate suggestioni erotiche innescate da Afra
Devy - come anche l’ironia e le apparenti malinconie del comandante Muta Ang oppure
ancora la timidezza di Tei Eron – appaiono ulteriori dettagli atti a mostrare
una più ampia e meno superficiale perfezione umana ma non il suggerimento di un
dubbio dell’autore o di uno scavo psicologico fine alla descrizione di un
essere umano oltre al personaggio funzionale. L’equipaggio dell’astronave <i>Tellur</i> è composto di uomini e donne di
nuovo tipo, che possono avere occasionali e fugaci manifestazioni di un modo di
pensare arcaico (come Kari Ram), ma che in realtà li hanno solo in funzione di
offrire all’autore il modo di confutarlo. E del tutto speculari agli astronauti
terrestri sono quelli dell’astronave aliena, gli umanoidi che respirano fluoro
e con i quali non può esservi pertanto interazione fisica, ma con i quali ci si
intenderà perfettamente nella cornice di una fratellanza universale tra specie
senzienti che è l’approdo finale dell’utopismo universale di Efremov, del suo
umanesimo socialista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"><br /></span></i></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiARAOqXm_eeLDVV7rrySCBmJ22zddPvtVpoUv6lNBGAlYe8DHMUel7mhgU0WVl1sJY5Ry-QBHLn487L7PK2ZTjGUx6IfmhETvXCrWtBHsMnxLLl5etAbIIiS9IjafkcgPh4zaWOY0s61E/s1600/Incontro+su+Tuscarora.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiARAOqXm_eeLDVV7rrySCBmJ22zddPvtVpoUv6lNBGAlYe8DHMUel7mhgU0WVl1sJY5Ry-QBHLn487L7PK2ZTjGUx6IfmhETvXCrWtBHsMnxLLl5etAbIIiS9IjafkcgPh4zaWOY0s61E/s1600/Incontro+su+Tuscarora.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Incontro su Tuscarora, Galassia 33<br />Una delle poche opere di Efremov<br />apparse in Italia</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">Cor Serpentis</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"> è un prodotto della sua epoca anche in
quanto prodotto della Guerra Fredda. È infatti noto come la novella di Efremov
sia una risposta, se non polemica certamente in antagonismo dialettico, al
racconto di Murray Leinster <i>First Contact
</i>pubblicato nel 1945. Il racconto leinsteriano, esplicitamente richiamato da
Efremov nel suo, è una delle migliori narrazioni sul primo incontro tra la
specie umana e gli alieni ed è tra le cose più belle di Leinster, uno dei
pionieri della fantascienza americana delle riviste. In <i>First Contact</i>, sebbene la conclusione possa comunque dirsi positiva
e ottimistica, l’evento del primo incontro della specie umana con una razza
aliena è senza dubbio dominato dalla paranoia, dal sospetto e dalla sfiducia
reciproci, e lo spettro della guerra è presente e reale. In contrasto con la
visione da Guerra Fredda di Leinster, Efremov vorrà sostenere che la paranoia e
il sospetto non potranno più appartenere a un’umanità approdata, attraverso la
logica dialettica del socialismo, a una maturità spirituale consapevole dell’appartenenza
dell’individuo e degli individui a una specie in pacifico e fiorente divenire,
storico e biologico. Una maturità che dovrà necessariamente appartenere a ogni
eventuale specie senziente dell’universo passata necessariamente attraverso le
stesse esperienze politiche e sociali dell’Uomo della Terra. Una visione che
forse ripone davvero troppa fiducia nella ragione umana, ma che tuttavia è
grandiosamente visionaria nel senso in cui dovrebbe sempre esserlo la narrativa
fantascientifica, volta all’esplorazione dei limiti umani e alla proposta dei
sogni indispensabili a nutrire la progettualità del futuro. Una visione che
forse è bene leggere come complementare e non oppositiva a quella fornita in
precedenza da Leinster.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfFF_BkM-l_RiAxGaSfv8U4jgAViX3OGax9NxExd3E2KPQIstfV8b5V5aayi6XYict-I9va8rYBAumXtATj0QZbxSf2OEeVlT0BJQO2S-WWeNpEXY27s_vgSDr0R9gUmERIh-8Sd99LSa4/s1600/La+formula+impossibile.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfFF_BkM-l_RiAxGaSfv8U4jgAViX3OGax9NxExd3E2KPQIstfV8b5V5aayi6XYict-I9va8rYBAumXtATj0QZbxSf2OEeVlT0BJQO2S-WWeNpEXY27s_vgSDr0R9gUmERIh-8Sd99LSa4/s320/La+formula+impossibile.JPG" width="240" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Bodoni MT";">La
prima edizione italiana di <i>Cor Serpentis</i>
apparve nel 1963 sul fascicolo n.26 di Galassia prima veste grafica, con il
titolo <i>Il Cuore del Serpente</i>. La
seconda e a tutt’oggi ultima ristampa per quanto mi risulti, avvenne quattro
anni più tardi in <i>La Formula Impossibile</i>,
quinto volume della collana Fantascienza Sovietica, con il titolo di <i>Cor Serpentis</i>. Il volume presentava,
come quasi tutti i fascicoli della collana, un’antologia di racconti, tra i
quali abbastanza sorprendentemente non è stata privilegiata la novella di
Efremov per la scelta del titolo, scelta che è invece caduta sulla più breve
novella di Evgenij L’vovi</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">č</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">
Vojskunskij e Isaj Borisovi</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">č</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"> Lukod’janov. Nell’indice del volume l’autore è indicato
come <i>I. Epremov</i>, mentre nel corpo del
volume, alla pagina di presentazione della novella, esso figura come <i>I. Efremov</i>. Tanto per sottolineare che
se la traduzione era pessima, la cura editoriale era anche più fatiscente. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-62248227015507526862013-09-22T09:50:00.002-07:002013-09-22T09:50:19.730-07:00Intersezioni – Il giorno rubato (2013) di Marco De Franchi (n.1962)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCX1x3CCZiseyzw3NN1T2u6qC7uul9AnA61zywy56cF2EqdYB_VxwPPf460qkeCLLYrgtVEbuLvAmYu9DOt19nFgZoIJpIwVLpr94qTO992vGalgUe1gtWB_LFnaS5L0IHUNlCZ8gTL8ba/s1600/marco+de+franchi.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCX1x3CCZiseyzw3NN1T2u6qC7uul9AnA61zywy56cF2EqdYB_VxwPPf460qkeCLLYrgtVEbuLvAmYu9DOt19nFgZoIJpIwVLpr94qTO992vGalgUe1gtWB_LFnaS5L0IHUNlCZ8gTL8ba/s320/marco+de+franchi.JPG" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una storia di intersezioni:
questo è <i>Il giorno rubato</i>. In primo
luogo a intersecarsi sono i principali registri narrativi: realistico,
fantascientifico, fantastico puro. Sebbene in nessun modo il romanzo possa
essere fatto rientrare nella letteratura realistica, tuttavia il linguaggio di
De Franchi e il suo modo di raccontare hanno un forte sapore realistico che per
molti versi amplifica l’effetto delle vicende narrate sul lettore e imprime
alla narrazione una corposa tridimensionalità emotiva. L’irruzione dello
stupefacente, del soprannaturale e dell’inimmaginabile risultano ancora più
stranianti nell’economia di una storia che l’autore pare spesso narrare come se
dovesse ricondurla, anche a forza, entro i confini della ragione. Una
dissonanza ricercata, sicuramente, per sollecitare continuamente il lettore; e
puntualmente trovata. Se il romanzo va ascritto sicuramente più al fantastico
puro che ad altro, non è meno vero che anche un purista della fantascienza può
rubricarlo tra la fantascienza più ibridata, una fantascienza lovecraftiana
principalmente, e tra quegli universi narrativi, ibridi appunto, che rimandano
a Lord Dunsany o ad Arthur Machen. Fantascientifico, del resto, è anche il “gadget”
al centro del libro – o meglio il punto di partenza della vicenda, il fenomeno
che ritorna ossessivamente e che ossessivamente arriva a permeare l’esistenza
di Valerio Malerba, il protagonista del romanzo, e degli altri personaggi
principali. Il giorno rubato, appunto. Quel 13 marzo del 2007 che risulta
scomparso dalla sequenza temporale degli eventi. Nessuno (o quasi, come si
vedrà) ha memoria della giornata; niente è accaduto e registrato quel giorno;
non esistono giornali del 13 marzo 2007, pagine di internet, eventi di cui vi
sia traccia. Nulla di nulla. Si scoprirà poi che quel 13 marzo è ben lungi
dall’essere il solo giorno della storia umana scomparso a quel modo. Un assunto
dickiano: come ricca di suggestioni dickiane è la trama più genuinamente
fantascientifica del romanzo, e un sapore dickiano ha anche la conclusione del
libro, forse meno aperta di quanto sembri a prima vista. Dickiano è anche il
frequente intersecarsi dei piani spaziali e temporali, lo sfibrarsi e
sfilacciarsi del tessuto della realtà. Realtà che spesso si confonde in una
sequenza di eventi illogici, o meglio governati da una logica che appare altra.
Una fortissima eco fantascientifica proviene senza dubbio da un romanzo oggi
probabilmente dimenticato dai più, ma che resta tra le opere migliori della
fantascienza degli anni ’30, oltre che uno splendido esempio di ibrido
perfettamente riuscito – in questo caso tra un registro stilistico dalle
profonde venature orrorifiche e una solida vicenda di fantascienza; una
commistione che il romanzo di De Franchi fa virare con convinzione più verso il
lato dell’orrore: un orrore metafisico e ancestrale, nato in territori oltre la
ragione e la natura conoscibile e originatosi nei tempi nei quali andava
plasmandosi la simbologia archetipica dell’umanità. Il romanzo in questione è <i>Schiavi degli Invisibili</i> (<i>Sinister Barrier</i>) di Eric Frank Russell,
del 1939. Ne si rinviene la tramatura nell’esplicito richiamo che De Franchi fa
a Charles Fort, principale fonte di ispirazione del romanzo russelliano; e ne
si osserva l’altrettanto esplicito richiamo dato dalle analogie che possono
ravvisarsi tra i <i>Vitoni </i>dell’autore
britannico e i <i>Cancellatori </i>dell’italiano.
La ricerca delle fonti e, ancor di più,
la ricostruzione della genealogia letteraria di un’opera naturalmente non ha
alcun senso in sé, se non un’utilità merceologica per i commessi delle librerie
al fine di compiere quello sfregio che è la ripartizione bovinamente eseguita
per generi sugli scaffali. Ha invece senso nel tentativo di risalire le
correnti letterarie, emotive, artistiche, psicologiche che portano alla
scrittura dell’opera. Ha senso nel circostanziare la lettura e
l’interpretazione dell’opera. Il reciproco relazionarsi dei registri narrativi,
l’intersezione e la compresenza di horror, fantascienza e territori di un
fantastico più libero, è reso esplicito dall’autore stesso. A pagina 182,
attraverso le considerazioni che il suo protagonista fa su quelli che nel libro
sono definiti <i>Cancellatori </i>oppure <i>Mater Matuta</i>, dà in un certo senso
un’interpretazione autentica della cosa: <i>Però,
energie o creature divine che siano, pare che anche “loro” debbano rispettare
una qualche legge fisica: non forse della fisica che noi conosciamo, ma certamente
di una natura che ha regole e confini. Almeno io lo spero.</i> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDlmEVjLLrdEdYtfHZKlWYV-0eeIZI000iR7ysm7rK-pR7Y8wdIODjvhTZsKPobTFHjACYgqCozXRv8F640Zpse-bO1bkp2aQ7NB0Q_4eQVnJhWJdw8MBIy3SYe5iMQGJmdl1VG1Q9qtoZ/s1600/schiavi+degli+invisibili.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDlmEVjLLrdEdYtfHZKlWYV-0eeIZI000iR7ysm7rK-pR7Y8wdIODjvhTZsKPobTFHjACYgqCozXRv8F640Zpse-bO1bkp2aQ7NB0Q_4eQVnJhWJdw8MBIy3SYe5iMQGJmdl1VG1Q9qtoZ/s400/schiavi+degli+invisibili.jpg" width="286" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La più recente edizione del capolavoro di Eric Frank Russell</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ne <i>Il giorno rubato </i>osserviamo perciò l’intersecarsi delle due
polarità narrative e psicologiche del razionale e del fantastico, e l’irruzione
di quella polarità che di suo è già un punto di intersezione tra la ragione e
l’immaginazione: il mito. Pullula di archetipi mitici il racconto di De
Franchi. Alcuni più espliciti: la Mater Matuta che si incontra in tutto il
romanzo, con contorni mai completamenti definiti e continuamente sovrapposti con
quelli di altri, anche di moderna matrice letteraria come i Grandi Antichi
lovecraftiani; la realtà frutto del gioco crudele di divinità o entità crudeli
e malevole, o semplicemente beffarde e insensibili, gli infiniti dei o demoni
burloni; l’eterno tema del doppio, della copia malevola di noi stessi, uno
degli strumenti psicologici che da sempre l’uomo utilizza per esternalizzare il
male, deresponsabilizzarsi attraverso l’individuazione di un soggetto altro da
sé come agente del male che egli fa, e dare sfogo al sostrato paranoico della
mente: qui lo troviamo nel continuo e ansiogeno manifestarsi di ambigue e
spesso indecifrabili copie dei personaggi del libro. Altri archetipi appaiono
meno evidenti, o meglio meno posti in evidenza dall’autore. Principalmente il
ciclo nascita-morte-rinascita di cui tutto il romanzo pare comporre
un’allegoria. La Roma moderna che fa da sfondo principale a <i>Il giorno rubato</i>, e a cui a volte la
penna di De Franchi consente di sottrarre la scena al racconto,<i> </i>è una città dove si intersecano –
ancora – tutti i suoi piani storici, protostorici e preistorici. È una città la
cui moderna apparenza cela il persistere di culti millenari reminiscenti delle
radici preistoriche e reali di entità che paiono vivere e operare in intersezioni
tra vari piani di realtà, tra vari piani spaziali e temporali. <i>Mater Matuta</i>, il nome dell’antica
divinità romana, una delle innumerevoli incarnazioni della Grande Madre, è quello
che identifica il complesso di tali entità, forse forme di energia che dalla
notte dei tempi governano l’umanità come una loro mandria; un nome buono come
un altro, afferma uno dei personaggi nel parlarne con Valerio Malerba. Eppure
forse non è un nome come un altro.<o:p></o:p></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiQbnwPe3-Uhg1w-xU1rzE9XDKNlIxbdvyGrtEg4Ap2qLghpYhOwA3kDQpoYPNwVcULscTvojhrX8hz52J0zv_X6D4wvCnHsosdwGkfdFEkZYhWmLZcY4jAtJEZXluiQwf01TgbMla5LpP/s1600/Giorno+Rubato.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiQbnwPe3-Uhg1w-xU1rzE9XDKNlIxbdvyGrtEg4Ap2qLghpYhOwA3kDQpoYPNwVcULscTvojhrX8hz52J0zv_X6D4wvCnHsosdwGkfdFEkZYhWmLZcY4jAtJEZXluiQwf01TgbMla5LpP/s400/Giorno+Rubato.jpg" width="257" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il romanzo è il secondo volume della collana Fantastico Italiano</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Né il mitologema della Grande
Madre – la Dea - né lo specifico mito di Mater Matuta paiono scelti a caso. La
Dea non è, o quanto meno non è soltanto, una divinità benevola. La Dea
rappresenta il femminile - la natura - in tutte le sue declinazioni: è
generatrice, ma anche distruttrice; incuba la vita e la dà alla luce, ma divora
anche, come paiono letteralmente fare i Cancellatori del romanzo. Lasciando
stare la sua tarda identificazione con la greca Leucotea, Mater Matuta è una
divinità dell’aurora – dunque della nascita – e in seguito del parto, nascita e
rinascita della vita. Ma tra i suoi attributi, oltre la colomba, simbolo di
inizio, vi è anche il melograno, l’ultimo frutto a maturare, annuncio del
letargo/morte invernale ma ricco di semi: simbolo di morte e rinascita. Il
ciclo continuo della vita naturale: nascita, morte e rinascita attraverso il
seme. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-oC2ta_4rLwFwVPTk2daFVQoY7gJkUAja7ivg8lS-uMAJDwaOMDHHLrm_bdjCw1O709tnO00WW4T0f6udjGzaqCgHSSayWjQK-zxITtmLN1jPnULAnd-cPoM90_6BR5P2W92TOlyCW9NU/s1600/Mater+Matuta+VI+secolo+ac.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-oC2ta_4rLwFwVPTk2daFVQoY7gJkUAja7ivg8lS-uMAJDwaOMDHHLrm_bdjCw1O709tnO00WW4T0f6udjGzaqCgHSSayWjQK-zxITtmLN1jPnULAnd-cPoM90_6BR5P2W92TOlyCW9NU/s320/Mater+Matuta+VI+secolo+ac.jpg" width="193" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Splendida statua della Mater Matuta, VI secolo a.C.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’intera vicenda vissuta da
Valerio assume le sembianze di un viaggio iniziatico e di conoscenza, ma anche
di un ciclo vitale che si ripete. A cerchi concentrici. E con Valerio –
attraverso Valerio – è tutta l’umanità ad affrontare il viaggio e il ciclo.
All’inizio del libro Valerio “nasce” e contemporaneamente “muore” e “rinasce”. “Muore”
in un piano di consapevolezza per “rinascere” in un altro, a partire dalla
prima “morte”, che in perfetta contraddizione con il principio di causa/effetto
precede la prima “nascita”. Quasi muore, Valerio, per un infarto, vero o
presunto che sia; e rinasce a una nuova serie di eventi, una nuova realtà. Nasce,
muore e rinasce continuamente la sequenza temporale, l’esistenza umana, ogni
volta che Mater Matuta interviene a operare una di quelle sospensioni temporali
durante le quali le leggi fisiche note all’uomo sono sospese, per motivi che
restano ignoti: quegli innumerevoli giorni rubati. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Poi interviene qualcosa a
spezzare la continuità continuamente fratta del ciclo; o forse a creare una
discontinuità maggiore e instaurare una ciclicità fondata su nuove basi, quanto
meno libera dalla predazione parassitaria di Mater Matuta. L’evento nucleare,
che simbolicamente avviene in concomitanza con l’ultima “morte/rinascita” di
Valerio, è l’inatteso accadimento che spariglia il misterioso ordine delle cose
imposto da Mater Matuta. Le energie sono potenti, ma appunto non onnipotenti.
Né onniscienti. Non si aspettano che gli uomini, nella loro follia, diano
inizio a una guerra globale che certamente farà precipitare i sopravvissuti
eventuali in un inverno nucleare. L’inatteso evento lascia attonita Mater
Matuta e in qualche modo impedisce il compimento del previsto ed ennesimo
spasmo temporale, l’ennesima ripartenza dopo la fine. L’umanità,
inconsapevolmente, si è liberata della catena dei Cancellatori/Mater Matuta
spezzando violentemente uno degli anelli. A quale prezzo non è dato saperlo.
L’evento nucleare è una morte, ma per coloro che in qualche modo sopravvivranno
sarà una rinascita. E sarà la nascita di un nuovo ordine, di un nuovo rapporto
con la natura. Forse l’instaurarsi di una nuova ciclicità su nuove basi, forse
la perpetuazione di un ciclo maggiore composto di cicli minori come quello
appena interrotto. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKfE0mEGWYQ1O5ClLfQuA177JqVW7JEw1F2vZfgkP3xJxOw1f2DAWmV_T-2-7erMA17Z964d_oXdU0mpiCyG3QMXB48TNaNAP9LTJPK5hcG3NJUe9PodXtlGnKQ37dtQESVw1peCRFqVrN/s1600/venere_di_willendorf5.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKfE0mEGWYQ1O5ClLfQuA177JqVW7JEw1F2vZfgkP3xJxOw1f2DAWmV_T-2-7erMA17Z964d_oXdU0mpiCyG3QMXB48TNaNAP9LTJPK5hcG3NJUe9PodXtlGnKQ37dtQESVw1peCRFqVrN/s400/venere_di_willendorf5.jpg" width="217" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Venere di Willendorf, XXII millennio a.C., forse raffigura una proto Grande Madre </td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tale materiale, questa ricca
congerie di suggestioni e rimandi, classici, letterari, mitici, sarebbe solo un
magma, confuso benché affascinante, se non vi fosse a dare forma compiuta al
tutto la scrittura di De Franchi. Il ritmo incalzante della vicenda, che spesso
si fa a tal punto frenetico da lasciare il lettore disorientato, quasi senza
fiato. La sua capacità di trascinare dentro la storia narrata, di far
appassionare al destino dei suoi protagonisti, individui del tutto comuni e
anonimi, in fondo; ma che proprio per questo si avvicinano alla nostra
sensibilità fino a toccarci: potrebbero essere i nostri cari; potremmo essere
noi stessi. C’è l’indubbio mestiere descrittivo di De Franchi, che si dispiega
sia nell’uso di un linguaggio che sa suscitare al momento giusto il
raccapriccio, l’orrore, l’empatia, lo stupore; sia nell’abilità di traslare con
apparente facilità gli scenari urbani e agresti da una dimensione banalmente
quotidiana all’orrore dell’ignoto. Un mestiere solido e consapevole, la
ricchezza inventiva del narratore vero unita alla disciplina di uno scrittore
serio. C’è un’anima dietro questa storia, qualcuno non interessato a stupire
tanto per, ma intenzionato a suscitare un coinvolgimento non epidermico nel
lettore, a lasciargli l’impressione di aver effettuato un viaggio nei territori
dove nasce l’immaginario. E che ci riesce, per di più con un libro che,
dall’inizio alla fine, può essere letto anche solo come una pura avventura,
come una lettura puramente e pienamente divertente.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Confesso che prima de <i>Il giorno rubato </i>non conoscevo Marco De
Franchi; scopro che ha una lunga carriera alle sue spalle (e spero molto più
lunga davanti a sé); una carriera frastagliata, interrotta e poi ripresa, e che
solo con questo romanzo viene a riaccostarsi a quei territori del fantastico
nei quali aveva inizialmente pascolato. Spero siano i territori nei quali
resterà acquartierato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-48209740863421971742013-09-08T07:15:00.000-07:002013-09-08T07:15:38.562-07:00Il classico – Resurrezione (The Monster - 1948) di Alfred E. van Vogt (1912-2000)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr2Y-E8asS_LV00-CitVjUjlFxva08x3pXO4iZcgX-8e67_jJAHWBAfck9M9At70l02hETWCMDFDQZOhEUtqUCvsbR-0PScNX0YNTBakchme3-LGHEvYxdJZ7HBaIzyMC1DeJThGvfP6G1/s1600/vanvogt.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr2Y-E8asS_LV00-CitVjUjlFxva08x3pXO4iZcgX-8e67_jJAHWBAfck9M9At70l02hETWCMDFDQZOhEUtqUCvsbR-0PScNX0YNTBakchme3-LGHEvYxdJZ7HBaIzyMC1DeJThGvfP6G1/s1600/vanvogt.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Gli itinerari che ci
conducono a una lettura possono essere i più vari. Così Makkox: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A. E. Van Vogt sfornava merda a rullo di
rotativa, me lo ritrovavo sempre tra i coglioni, era una settimana sprecata
l’urania di van vogt, ma insomma, ero ragazzino, non selezionavo molto, il mio
tempo era infinito, mi mangiavo anche a. e. van vogt, scuotendo la testa, sputando
i semi. Lui ci metteva un sacco di mostri coi tentacoli e astronavi e
cagate di cartapesta indigeribili così, nelle sue storie. </i>Si può leggere
tutto qui: </span><a href="http://makkox.it/2013/06/25/dopo-matheson/">http://makkox.it/2013/06/25/dopo-matheson/</a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>Makkox
è un autore di fumetti che mi piace molto, le sue strisce raccontano con
profonda e acuta visione analitica di quella geografia umana truffaldina e
marcescente che è l’Italia di oggi, e di quel suo abitante antropologicamente
deficitario che è l’Italiano di oggi (ma più probabilmente l’Italiano di
sempre, che è colui che ha partorito, educato, conformato l’esemplare odierno).
Però rientra tranquillamente nel ventaglio delle realtà possibili il fatto che
Makkox, di fantascienza, non capisca una mazza. Come di fatto dimostrano le sue
parole. Neppure a me è mai particolarmente piaciuto l’autore canadese; è
tuttavia deprimente che si sia ancora così spesso fermi a quella visione tanto
angusta, quel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cosmic Jerrybuilder</i>
(costruttore di scadenti trame cosmiche) con cui Damon Knight bollò van Vogt
quasi settant’anni fa. L’anatema knightiano perseguitò a lungo van Vogt che,
per riceverlo a sua volta, dovette attendere che allo stesso Knight venisse
conferito prima di lui il massimo riconoscimento della carriera di un autore di
fantascienza: il Grand Master Nebula Award, assegnato - solo dal 2003 con cadenza
necessariamente annuale - dall’associazione degli scrittori americani di
fantascienza e fantasy, la SFFWA (oggi Damon Knight Memorial Grand Master
Award, per onorare in Knight il fondatore dell’associazione). Knight ricevette
il titolo nel 1994; van Vogt nel 1995: a spanne, con un quindicennio di
ritardo, e quando l’Alzheimer stava ormai aggredendo quella sua mente con la
quale aveva sempre voluto indagare, narrare, ma più di ogni altra cosa sognare
la complessità più misteriosa e impervia della realtà cosmica e di quella
umana. Così Makkox mi ha stimolato a rileggere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Rull</i>, uno di quei capolavori vanvogtiani con alieni
cattivissimi e mostruosi e una guerra senza quartiere per il futuro dell’umanità,
e oggi addirittura <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Monster</i>, un
racconto programmatico sin dal titolo, dove ci sono appunto mostri tentacolati,
astronavi potentissime e cagate di cartapesta indigeribili, per citare di nuovo
il Nostro. A parte il fatto che il “Monster” del titolo non è alcuno dei tizi
tentacolati ma è un qualcuno che, intuitivamente, è un essere umano del futuro.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLQ_CDzDIGdMlCrsTOoKxlzesXwAQ0dlCnb0CheyqPdv9pO2HDob0oyeuHKLCoOMHa944Zf1v6amR41Le-3APPq7rSlHndefHvTdP0AEvcmolTiEpler4UvwpOL9LnFym37nexlE_-7LBA/s1600/Creature+u1134.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLQ_CDzDIGdMlCrsTOoKxlzesXwAQ0dlCnb0CheyqPdv9pO2HDob0oyeuHKLCoOMHa944Zf1v6amR41Le-3APPq7rSlHndefHvTdP0AEvcmolTiEpler4UvwpOL9LnFym37nexlE_-7LBA/s320/Creature+u1134.jpg" width="218" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"><i>The Monster</i> approda su Urania, nel fascicolo 1134 del 1990</span>.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cosmic Jerrybuilder</i> (e la sua ancor più colorita trasposizione
makkoxiana) è deprimente non perché non sia vero – lo è: le trame di van Vogt
sono per solito raffazzonate, confuse, caotiche e incoerenti, e la plausibilità
in quello che scrive è generalmente assente. Anche se a volte ERA assente - al
suo tempo – ma oggi può adombrare l’idea di un uomo la cui immaginazione
(sbrigliata e libera ancorché confusa, caotica ecc.) fosse molto avanti: nella sua
introduzione a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Destinazione Universo</i>,
una delle moltissime antologie che hanno ospitato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The monster</i>, Sandro Pergameno scrive: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Un altro punto fondamentale dei «contenuti» delle storie del Nostro
sono le sue «mitologie scientifiche», cioè le scienze da lui create di volta in
volta. Spesso van Vogt si rifà a teorie già esposte da alcuni pensatori e
scienziati del nostro tempo, interpretandole tuttavia in maniera estremamente
personale. Abbiamo così (…) e la de-differenziazione e totipotenza delle
cellule del corpo umano che permette le imprese più pazzesche al protagonista
di</i> The beast. Noi viviamo oggi un tempo in cui si studiano le cellule
staminali e si creano artificialmente cellule staminali pluripotenti, un tempo
nel quale quella totipotenza ricordata da Pergameno verrebbe tranquillamente
utilizzata da un Robert A. Heinlein redivivo più che da un van Vogt di nuovo
tra noi: quell’Heinlein che correttamente Alexei Panshin, riportato qualche
frase prima da Pergameno, definisce “antipodo” dell’autore canadese
(sottinteso: il campione della fantascienza “razionale” contro quella “irrazionale”
di AEvV). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cosmic Jerrybuilder</i> è deprimente perché è così desolatamente
superficiale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX7z8WL7Un3RGXQ934z9UZcHgoMObSlgPmHqo7DEEabk9324oXFMCtt96L3e3WtwmU15Bm6ihkFrA8PT8SZlHeAXYNr5RLkIYJI7KqRZH751JjEOez8APivoAtBB3x9nn_NxM8gybac565/s1600/destinazione+universo+1979.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX7z8WL7Un3RGXQ934z9UZcHgoMObSlgPmHqo7DEEabk9324oXFMCtt96L3e3WtwmU15Bm6ihkFrA8PT8SZlHeAXYNr5RLkIYJI7KqRZH751JjEOez8APivoAtBB3x9nn_NxM8gybac565/s320/destinazione+universo+1979.JPG" width="215" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">1979: in Destinazione Universo per la Cosmo Oro della Nord.</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non è tanto e non è solo
quanto affermava Philip K. Dick, che dello scrittore originario del Manitoba
era un estimatore, e cioè che diversamente dagli autori più “razionali” di lui
(massime, senza dubbio, il già citato Heinlein e Isaac Asimov) le trame
sconclusionate e anarcoidi di van Vogt erano più vicine a rappresentare la vera
realtà. Anche qui, naturalmente, si dovrebbe più correttamente parlare di
percezione immediata della realtà: è a questa che è così maledettamente simile
a volte la prosa vanvogtiana. La fascinazione di Dick per van Vogt appare
naturale in questo senso, e non v’è dubbio che la sensazione di spaesamento che
lasciano certe pagine di van Vogt sia la stessa che possiamo avere messi di
fronte a certi accadimenti della vita. Ma non è soltanto questo. E neppure è
solo quello che dice James Gunn, ancora una volta citato da Pergameno: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le storie di van Vogt non tentavano di
presentare un ritratto razionale del mondo né di fare una consistente
previsione scientifica del progresso futuro; esse trattavano i temi della
fantascienza come se fossero stati temi favolistici. </i>Non è soltanto la
costruzione di un edificio mitologico, a un tempo modernissimo nel luccicare di
astronavi tanto avveniristiche da apparire da subito impossibili e
contemporaneamente così antico, eterno, nel risvegliare i demoni ancestrali
della specie umana (e basti l’esempio di Coeurl, il “Distruttore Nero” del
primo racconto di AEvV.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1Saxo9T4iD88dJD04mN2QHmAFewDTaLGGIGYz6mX9hYeMV-qFtw_9PBfH_Ih9gOJxBdhVmvpRnYE5KkAonWxl_tveaXqkNW4R7gb7_QVHQS4XTR9lpKpbbm7dCi9eWqsK1QljbYeaeyOc/s1600/destinazione+universo+1995.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="150" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1Saxo9T4iD88dJD04mN2QHmAFewDTaLGGIGYz6mX9hYeMV-qFtw_9PBfH_Ih9gOJxBdhVmvpRnYE5KkAonWxl_tveaXqkNW4R7gb7_QVHQS4XTR9lpKpbbm7dCi9eWqsK1QljbYeaeyOc/s200/destinazione+universo+1995.JPG" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">Poi ristampato nel 1995.</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Oltre a quanto sopra vi è,
sovrastante e sottostante mi viene da dire, la descrizione di un universo
paranoide nel quale la paranoia umana trova linfa e legittima collocazione. A
dispetto di quanto ancora affermava Knight, che le psicologie dei personaggi di
van Vogt fossero di cartapesta (e ancora una volta è verissimo, in senso
superficiale), è come se l’opera vanvogtiana fosse incentrata su quello
specchio, deformante ma anche raffinatissimo, che è l’abito paranoico che attraversa
la storia umana e che ritroviamo nelle grandi figure superomistiche della
storia, nella propensione culturale alla guerra che interessa infinite culture
umane, nelle strutture del potere interno di quelle stesse culture; che vediamo
benissimo in atto ai nostri giorni: viviamo in società di cui non è difficile
intravedere il collasso futuro causato dai costi – economici, umani, morali –
delle strutture di potere edificate sulla paranoia. È tutto questo che Alfred
van Vogt proietta nel futuro e negli altrove descritti nelle sue opere. Ma del
resto, è la stessa psicologia di van Vogt che troviamo trasposta nella sua
opera, permearla completamente. L’uomo che per oltre un decennio rimase
intrappolato tra le maglie di un’organizzazione (mentale in primo luogo)
paranoica come poche altre quale era la Dianetica dello stregone Hubbard, poi
evolutasi nella Scientologia, è un uomo che vive un’ossessione per l’ordine
interno e il controllo della propria mente, è una personalità infantile,
paranoide, affascinata dal messianismo e dal superomismo. La sua intera opera è
un diario intimo delle sue ossessioni, una poderosa proiezione all’esterno di
un mondo fantastico e fantasticato interiore così sovrabbondante da tradursi in
un elenco rigoglioso di romanzi e racconti, uno più improbabile dell’altro, e
in genere uno la ripetizione (psicologica) dell’altro. I suoi personaggi hanno
una psicologia di cartapesta perché essi, come anche ogni fenomeno e concetto
delle sue opere, non sono altro che aspetti della sua psicologia, ed è il
complesso della sua opera a manifestare la profondità psicologica: del proprio
autore. Alfred E. van Vogt ha sempre raccontato se stesso e la sua psicologia
estremamente complicata e liminare, e attraverso se stesso ha raccontato il
disagio paranoico che percorre la storia umana.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU8y1ESYKBGhsE8drFVLVw0M4UUWqjrv8OG0J417zxE32IhxTjZCHUMvR-Hut8PAMaxR1wI55rAP5nGUP6OcDb5UQDC1uE2uhgoA5F8YBR4a2wcsOyGGUZ9GYlOZ61Rrlj1wDKraf4Wu5O/s1600/Il+titano+d%2527acciaio.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU8y1ESYKBGhsE8drFVLVw0M4UUWqjrv8OG0J417zxE32IhxTjZCHUMvR-Hut8PAMaxR1wI55rAP5nGUP6OcDb5UQDC1uE2uhgoA5F8YBR4a2wcsOyGGUZ9GYlOZ61Rrlj1wDKraf4Wu5O/s1600/Il+titano+d%2527acciaio.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">Come Dalla cenere risorgerai, in appendice a Harrison nel 1962.</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per dare un’ultima volta
torto a Damon Knight, non è che van Vogt fosse incapace di visualizzare una
scena (e per l’ennesima volta questo è vero, a livello superficiale). È che lo
scrittore canadese non scriveva per far visualizzare una scena al lettore
(probabilmente non avrebbe davvero saputo come fare) ma per stimolare in lui
sensi meno razionali. La prosa di van Vogt non è descrittiva, è evocativa. È
indirizzata all’inconscio, non alla parte razionale della mente del lettore; e
dell’inconscio va a sollecitare le paure infantili, stratificatesi negli anni
quando la coscienza era appena in formazione o anche prima. L’indeterminatezza,
la confusione, la non linearità sono tutte vettori privilegiati di questo
movimento dalla pagina dello scrittore alla psiche del lettore. Sono quanto
trasformano un autore obiettivamente non tra i più letterariamente dotati in un
narratore eccezionale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq5O5e7Mbv7AnGkWoYzvGVCm_dP6bM-qyIK5twAGD_TFKTuDh58eoR1QVh4jtQgNROiLnBJ6QVdhoZN51Z70PGX7QIY_Hkx-BqawZDlFMkGDa8WrFm6SzxHrtg7QZN4VFYseTWG5Kh01Tc/s1600/van+vogt+giovane.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq5O5e7Mbv7AnGkWoYzvGVCm_dP6bM-qyIK5twAGD_TFKTuDh58eoR1QVh4jtQgNROiLnBJ6QVdhoZN51Z70PGX7QIY_Hkx-BqawZDlFMkGDa8WrFm6SzxHrtg7QZN4VFYseTWG5Kh01Tc/s200/van+vogt+giovane.jpg" width="168" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">Un giovane AEvV</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sin qui non ho ancora parlato
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The monster</i>, il racconto di cui
questa vorrebbe essere una recensione. In realtà l’ho fatto, perché questo è un
racconto così tipicamente vanvogtiano, sin dal titolo come dicevo più sopra,
che quanto detto lo descrive già perfettamente. La trama e i contenuti
specifici del racconto, come spesso è per le opere di AEvV non sono poi così
importanti – non rispetto al colore delle pagine, alle sensazioni che esse
evocano. Dei mostri tentacolati, membri di una razza aliena molto potente – e molto
cattiva - giungono su un pianeta completamente morto, intuitivamente la nostra
Terra. Resuscitano in sequenza alcuni degli abitanti vissuti sul pianeta in
varie epoche (sono alieni MOLTO potenti, quindi è del tutto NORMALE che
riportino in vita, perfettamente coscienti e funzionanti, degli individui ridotti
a ossa friabili da molti millenni). L’ultimo degli individui in questione
ingaggerà con i tentacolati – che sono MOLTO cattivi, come si ricorderà - un
confronto serrato di strategie psicologiche contrapposte, basato su (più o
meno) misteriosi poteri mentali e tecnologie potentissime. Puro van Vogt,
insomma. O per dirla con Makkox: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cagate
di cartapesta indigeribili</i>. In questa cagata, però, vi è, perfettamente
dispiegata in ogni pagina, in ogni parola, la paranoia che percorre tutta l’opera
vanvogtiana, la paranoia che lo scrittore distillava dalla storia della nostra
specie e dall’epoca in cui viveva, e che proiettava all’esterno di sé spedendola
nei futuri immaginari nati dalla sua fantasia. Una fantasia tanto infantile
quanto, appunto, poetica e onnipotente, in grado di dialogare con quanto di
pre-conscio e di pre-adulto è in noi: e che spesso governa non poco dei nostri
pensieri, emozioni e azioni. Nell’introduzione all’antologia Destinazione
Universo, lo stesso van Vogt scriveva in questi termini del racconto: </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: Calibri;">Non mi sono reso conto che </span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: Calibri;">Il
mostro<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> (The Monster) fosse un bel racconto
finché non l’ho riletto sulla rivista. Si tratta di una storia con un finale
ottimistico sul più remoto futuro dell’uomo e sulla sua grandezza</i>. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È un
bel racconto, indubbiamente; non riesco però a<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>essere d’accordo con AEvV sul finale ottimistico: non trovo nulla di
ottimistico nel trionfo di paranoia umana del finale del racconto. Però io non
sono van Vogt e non ragiono con la sua testa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7HxMQFLH52SPlzyd4mOYPvwi_m34WYE4XWX8sfBgqiPRj0rHegg7BKo9OuQ7bGNemKvsc8SIucwhC7pJ5mAeb5cERhheOXDk0-dS_YSduQANO74PReECwW3EnV14FKTEssCOA3ewRoFym/s1600/astounding+agosto+1948.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7HxMQFLH52SPlzyd4mOYPvwi_m34WYE4XWX8sfBgqiPRj0rHegg7BKo9OuQ7bGNemKvsc8SIucwhC7pJ5mAeb5cERhheOXDk0-dS_YSduQANO74PReECwW3EnV14FKTEssCOA3ewRoFym/s320/astounding+agosto+1948.jpg" width="245" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">Il fascicolo di Agosto 1948 di Astounding Science-Fiction</span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pubblicato in origine sul
numero di agosto del 1948 di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Astounding
Science Fiction</i>, The Monster ha una lunga storia di pubblicazioni italiane,
nel corso della quale si è incarnato in tre titoli diversi. Titoli, una volta
tanto, tutti precisi e ben scelti. Il primo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dalla cenere risorgerai</i>, utilizzato per la sua prima pubblicazione,
in appendice a un pionieristico volume della Cosmo Ponzoni del 1962 che presentava
la prima edizione del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ratto d’Acciaio </i>di
Harry Harrison, non trovò fortuna nelle successive edizioni. Resurrezione, il
titolo che personalmente preferisco, venne usato per la prima volta nel 1969 su
Galassia, nell’antologia vanvogtiana <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le
storie delle lune </i>e tornò in seguito nell’edizione su Urania di un’altra
antologia dell’autore canadese, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Creature</i>
(che curiosamente nell’originale si intitolava <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Monsters</i>). Il titolo filologicamente più corretto, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il Mostro</i>, apparve per la prima volta
nel 1979 nella citata antologia <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Destinazione
Universo</i>, e da allora è stato usato molte altre volte.</span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-25377919666480102732013-08-25T06:26:00.002-07:002013-08-25T06:26:45.164-07:00Al di fuori della fantascienza – Agenzia Generale del Suicidio. (Ècrits – 2005, edizione italiana) di Jacques Rigaut (1898-1929)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyBQJbzZDT2yqANod6Jsafes3xHXkQq9GpNx7TW7SrBWRWsYXpDbqe_v1xsbV1kLXiWXphWwg5HjYpf4Kp1w3KUkdb6Vsw6YBSMWP1oQRnQSgSHHPA5O4N46RGrFEQzgL_eHtbdT1uyUzf/s1600/jacques+rigaut+1922+x.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyBQJbzZDT2yqANod6Jsafes3xHXkQq9GpNx7TW7SrBWRWsYXpDbqe_v1xsbV1kLXiWXphWwg5HjYpf4Kp1w3KUkdb6Vsw6YBSMWP1oQRnQSgSHHPA5O4N46RGrFEQzgL_eHtbdT1uyUzf/s320/jacques+rigaut+1922+x.jpg" width="246" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Mi concedo una “evasione” dai
territori della fantascienza per commentare un libro affascinante. E
spiazzante. Se sette anni fa mi aveste chiesto chi fosse Jacques Rigaut vi
avrei guardati perplesso. Poi, curiosando tra le novità librarie ben lontane
dallo scaffale dei best seller, fui attratto da questo libriccino. L'elegante
verticalità del formato; il colore seppiato della ruvida carta - quasi
cartoncino; l'immagine della copertina, di squallido e poetico realismo, con
quella porta aperta - che invita - verso il nulla. Il titolo, indubbiamente:
così piacione a prima vista, e che poi si rivela quasi un understatement. Le
note sullo sconosciuto – per me - autore: surrealista, dadaista: irrinunciabile.
La biografia rapidamente schizzata nel risvolto di copertina, che apre uno
spiraglio appena su un'esistenza che dovette essere singolare come poche altre. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come spesso mi accade, per
molti anni il libro è rimasto da parte. L'ho preso in mano innumerevoli volte,
tornando a leggere il retro e il risvolto di copertina, senza mai decidermi;
continuando a farmi sedurre da quella copertina seppiata, da quell'immagine
perfetta, da quelle scarne notizie su un'esistenza peculiare. Infine ieri sera
inizio a leggere per caso: avrei potuto farlo almeno una dozzina di volte negli
anni passati, ma l'ho fatto solo ieri, senza un preciso perché. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxLnougXJKDzkOR4GYSW1qcOoiloq-MLqxyaYoGE6KNYDwRVzUzYLA4ttY05XKwkkjpRYmUSb-gl2cHl65jGHXx7tfsOL0wl3zrbf-VAfx8pUIetMF2L-5i9-m3KCvzjmPzhk4CgFIF_lM/s1600/agenzia-generale-del-suicidio-di-jacques-riga-L-1.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxLnougXJKDzkOR4GYSW1qcOoiloq-MLqxyaYoGE6KNYDwRVzUzYLA4ttY05XKwkkjpRYmUSb-gl2cHl65jGHXx7tfsOL0wl3zrbf-VAfx8pUIetMF2L-5i9-m3KCvzjmPzhk4CgFIF_lM/s400/agenzia-generale-del-suicidio-di-jacques-riga-L-1.jpeg" width="222" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una lettura affascinante,
dicevo. Sin dalla corposa (in rapporto alla piccola mole del libro) parte
introduttoria biografica. Di Rigaut non sapevo nulla, dicevo; l'introduzione
racconta di una vita affascinante quanto gli scritti raccolti in questo
libretto, e che a quanto pare sarebbero quasi l'intera sua opera reperibile e
sopravvissuta.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Dico affascinante, ma è bene
intendersi. In termini comuni, di affascinante la vita e gli scritti di Rigaut
non hanno nulla. La sua vita, analizzata nei fatti nudi e negli accadimenti in sé,
è la vita di un essere fatuo e inutile – inutile a sé e all’umanità. Se non vi
fossero questi pochi scritti a testimoniare e illuminare la sua esistenza – e a
motivare il fatto che essa abbia ispirato scrittori come Drieu La Rochelle e
registi come Louis Malle – essa non apparirebbe che un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">vacuum</i>. Ciò che per altro è davvero, a ben vedere, ma con un senso
diverso da quello che intenderemmo. E di affascinante in senso stretto hanno
ben poco anche i suoi scritti. Non per la qualità letteraria e lo stile, che
sono notevolissimi e tanto più sorprendenti se si pensa che Rigaut in vita ha
pubblicato un paio di pezzi di qualche pagina e nulla più, probabilmente per un
totale disinteresse più che per altro: come per ogni aspetto della vita si può
aggiungere. Disinteresse che appare appunto tra le cifre della sua vita e della
sua scrittura. Sono affascinanti, seppure non in senso stretto, perché non sono
il – ricercatissimo – parto letterario di un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">maudit</i>, ma una testimonianza banale di banale verità. Morto suicida
a trent’anni, drogato fino ai capelli di qualsiasi cosa potesse sniffare o
iniettarsi, Rigaut visse un’esistenza estetizzante da dandy. In ciò che scrive
non vi è nulla di estetizzante, se non tutto quello che scrive; e non vi è
nulla di tossico e maledetto, se non tutto quello che scrive. Contraddizioni apparenti
e reali, come apparentemente e realmente contraddittoria dovette essere la sua
vita. La vita di uno che, realmente, non dovette sapere chi fosse. Se non l’insieme
delle sue reazioni e sensazioni fisiche, corporali. L’unico aspetto di realtà e
umanità che traspare da ciò che Rigaut scrive, e che la sua biografia rimanda,
è questo aggancio con la biologia dell’essere viventi. Ma è anche pura
finzione, in qualche modo, perché il Rigaut pensante, lo spirito di Rigaut
risultano del tutto privi di reazioni. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Si
è lasciato vivere</i> è una definizione che nel suo caso assume una verità
profonda. Si è abbandonato al puro flusso degli eventi, disinteressato a tutto
ciò che per la maggior parte degli uomini e delle donne ha importanza; e del
resto ha vissuto fino in fondo, in estremo e con estremismo, la corporeità. Non
perché fosse un suo idolo o una ragione di vita, ma semplicemente perché la
registrava come un fatto ineluttabile al quale non poteva opporsi. O, più in
linea con la sua personalità, perché non aveva interesse a opporvisi (o a non
opporvisi).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlf7ihGmPqEZqmsA9QZgDL9dxSxRAWZ-e17xDkXiCk8AOmH86f-Gr5LETzCLLth7fdm5l_a4Px7nojW9wk5SHkYGu_qBeRD2qpdUgKmM2moTR3rjjchIj_oXgUHWTSWhvI7oOlwdX_8n6o/s1600/ecrits11.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlf7ihGmPqEZqmsA9QZgDL9dxSxRAWZ-e17xDkXiCk8AOmH86f-Gr5LETzCLLth7fdm5l_a4Px7nojW9wk5SHkYGu_qBeRD2qpdUgKmM2moTR3rjjchIj_oXgUHWTSWhvI7oOlwdX_8n6o/s200/ecrits11.JPG" width="130" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Edizione francese degli Ècrits </td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tutto ciò spira da ogni
singola pagina da lui scritta. Quel che ha scritto, il quasi nulla pubblicato
in vita e il resto venuto alla luce postumo, non è altro che biografia. Ogni singola
pagina del libro non è altro che descrizione della sua vita. E ancor più:
fotografia della sua vita. Rigaut è in possesso dell’arte di abbellire <i style="mso-bidi-font-style: normal;">come</i> scrive, ma non abbellisce <i style="mso-bidi-font-style: normal;">quello</i> che scrive. Si offre e basta. Ma,
ben inteso, non gli interessa offrirsi; la cosa accade come semplice
conseguenza del suo scrivere.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’individuo dovette essere odioso.
O meglio: doveva risultare odioso. La sua opera apre – letteralmente – una porta
sul nulla: il nulla del suo essere. Non vi era alcunché da odiare davvero in
lui, perché non vi era nulla in lui. Ne si poteva certamente odiare l’apparenza,
questo sì. L’ultimo scritto della raccolta, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’affare
Barrès</i> (si tratta della “testimonianza” di Rigaut al processo fittizio
inscenato dai dadaisti contro lo scrittore reazionario Maurice Barrès), si
conclude con questo scambio di battute: </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">D.
Lei ha appena mostrato che il suicidio non le sembra difendibile, ma non ha
ancora detto come, condannando tutto, abbia fatto a vivere.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">R.
</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(di
Rigaut)<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Vivere giorno per giorno.
Ruffianeria. Parassitismo. </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvVwj_QUFgo0y00ORFTYs_rt_sYFLz00xq2YMUCYTaRFDkTb_QNPkMOZR6-_hvHbRCs47tDXNb-BHbb5LEl8d2pn1PixogCnshd4FZ9T44ViypMcTXGXdk9Oajt6msuBvTGivjiyWNA0pL/s1600/Lord+Patchogue.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvVwj_QUFgo0y00ORFTYs_rt_sYFLz00xq2YMUCYTaRFDkTb_QNPkMOZR6-_hvHbRCs47tDXNb-BHbb5LEl8d2pn1PixogCnshd4FZ9T44ViypMcTXGXdk9Oajt6msuBvTGivjiyWNA0pL/s320/Lord+Patchogue.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La Nouvelle Revue Française di agosto 1930, prima pubblicazione di Lord Patchogue.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non è una posa, è un dato di
fatto. È l’accettazione del vivere biologico, la ricognizione del fatto che il
piacere non è un’alternativa preferibile ad altro, è solo meno scomoda ed è
immediatamente percepibile – la sola cosa percepibile. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(…) per due mesi non ho saputo che ora fosse grazie all’oppio, all’assenzio,
alla coca e alla generosità di una donna</i> scrive nelle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Riflessioni</i>. Non è una posa, è un dato di fatto. L’uomo Rigaut,
semplicemente – e disperatamente – dovette davvero essere apatico, del tutto
privo di emozioni autentiche, condannato ad avere soltanto sensazioni, e a non
poter essere consapevole di essere; condannato unicamente a poterle provare
quelle sensazioni. Se ogni parola del libro costruisce un pezzetto di questa
agghiacciante verità, a far luce chiara su di essa è lo scritto relativamente
più lungo – inedito in vita – qui raccolto: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lord
Patchogue</i> (<a href="http://www.noveporte.it/dandy/documenti/patchogue.htm">http://www.noveporte.it/dandy/documenti/patchogue.htm</a>).
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lord Patchogue</i> non è semplicemente
una testimonianza biografica come lo sono gli altri scritti, è vita in atto. È la
testimonianza di una non identità, di una vita privata, più che priva, di
passioni ed emozioni. Deprivata, ancor meglio: apatia. Le sensazioni animali
con cui sono sostituite le emozioni non sono sufficienti, ovviamente, a
riempire quel vuoto: solo a renderlo evidente e permettere per un certo tempo l’esistenza
animale del corpo. Ma è soprattutto l’assenza di identità che si manifesta
attraverso la fungibilità dell’identità a colpire. Non è un’anima in pena, non
è un’anima tormentata quella che si manifesta nel racconto di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lord Patchogue</i>: non è un’anima. E basta.
È un corpo che si muove, che vive, che soffre e prova piacere unicamente sotto
forma di sensazioni fisiche, reazioni fisiche a degli stimoli. Soprattutto è un
pensiero che prende coscienza della propria indeterminabilità. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lord Patchogue e la sua immagine si fanno
lentamente incontro l'una all'altra. Si studiano in silenzio, si fermano,
s'inchinano. Da quale vertigine è stato colto Lord Patchogue. Fu breve, facile
e magico: Lord Patchogue si è lanciato a testa bassa. Lo specchio all'urto, al
trapasso, vola in pezzi, ma in quanto a lui eccolo dall'altra parte</i>. Eccolo
dall’altra parte. Ma: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il rovescio vale il
diritto, c'era da aspettarselo</i>. Il passaggio attraverso lo specchio è un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">topos</i>, letterario, filosofico,
psicologico, fondamentale; è l’approdo alla consapevolezza. Ma nel mondo – e nella
vita di Rigaut – non può esservi consapevolezza: perché non vi è identità. Ed è
questa la sola consapevolezza possibile: il rovescio vale il diritto, c’era da
aspettarselo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-17751211890092543912013-07-28T02:07:00.002-07:002013-07-28T02:07:41.357-07:00I classici – La sua mano (1970) di Luigi De Pascalis (n.1943)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZw65yhFosfaH6uUiD9sCOlOVitHO8XM_SOiBXr4_hXhCz7sMhW_vBCu6gDJOIeoUjewW8NdDcELf0-soudynYk91h32OGZ5C2rUdW3SkVCtkR7-beTdgRCGk6A9jS4KunDVeknv_SeQhi/s1600/Luigi+De+Pascalis.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZw65yhFosfaH6uUiD9sCOlOVitHO8XM_SOiBXr4_hXhCz7sMhW_vBCu6gDJOIeoUjewW8NdDcELf0-soudynYk91h32OGZ5C2rUdW3SkVCtkR7-beTdgRCGk6A9jS4KunDVeknv_SeQhi/s320/Luigi+De+Pascalis.jpg" width="246" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Se non fosse per la sede di
pubblicazione del racconto, ne si inizierebbe la lettura come quella di una
storia marinaresca, nel solco della grande tradizione della letteratura d’avventura:
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La nave, il trealberi Argos della
Compagnia di Guinea, salpò dal porto di Nantes alla fine di settembre del 1737,
al comando del signor Couron. Mi ero imbarcato su di essa dieci giorni prima in
qualità di chirurgo e medico di bordo; le ragioni che mi avevano spinto a
preferire un simile ingaggio su una nave negriera piuttosto che esercitare la
professione medica a Parigi, fanno parte di un’altra storia che, se oggi mi
sembra banale e priva di consistenza, ebbe allora la forza di strapparmi a un
tranquillo futuro.</i> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il racconto vira poi sui
temi, le atmosfere, il linguaggio e le suggestioni visive dell’horror: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il sorriso sulle mie labbra si spense e un
cupo presentimento mi assalì. Le ricerche continuarono in uno strano silenzio
per più di un’ora, poi udimmo una voce piena di orrore provenire dalla gabbia
dell’albero di maestra e tutti volgemmo con un solo movimento lo sguardo in
aria. Un marinaio aveva trovato mastro Richard. Egli era lì, morto, con le mani
ancora spasmodicamente contratte sulla ferita mortale che si era prodotta al
cuore con il proprio coltello. </i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjb53opB9mhlwyOlVVO39KxTDpGZjPe_BMwv27ED2nbdbEdXYURbT0S_fOOZlSrPKOkghDkEMjan1Do2I5CsqJ3xMOjulbVyPWW_6UDqAv8EAMIWTv8SaakTTGG0O8-WFDuZXEXQH1g_4tP/s1600/destinazione+uomo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjb53opB9mhlwyOlVVO39KxTDpGZjPe_BMwv27ED2nbdbEdXYURbT0S_fOOZlSrPKOkghDkEMjan1Do2I5CsqJ3xMOjulbVyPWW_6UDqAv8EAMIWTv8SaakTTGG0O8-WFDuZXEXQH1g_4tP/s200/destinazione+uomo.jpg" width="118" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Galassia n.113</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Proseguirà a lungo così, in una misurata e
sapiente progressione di immagini ed emozioni, rese vive e vivide dall’abilità
evocativa, “pittorica” della penna di De Pascalis – non a caso anche
illustratore grafico di talento: di lui si ricorda un Pinocchio a fumetti di
grande fascino visivo e narrativo, ispirato al burattino collodiano. Una
progressione di immagini angoscianti, sempre meno sottilmente, sempre più
materiche e concrete, evocate e plasmate dalla capacità di provocare nel
lettore un turbamento crescente appellandosi a paure ataviche, ancestrali,
legate a un mondo sempre più lontano dai nostri tempi eppure ancora presente
nelle stratificazioni culturali giunte a noi. La sterzata finale del racconto
avverrà inoltrandosi nei territori di una fantascienza - a un tempo metafisica
e in qualche modo vicina a tematiche, soluzioni e cliché dei suoi primordi - che
giustifica in pieno la collocazione del racconto sulle pagine della prima delle
antologie che Vittorio Curtoni, Gianfranco De Turris e Gianni Montanari (in
rigoroso ordine alfabetico) dedicarono ai fermenti della fantascienza nostrana
al tempo in cui Curtoni e Montanari presero il timone di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Galassia.</i> È dunque su una delle riviste che davvero hanno fatto la
storia della fantascienza nel nostro paese che è apparso il racconto la prima
volta. Finale del racconto che si inserisce con naturalezza nella sua trama e
nelle sue atmosfere, mantenendo inalterato il fraseggiare visivo e grafico della
storia e le sue ricche atmosfere orrorifiche. Il talento di Luigi De Pascalis
risiede senza dubbio anche in questa naturalezza con la quale mescola le carte,
ricomponendole in una narrazione che si presenta unitaria nel contemperare i
suoi vari aspetti. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXu1_e8_8uvBjGW3Pj6L-v2EgpPjJ-3NzfTkX6yZ14kTE9z44vHX5spKOx-FpuoI7I-76rrGY0izpC4du2vW376_2rzGU2d3t15e1bVUjWZzTGsQbFM5riHLlzFQNoMKLHOPanSFLWSZUz/s1600/DEPASCALIS-L_pinocchio7.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXu1_e8_8uvBjGW3Pj6L-v2EgpPjJ-3NzfTkX6yZ14kTE9z44vHX5spKOx-FpuoI7I-76rrGY0izpC4du2vW376_2rzGU2d3t15e1bVUjWZzTGsQbFM5riHLlzFQNoMKLHOPanSFLWSZUz/s320/DEPASCALIS-L_pinocchio7.jpg" width="213" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Una tavola del "Pinocchio" disegnato da De Pascalis</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Talento poliedrico e vero, Luigi De Pascalis è
un veterano della letteratura fantastica e non solo, uno di quegli scrittori
che restano nascosti agli occhi dei più, in favore spesso di scrittori molto
meno dotati. In una carriera lunga ormai quasi cinquant’anni ha prodotto un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">corpus</i> narrativo di tutto rispetto e
impreziosito da prove notevoli. Come già è questo racconto giovanile, che nel
solco di una tradizione consolidata mostra una padronanza sicura degli
strumenti professionali dello scrittore di genere (e non solo), usati in modo
tutt’altro che pedissequo e di maniera, e anzi nell’ottica di una ricercatezza
stilistica posta al servizio del finale del racconto, sorta di riflessione
metafisica sul destino e la sua mutevolezza, sull’insensatezza della ricerca
della conoscenza non sorretta dalla tensione etica e sulla fallacia della
superbia dell’uomo che crede di poter conoscere ogni cosa. E non soltanto. Temi
ricorrenti, eterni: ma proprio per questo, saperne parlare senza annoiare,
rendendo anzi il lettore partecipe e interessato a quanto si scrive, dà prova
del mestiere e della qualità letteraria di uno scrittore. Farlo attraverso un
racconto tanto classico nell’impostazione, nelle situazioni descritte, nei
personaggi utilizzati, è un’ulteriore prova dell’abilità nel far uso di ogni
risorsa della grande tradizione per presentare un proprio discorso personale –
seppure su argomenti non meno classici e già mille e mille altre volte
affrontati nella storia dell’uomo e della sua letteratura. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGBJ9DYDdbKumPSOjm_NR3MAIA9XuvrieVagXSJuhIYrsvTMYZ1g7-mkZwEl_cBr2REpIV3y3Tn0gL0z_eyljUwvgSdMjbdMd2TAlLecQaAV4oauKB2Ml73PP2xFoy_5rbAbRunnLYbk1V/s1600/nido+della+fenice.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGBJ9DYDdbKumPSOjm_NR3MAIA9XuvrieVagXSJuhIYrsvTMYZ1g7-mkZwEl_cBr2REpIV3y3Tn0gL0z_eyljUwvgSdMjbdMd2TAlLecQaAV4oauKB2Ml73PP2xFoy_5rbAbRunnLYbk1V/s320/nido+della+fenice.jpg" width="205" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'ultimo romanzo di fantascienza dell'autore, sequel di un racconto apparso nell'antologia "Sul filo del rasoio" (<a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2013/07/i-contemporanei-extraci-2010-di-massimo.html">http://olivavincenzo.blogspot.it/2013/07/i-contemporanei-extraci-2010-di-massimo.html</a>) </td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Lo spunto per il racconto, a
quanto scrivono i tre antologisti presentandolo, è tratto da un fatto storico: una
nave di nome <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Argos</i> esistette davvero,
salpò effettivamente da Nantes nel 1737 e a quanto riportano le cronache fu
teatro di un ammutinamento; del pari, i nomi dei suoi ufficiali risulterebbero
quelli usati dall’autore. La storia è tra gli interessi di De Pascalis che all’attività
di narratore, anche di romanzi storici, ha affiancato quella di saggista; e che
tra le pieghe della storia è andato in questo caso a trovare materia per la
costruzione di un’elaborazione fantastica a partire dal quotidiano. Egli parte
dal glorioso racconto marinaresco, e dalla realistica descrizione di quell’infamia
che fu la tratta degli schiavi dall’Africa verso le Americhe, un commercio che
fu attività tra le tante possibili per gli uomini del tempo, professione
normale, come è sempre per la crudeltà estrema verso i propri simili, che l’uomo
può compiere solo disconoscendo la natura umana dell’altro e derubricando le
proprie azioni a compimento di pratiche di una banale burocrazia. Qualche anno
dopo la pubblicazione di questo racconto il tema della tratta degli africani
entrò con forza nell’immaginario più diffuso e mediatico attraverso il grande
successo della serie televisiva <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Radici</i>,
adattamento della poderosa epica popolare del romanzo omonimo scritto da Alex
Haley. L’abilità visuale di De Pascalis pare quasi anticipare le scene della
serie tv ambientate sulla nave che porterà Kunta Kinte dalla sua terra d’origine
a quell’America dove secoli più tardi nascerà il suo discendente e cantore del
suo destino. Certo, in Radici non vi era l’inquietante presenza del colossale
nero che è al centro della narrazione de La sua mano, ma l’orrore umano è il
medesimo, e la penna di De Pascalis lo rappresenta con icastica efficacia: il
capitano Couron assume facilmente le sembianze del grande Ed Asner che interpreta
il comandante della nave che porta il giovane Kunta in America. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivPCDYlkMd_26uMBnCvyJ2jwIIpzLPem99zv9qO83ERqvBt3xODz1TiDlluB57Zxh9AA6GE3sI2GCh5-wl1ogwUlAoKlb19JOFpbhKX_R6p68s3ErjPPYYQFmnj4MalCR6QktJncHWJJqr/s1600/rosso+velabro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivPCDYlkMd_26uMBnCvyJ2jwIIpzLPem99zv9qO83ERqvBt3xODz1TiDlluB57Zxh9AA6GE3sI2GCh5-wl1ogwUlAoKlb19JOFpbhKX_R6p68s3ErjPPYYQFmnj4MalCR6QktJncHWJJqr/s320/rosso+velabro.jpg" width="205" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Rosso Velabro, primo di una trilogia di romanzi ambientati nella Roma della seconda dinastia Flavia. Qui nella sua nuova edizione per La Lepre.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Poi l’orrore lascia la sua
dimensione più prosaica e “rassicurante”, pur senza mai abbandonarla, e si
inoltra nei territori dell’anima. A onta della fisicità descrittiva dell’autore,
le paure dei protagonisti e delle comparse del racconto dinnanzi agli
accadimenti sempre più misteriosi e terrorizzanti è la chiara manifestazione
dei loro sensi di colpa, così come l’epilogo degli eventi è il suicidio
spirituale al quale essi si condannano per quelle colpe. In questo senso il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">deus ex machina</i> degli eventi, il gigante
nero sul quale si sbizzarrisce il talento visuale dell’autore, altro non è che la
materializzazione dei sensi di colpa, il fattore esterno a noi che tanto
frequentemente e spesso senza frutto utilizziamo per non finire schiacciati da
essi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEshp80kg10h7LDFdvv9mSmfgxENEBIiW7QUKok4vBPHft-TojQmHQfgl-N26k5zwuDDlBSP7ZAGbAhoFxmcnUhrCtJaGEDucFiK01i2CWzBCkPIM9znlLmVAMBZ-lRImcXyyJcOV9VCI6/s1600/incubo1980book.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEshp80kg10h7LDFdvv9mSmfgxENEBIiW7QUKok4vBPHft-TojQmHQfgl-N26k5zwuDDlBSP7ZAGbAhoFxmcnUhrCtJaGEDucFiK01i2CWzBCkPIM9znlLmVAMBZ-lRImcXyyJcOV9VCI6/s200/incubo1980book.jpg" width="136" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'ultima edizione del racconto.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Certamente nulla di nuovo, ma proprio per questo risalta la capacità
dello scrittore di affascinare con temi tanto ricorrenti e abusati. Se la
conclusione del racconto approda infine sui lidi della fantascienza è, io
credo, per una sorta di pessimismo cosmico. La crudeltà e la sopraffazione non
sono esclusive dell’uomo, sono connaturate all’ordine cosmico, parte della
natura. L’uomo è soltanto una delle pedine del gioco di questa natura e di
questo cosmo, talvolta attore e talvolta vittima. Sempre e comunque parte del
meccanismo. Forse un altro modo per porre all’esterno di noi stessi la
responsabilità della nostra crudeltà, una chiamata a correo dell’intero
universo che, in ultima analisi, conduce a una disperazione ancora maggiore. Al
di là delle letture e delle interpretazioni che se ne possono dare, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La sua mano</i> è una gemma che attraversa i
vari generi letterarii per raccontare in primo luogo una storia coinvolgente
dalla prima all’ultima pagina. È un peccato che un così bel racconto non mi
risulti più ristampato da oltre trent’anni, dalla sua pubblicazione nel quarto
volume della mondadoriana Biblioteca di Fantasy&Horror. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-83307421195524416752013-07-27T10:14:00.001-07:002013-07-27T10:14:07.629-07:00I contemporanei – Extraci (2010) di Massimo Mongai (n.1950)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando tre mesi dopo la
Grande Rivolta iniziò a scemare, almeno in Italia, Roma e tutto il Lazio
settentrionale erano in mano agli extraci. Le vittime ammontavano a oltre tre
milioni e i profughi, fra Cittadini ed extraci, a quindici. </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma, come si vide poi, quello
era solo l’inizio.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questa
è la fine, ma era iniziato in tutt’altro modo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Cos’è la </span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">benzina<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, effendi? – Chiese Kuba, l’ausiliare </i>extraci<i style="mso-bidi-font-style: normal;">. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Così
era iniziato. Un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">incipit</i> semplice ed
essenziale, che lasciava presagire un racconto sull’ecologia, sui problemi
energetici; o che magari narrasse di grandi multinazionali o di storia (storia
da un’ottica dell’epoca nella quale è ambientato il racconto, verso la fine del
secolo attuale). Verosimilmente, un racconto narrato con il – o quanto meno
venato del - tono umoristico di quel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Memorie
di un cuoco d’astronave</i> che è stato il romanzo d’esordio di Massimo Mongai
e che è divenuto a piena ragione un genuino classico della fantascienza. Mongai
offre invece una parabola assai amara sul futuro del nostro paese. Una parabola
possibile, se non probabile. Indubbiamente una parabola verosimile. Una
parabola di pura fantascienza, a onta della collocazione del racconto in un’antologia
curata per il Supergiallo Mondadori da Gianfranco De Turris (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sul Filo del rasoio</i> – Estate Gialla
2010). De Turris scrive nella prefazione come la decisione di pubblicare tale
antologia di racconti gialli di fantascienza nell’ambito della collana
Supergiallo e non su Urania, dove pure avrebbe potuto uscire a pieno diritto, fosse
stata dettata dall’intenzione di far <i style="mso-bidi-font-style: normal;">aprire
a nuovi orizzonti</i> i lettori abituali del giallo che sarebbero usi (secondo
De Turris) leggere esclusivamente opere del genere da loro prediletto. È probabile
che la motivazione reale sia molto più terra terra: verosimilmente il
Supergiallo garantiva vendite superiori. Sia come sia, il racconto di Mongai
del giallo non ha praticamente nulla. Ci sono dei poliziotti, sì, e c’è un
delitto in piena regola, sì; ma questo è tutto: nell’economia del racconto non
sono centrali né il delitto, né la sua soluzione o il movente in senso
specifico, né infine i tutori dell’ordine protagonisti della vicenda. Centrale è
l’estrapolazione, base della narrativa di fantascienza: in questo caso estrapolazione
sociale. Sia come sia, nuovamente, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Extraci</i>
mostra ancora una volta come la fantascienza non sia propriamente un genere, ma
una modalità letteraria passibile di essere attraversata dai generi e
attraverso la quale si può fare narrativa a tutto tondo. Per citare Douglas
Adams: la vita, l’universo e tutto quanto </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDM3OOM2Tejwghf6iqg_mXWdbKMyKDdj6zDYLU3_R_Zuez18QIwy15B5ve-khE6bSMdnxt1PjYMQL085ag46pcbu1HPInMDLtc3QE3yl0LYfPjvDdhtEFK7c0s9uUaVIu_eMrBdFgesgcP/s1600/Sul+filo+del+rasoio.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDM3OOM2Tejwghf6iqg_mXWdbKMyKDdj6zDYLU3_R_Zuez18QIwy15B5ve-khE6bSMdnxt1PjYMQL085ag46pcbu1HPInMDLtc3QE3yl0LYfPjvDdhtEFK7c0s9uUaVIu_eMrBdFgesgcP/s320/Sul+filo+del+rasoio.jpg" width="194" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Scabro
racconto di cara, vecchia fantascienza sociologica, ancorché scritto con
sensibilità umana e letteraria moderne e una chiara consapevolezza dei tempi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Extraci</i> è una succinta ma attenta e spassionata
analisi di alcuni fenomeni che negli ultimi decenni hanno interessato la nostra
società, come le altre società occidentali; seppure Mongai non rinunci del
tutto all’umorismo di cui è capace, facendone un uso limitato e con un registro
assai inacidito dalla materia oggetto della sua riflessione. Extraci sta per
extracomunitari, come non è difficile intuire da subito. Sebbene l’autore molto
probabilmente pecchi di ottimismo nell’immaginare un’Italia (e un’Europa
occidentale) ancora meta di grandi flussi migratori a qualche decennio nel
nostro futuro, lo scenario che raffigura mantiene inalterata la sua capacità di
rappresentazione di una società confusa, impaurita e incapace di comprendere,
introiettare e infine governare i fenomeni causati dagli eventi che accadono al
proprio esterno e al proprio interno. Una società esattamente come è quella in
cui viviamo noi. Per questo non è difficile vedere nell’Italia del 2090 circa
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Extraci</i> la figlia legittima della
nostra – vedere in effetti noi stessi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’Italia
segmentata in caste di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Extraci</i>,
suddivisa in Cittadini e non cittadini, in esseri umani di prima, seconda,
terza classe e chissà quante altre (e l’essere extracomunitari non coincide con
necessità assoluta con l’essere individui di serie B, C eccetera), appare una
semplice proiezione matematicamente esatta di quella dei nostri giorni. Appare la
continuazione del ritorno al passato che negli ultimi decenni viene
propagandato per liberalizzazione, progresso, inevitabile smantellamento di
strutture pubbliche che si vorrebbero parassitarie. Ma con il selvaggio
drenaggio di ricchezza dalla disponibilità della popolazione verso poche mani
private si sta attuando contemporaneamente – e conseguentemente – il ritorno a
schemi e strutture sociali di molti decenni quando non secoli addietro. Non è
difficile vedere come sin d’ora in molte nazioni del già quasi democratico
occidente (e l’Italia è tra le prime in tal senso) si sia di fatto tornati a un’organizzazione
sociale basata rigidamente sul censo, sulla chiusura delle classi detentrici
del potere e sull’accesso alle medesime unicamente per cooptazione. Nella brevità
di questo racconto, Massimo Mongai riesce con abilità a far sì che il lettore
possa intuire questa struttura sociale dalle poche pennellate con cui la
rappresenta. Ma ancor più vi riesce attraverso la psicologia dei suoi
personaggi, perfettamente aderente a quell’Italia così come a questa nostra. Così
come a ogni altra società, passata, presente e futura che sia, nella quale vi
siano padroni, sgherri, e servi. Padroni inverecondi pieni di arroganza e
paura; sgherri pieni di cattiveria e disposti a vendere ogni dignità per
raccogliere le briciole delle tavole dei padroni; e servi – servi desiderosi di
diventare padroni e disposti a fare i kapò e vendere l’anima, servi felici di
essere servi, servi a volte inferociti. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Esattamente
così sono i personaggi del racconto, con in più le stimmate di un’umanità reale
e tangibile che rimanda ancor meglio al lettore l’idea della società in cui
vivono – che è la stessa nostra società. </span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRfQK5UcwDdchi64aS32OX5foV1Zht_KwG8HIiWAIIl4jyNMdhMBCkXXFiwfTiCAqJbBJBUag4ZBAiYA-ZRajXjqoe9yjgP9lqaNFXMDwsvfc6YWUoXNXu2MbtDIh2qFIW2nRL4CPM2HXG/s1600/memorie.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRfQK5UcwDdchi64aS32OX5foV1Zht_KwG8HIiWAIIl4jyNMdhMBCkXXFiwfTiCAqJbBJBUag4ZBAiYA-ZRajXjqoe9yjgP9lqaNFXMDwsvfc6YWUoXNXu2MbtDIh2qFIW2nRL4CPM2HXG/s320/memorie.jpg" width="190" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il primo, divertentissimo romanzo di Mongai</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il capitano
Franzini è un uomo vero; cosa diversa da un “vero uomo”. Non è, cioè, un
esaltato, un uomo ideologicamente accecato o, peggio, psicotico. È un uomo come
potremmo incontrarne sull’autobus o in fila alla posta. Un investigatore sagace
e un uomo che non si fa offuscare il ragionamento dagli umanissimi pregiudizi
che pure egli ha. Un uomo fondamentalmente retto, al di là dell’essere un
tutore dell’ordine, e quindi incline a ubbidire a dei comandi prima che a
compiere azioni dettate dalla giustizia. Un uomo che pone dei limiti di decenza
alla sua appartenenza alle forze dell’ordine, e perciò inadatto a essere uno
sgherro fino in fondo. Un uomo che con tutta la sua intelligenza investigativa
si rivelerà un ingenuo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Colpisce
davvero che nell’economia di un racconto abbastanza breve un personaggio emerga
a tutto tondo con tanta forza dalla pagina. Della vita privata, degli eventuali
vizi o malattie di Franzini nulla sappiamo; però Massimo Mongai ce ne fa
conoscere l’anima. Ugualmente, ben poco o nulla ci è dato sapere della vita
privata del suo assistente Kuba, del quale Mongai ci fa però comprendere ancora
una volta la personalità profonda: i sogni che motivano l’ausiliare extraci, le
sue aspirazioni, la sua psicologia sono in tutto adatte e adattate alla società
inflessibilmente castale descritta dall’autore: Kuba può sembrare un mero
meccanismo letterario, ma basta scalfire la superficie per osservarne la
complessità che Mongai ha sintetizzato in brevi ed efficaci schizzi qui e là. Osserviamo
come l’abilità dell’autore stia nel suggerire al lettore la vera personalità
dei personaggi con solo poche parole o lasciando che trapeli dalle impressioni
di lettura che egli fornisce al lettore. L’anonimo Commissario Capo, ci viene
anticipato nella sua natura di sgherro dal riflettere alle parole del suo
sottoposto Franzini, e poi confermato dagli eventi successivi. </span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwo6ejKmZuPOhFr-vetokd2s2iM5XqCdpYPtvB-JpyKDAyySzmlRwpjt2Hi2bMXHsRJCHmppjV5TzcX8yEjqHDjWLeFDnKJWE_AvdEai88Rg0L_LpVSzb_64gw2dV2CkrGJSSJStPDiIKf/s1600/ras+tafari.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwo6ejKmZuPOhFr-vetokd2s2iM5XqCdpYPtvB-JpyKDAyySzmlRwpjt2Hi2bMXHsRJCHmppjV5TzcX8yEjqHDjWLeFDnKJWE_AvdEai88Rg0L_LpVSzb_64gw2dV2CkrGJSSJStPDiIKf/s1600/ras+tafari.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Autore poliedrico, Mongai ha scritto ottimi gialli.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il resto
sono note di raffinato colore: Barzigò e Pardi sono uomini politici tolti di
peso dalla macchiettistica cronaca dei nostri quotidiani e tg, ma ancora una
volta danno una sensazione di autenticità (che quasi mai appartiene a quelli
che appaiono nei talk shaw); la Roma elefantesca che si protende sovrappopolata
verso l’Appennino e straripa sul litorale dal nord di Ladispoli al sud di
Torvajanica è più una profezia che ha il sapore della matematica che non di una
scolastica esagerazione; e i ghetti di ogni genere che ne formano il reticolo
urbano appaiono l’esplosione diffusa di tante realtà che la città osserva oggi
e vive sulla propria pelle.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In un
altro racconto dell’antologia, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
centesima scimmia</i>, non meno nero e disperante dello scritto di Mongai,
Luigi De Pascalis scrive: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(…) Relitti di
una civiltà che ha perso l’occasione di essere migliore e si è trasformata in
un formicaio in costante regresso: anzi in disfacimento, come un cadavere.</i> È
la stessa civiltà di Mongai, appunto, lo stesso formicaio popolato di relitti di
un’umanità passata ma che non vuole passare, e che anzi prende il sopravvento,
nel ciclico riprodursi del collasso della civiltà. Sono ucronie, speriamo che
restino tali: potrebbe essere il ciclo finale.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-top: 10.0pt; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-83407935326988413382013-07-21T05:18:00.001-07:002013-07-21T05:21:42.351-07:00I contemporanei – Nel Deserto delle Cadillac, con i morti (On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks, 1989) di Joe R. Lansdale (n.1951)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9cdCAlq8SPv1YJeVjBcaNDbF_9LEohrj0CaKIu6mveGm1a65r1kT9dRgTOVRW99jC-uIim3OxB_7DeBWjgti4sN3Vj5MkpeEZmU4Mtw2dI0-8_orfG9p1Lqm_imbOT17W9B7LNgQxu7av/s1600/Joe-Lansdale.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9cdCAlq8SPv1YJeVjBcaNDbF_9LEohrj0CaKIu6mveGm1a65r1kT9dRgTOVRW99jC-uIim3OxB_7DeBWjgti4sN3Vj5MkpeEZmU4Mtw2dI0-8_orfG9p1Lqm_imbOT17W9B7LNgQxu7av/s320/Joe-Lansdale.jpg" width="301" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È il 2002, la meravigliosa
collana AvantPop di Fanucci è tra noi e presenta un’antologia di racconti di
Joe R. Lansdale, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Maneggiare con cura</i>,
che porta il solleticante sottotitolo “I migliori racconti di Joe R. Lansdale”.
L’antologia nasce per il mercato italiano e contiene una nutrita selezione di
racconti lansdaliani degli anni ’80 e ’90, tra i quali la breve novella premio
Stoker <i>On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks</i>, che
risulta qui alla sua quinta pubblicazione italiana.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Credo che Lansdale non abbia
bisogno di presentazioni: poliedrico e fin troppo prolifico, lo scrittore
americano è una delle penne più note e attive della grande letteratura popolare
da circa un trentennio; e la sua produzione copre praticamente ogni genere, con
forse una qualche maggior propensione per l’horror, declinato e ibridato in
ogni variante. Fin troppo prolifico perché la mastodontica mole di pagine
scritte da Lansdale nella sua vita ha talvolta preteso il prezzo di una
scrittura, pur sempre piacevole e accattivante, che si fa di maniera e tende a
essere stilisticamente ripetitiva. Un difetto veniale a fronte di storie che
non mancano quasi mai di coinvolgere il lettore e suscitarne sì il raccapriccio
o il disgusto, ma conditi da una tale dose di ironia, grottesco e assurdo da
suscitarne ancor più il divertimento: al suo meglio, Lansdale ha una scrittura
oltraggiosa, ma troppo divertente e divertita. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqsATQ0vS_bEs5IE70qOYdhU5eiXSIRF_o9VNrK0C1Z8GAOKCtcywxv6SfUUDSrwl-Bs3819e7VXQ1iLDxBOAsHSb4wwZLIoETxQj7VlBdaO7YVkepncyzexEBQX-g7g8otDuEP6aZ2Wev/s1600/LANSDALE-JR_maneggiare1.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqsATQ0vS_bEs5IE70qOYdhU5eiXSIRF_o9VNrK0C1Z8GAOKCtcywxv6SfUUDSrwl-Bs3819e7VXQ1iLDxBOAsHSb4wwZLIoETxQj7VlBdaO7YVkepncyzexEBQX-g7g8otDuEP6aZ2Wev/s200/LANSDALE-JR_maneggiare1.gif" width="135" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il vero rischio è di
gigioneggiare in eccesso, ed è un fatto che in questa breve novella Lansdale
corteggi costantemente tale pericolo. È un fatto anche che la sua scrittura sia
così flamboyant e caricaturalizzata da far allargare il sorriso alla lettura
dei più estremi dettagli splatter, dei ripetuti e insistiti riferimenti
scatologici, delle coloriture verbali da dialoghi di z-movies (nel senso sia di
zombie movies che di film di serie z), del sesso mostrato a piene mani e in
ogni sua variante. È la maestria di Lansdale con le parole a rendere non solo
divertente, ma letterariamente raffinato, un materiale che in altre mani
farebbe venire la nausea – dettata da noia e sazietà - dopo una riga. Per dire:
la storia racconta di un cacciatore di taglie, Wayne, che è sulle tracce di una
specie di orco colpevole di quasi ogni possibile delitto di natura sessuale,
Calhoun. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Nella seconda sequenza
della novella Lansdale ci inquadra così Calhoun: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The last bounty hunter had been the famous Pink Lady McGuire–one mean
mama–three hundred pounds of rolling, ugly meat that carried a twelve-gauge
Remington pump and a bad attitude. Story was, Calhoun jumped her from behind,
cut her throat, and as a joke, fucked her before she bled to death. This not
only proved to Wayne that Calhoun was a dangerous sonofabitch, it also proved
he had bad taste</i>. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per fornire una descrizione di Pop, il tipo
che è stato una specie di padre putativo per il protagonista Wayne, si lancia
invece in questa edificante narrazione: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">And
he wanted a chance to do right by Pop. </i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Pop had been like a father to him.
When he was a kid and his mama was screwing the Mexicans across the border for
the rent money, Pop would let him hang out in the yard and climb on the rusted
cars and watch him fix the better ones, tune those babies so fine they purred
like dick-whipped women.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">When he was older, Pop would haul
him to Galveston for the whores and out to the beach to take potshots at all
the ugly, fucked-up critters swimming around in the Gulf. Sometimes he’d take
him to Oklahoma for the Dead Roundup. It sure seemed to do the old fart good to
whack those dead fuckers with a tire iron, smash their diseased brains so
they’d lay down for good. And it was a challenge. ‘Cause if one of those dead
buddies bit you, you could put your head between your legs and kiss your rosy
ass goodbye</span></i><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E
così via. Non è da tutti riuscire a rendere brioso, discorsivo e leggero un
tono così, una scrittura tanto lavorata per essere programmaticamente
estremizzata. Non è sempre neppure da Lansdale, ma in questa novella sì, di
sicuro. E ne risulta una piccola gemma. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHP7ej6zfRfsEXN2uDFewdGGH0IgXndLF1Dv64-ALu8pMWB1ArVa0bLH-3ihv9qexWcUCBrnNc7UmzHROYuL-lS2wOol6e_7rRod1Xingc85fiSUDsWpRIcQdRXO_A7WVUSuS8FEUou_el/s1600/Book+of+the+dead.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHP7ej6zfRfsEXN2uDFewdGGH0IgXndLF1Dv64-ALu8pMWB1ArVa0bLH-3ihv9qexWcUCBrnNc7UmzHROYuL-lS2wOol6e_7rRod1Xingc85fiSUDsWpRIcQdRXO_A7WVUSuS8FEUou_el/s200/Book+of+the+dead.jpg" width="142" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Book of the Dead, dove fu pubbliacata in origine la novella</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Premiato racconto horror, la
novella è però indubbiamente anche fantascienza. Un purista all’estremo
probabilmente la disconoscerebbe; tuttavia il panorama, fisico e spirituale, di
un’America totalmente distopica, di uno scenario post-apocalittico (e della cui
apocalisse oltre l’essenziale ben poco ci è detto), è quello di un futuro più o
meno prossimo basato sulla caricatura estrema dei guasti della società coeva al
racconto. È un panorama nel quale si agitano, con i suoi animali mutanti, i
segni fisici di una scienza disumanizzata e fuoriuscita dal controllo
dell’uomo; i fantasmi spirituali di questa scienza, tradottisi nella follia e nel
distacco psicotico dall’umanità di Fratello Lazzaro, uno degli scienziati che
hanno indubbiamente avuto parte nello scatenamento dell’apocalisse; gli
individui umani che la scienza disumanizzata ha prodotto: i morti dementi che
tornano in vita, per divorare i viventi – o per essere carne morta da
irreggimentare da parte del primo messia pazzo e carismatico, come è appunto
Fratello Lazzaro. Lansdale non darà un finale ottimistico o consolatorio: non
ci sarà amore a redimere la ribellione contro il disordine costituito di
Fratello Lazzaro, ci sarà solo morte. Del resto un mondo simile, un’umanità del
genere, individui come Calhoun e anche lo stesso Wayne e la sfortunata Sorella
Worth, la non morta che si ribellerà all’ordine costituito, non sono redimibili
più di quanto lo siano Lazzaro e il suo ordine religioso di pazzoidi: Calhoun
per motivi evidenti; Sorella Worth perché non è più un individuo autonomo,
senza i frutti avvelenati di quel (dis)ordine al quale si è ribellata non
potrebbe vivere: solo morire, conquistando una morte da donna libera. E Wayne
perché, a ben vedere, è indifferente all’ordine e al disordine. È parte di quel
genere di umanità che scivola nell’indifferenza e vi sguazza, Wayne, e si
adatta a ogni nefandezza, contentandosi di essere – o reputarsi – migliore dei
peggiori. Dei Calhoun. Non a caso Lansdale pone questa frase come introduzione
della novella: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">a story of the Bad Guys
and the Bad Guys</i>: che è una frase a effetto, ma è anche una dichiarazione
di intenti che rispetterà.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfO9q2wSLr3ty4r5LAYuWWZWQQ6uPkSRI3-Id6sMXlq__pk90aNUvYD5Z5Z2prhGPBbdVytdznfXY-3ZEgu0158WeKuI8pSnZb7TdjzYIyAoL8Z6w6PeYr5359afAECdY3epniOjC-nout/s1600/horror+story+3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfO9q2wSLr3ty4r5LAYuWWZWQQ6uPkSRI3-Id6sMXlq__pk90aNUvYD5Z5Z2prhGPBbdVytdznfXY-3ZEgu0158WeKuI8pSnZb7TdjzYIyAoL8Z6w6PeYr5359afAECdY3epniOjC-nout/s1600/horror+story+3.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Horror Story n.3 della Garden Editoriale, prima pubblicazione italiana</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Al di là della lettura
metaforica, pienamente legittima, questa storia è pure, e forse di più, un’avventura
avvincente. Un western futuribile, racconto di una desolazione prossima, quando
l’apocalisse sarà avvenuta e gli uomini e le donne tenteranno ancora di dare
una parvenza di ordine alle rovine del loro mondo. La storia di una caccia all’uomo,
raccontata mille volte e popolata dai personaggi classici del genere: individui
spregevoli che sanno però mantenere la parola data; il cacciatore di taglie,
ambiguo e sfuggente, improvvisamente tenero e dal cuore tanto marcio quanto
dolce; la pupa traviata, destinata inevitabilmente a una brutta fine. È una
storia on the road, tipicamente a stelle e strisce, ambientata nei paesaggi più
estremi di un’America dimenticata; soprattutto: di un’America futura
dimenticata che è lo specchio e la profezia di quella attuale. Un’avventura che
è un fuoco di fila: di situazioni bizzarre e adrenaliniche; di dialoghi
scoppiettanti; di descrizioni esagerate e barocche. Lansdale ha una penna
fiammeggiante, intrisa a prima vista del peggior maschilismo e di un gusto
morboso per ogni dettaglio sgradevole. Ma è il primo a divertirsi per le sue
esagerazioni, e tanto iperrealismo sarcastico contribuisce puntualmente a definire
la natura letteraria di quanto scrive, a dare corpo a quella che, pur nerissima
e attraversata da una beffarda coprolalia, è anche una fiaba. Della fiaba ha
appunto la lettura metaforica e la natura avventurosa. Della fiaba moderna ha
gli zombie.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsFSpOvsElxbfIPYicJ2JVw7KdSEUOfXiZwq5nvhP9VuLjkHeZP1DWNi1eUAcRZAwFEx7rKMjo-sVrnGYP_NdVw3rRD5h1XgvzfaS5vhIj5O1SaX_dfpsjqJBwZj4UPHjS4Tyki0eCPuS0/s1600/mam-zombies-it.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsFSpOvsElxbfIPYicJ2JVw7KdSEUOfXiZwq5nvhP9VuLjkHeZP1DWNi1eUAcRZAwFEx7rKMjo-sVrnGYP_NdVw3rRD5h1XgvzfaS5vhIj5O1SaX_dfpsjqJBwZj4UPHjS4Tyki0eCPuS0/s200/mam-zombies-it.jpg" width="136" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La seconda pubblicazione italiana, presso Mondadori</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Zombie e vampiri sono da anni
moneta corrente in letteratura, fumetti, cinematografia – e moneta ormai fin troppo
deteriorata dalle varianti fighettose che inquinano appunto schermi e librerie;
al tempo in cui Lansdale scrisse <i>On the Far Side of the Cadillac Desert with
Dead Folks </i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">non era ancora avvenuta
l’alluvione, tuttavia i morti viventi erano già saldi nell’immaginario - e nell’industria
del divertimento.</span> Nella nostra Italia, pochi anni prima, il genio
visionario di Tiziano Sclavi aveva dato vita, nella profonda diversità delle
personalità dei due autori, a qualcosa di molto simile nel primo albo di Dylan
Dog, a oggi l’ultimo fumetto che sia diventato in Italia vero e proprio
fenomeno di costume. Sclavi e Lansdale sono scrittori – e appaiono uomini –
molto diversi, ma Xabaras (il nemico/padre di Dylan Dog) e Fratello Lazzaro
hanno i loro punti di contatto e somiglianza. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 8.5pt;">
<i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">On the Far Side of the
Cadillac Desert with Dead Folks</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;"> è
dunque una storia ben inserita nello spirito dei suoi tempi. Elabora con consapevolezza
e con distacco ironico un materiale contaminato e ibridato; pesca a piene mani
nei generi della cultura popolare per trovarvi i personaggi tipici, farli
muovere secondo schemi consolidati ma in scenari narrativi “moderni” e
accattivanti; usa il linguaggio per giocare a scandalizzare il lettore e per
conferire al racconto una dimensione grottesca e caricaturale che ne mitighi il
contenuto di disperazione. Ed è un bel saggio di talento e virtuosismo, oltre
che di smaliziata furbizia.</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<br />
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin;">La breve novella è
leggibile in inglese a questo indirizzo: <a href="http://web.archive.org/web/20020803155914/http://joerlansdale.com/stories.shtml">http://web.archive.org/web/20020803155914/http://joerlansdale.com/stories.shtml</a></span>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-80421910110854511062013-07-13T06:43:00.001-07:002013-07-13T06:43:41.630-07:00È nata Urania Jumbo :-)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMMsYw_0HTVvIhV5K0V3vdRst_csH24eK9AiogsbUrsfl3kufQqSBSssZL7-dL7qWagysBqLYkwTb88jt-gFUyG5y6Xzfcw4OWY9epUNSb609wWaKdgCJFitVUs7U-KoykQOip5Ni8jQOi/s1600/the+river+of+gods.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="231" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMMsYw_0HTVvIhV5K0V3vdRst_csH24eK9AiogsbUrsfl3kufQqSBSssZL7-dL7qWagysBqLYkwTb88jt-gFUyG5y6Xzfcw4OWY9epUNSb609wWaKdgCJFitVUs7U-KoykQOip5Ni8jQOi/s320/the+river+of+gods.png" width="320" /></a></div>
Non sono mai stato tenero con le porcate fatte da Urania negli
ultimi anni (<a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/search/label/traduzioni%20integrali">http://olivavincenzo.blogspot.it/search/label/traduzioni%20integrali</a>); ma non ho nessun problema a gioire e parlar bene quando
in redazione fanno qualcosa di buono. O addirittura ottimo come in questo caso.
Sorvolando sulla grafica (ormai è quella e ce la teniamo), l'iniziativa
degli Urania Jumbo non poteva partire meglio di così: <i>The River of Gods</i>
è considerato il capolavoro di uno dei più grandi maestri della sf
britannica contemporanea, Ian McDonald. Plaudiamo alla scritta in copertina che
annuncia che si tratta di un'edizione integrale, e poichè Giuseppe Lippi è un uomo d'onore, la sua parola allarga e riscalda il
cuore: dunque si può fare: si può tradurre integralmente un romanzo, e
non è velleitario e antiprofessionale chiedere che lo si dichiari, come
sproloquiava anni fa il direttore di Urania spalleggiato da tutti i
compagnucci della parrocchietta fantascientifica italica nel tentativo patetico di accampare scuse per essere stato beccato a sforbiciare come neppure i Fruttero&Lucentini d'antan. Con la
speranza che alla prossima uscita tutte queste splendide premesse non
vadano a farsi benedire, spero che il volume venda benissimo, come
meritano il volume stesso e l'iniziativa.
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-83888569052979786402013-06-02T06:16:00.005-07:002013-06-02T06:21:59.806-07:00Brevi appunti e pensieri su Mondo di Donne (World without men 1958) di Charles Eric Maine (1921-1981) <!--[if gte mso 9]><xml>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsazCv45c1DpUBwKv45J8oTFJLMLQh11AgXa_raMgtFo7DRhtDtJ2L2HN5khwOzFULAtpr7ppeu-bIs2Q-fNi0l1kMbg1QNmgmdSiWJYvV6JnmYUAeTH0EVKvCA4v6jWT8uHBgGb48bhMz/s1600/charles_eric_maine.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsazCv45c1DpUBwKv45J8oTFJLMLQh11AgXa_raMgtFo7DRhtDtJ2L2HN5khwOzFULAtpr7ppeu-bIs2Q-fNi0l1kMbg1QNmgmdSiWJYvV6JnmYUAeTH0EVKvCA4v6jWT8uHBgGb48bhMz/s1600/charles_eric_maine.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ho accarezzato l'idea di
farne una recensione vera e propria, ma forse l'idea è eccessiva per
quest'opera. O forse qualche appunto buttato giù alla buona poi può venir utile
per un ampliamento futuro. Di certo è una segnalazione che ci sta tutta, <i>Mondo di donne</i> non è più ristampato da oltre trent'anni, da quando nel
1981 apparve nell’ottavo volume della ormai defunta<i> Biblioteca di Urania. </i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La novella è un testo che
giudico esemplare. Esemplare delle possibilità e delle fondamenta filosofiche
della modalità narrativa fantascientifica (e forse del fantastico in generale),
ma anche dei limiti della sf puramente commerciale e di genere (e Maine è
comunque un autore più che dignitoso). Le possibilità che venga oggi ristampata
un'opera del genere, che a una lettura affrettata e superficiale (e forse non
solo affrettata e superficiale) risulta omofoba e misogina sono praticamente
nulle, e quindi il solo mezzo per procurarsela resta la bancarella e i suoi
omologhi virtuali. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><i>Mondo di donne </i></span>è una novella del 1958, in Italia è
stata presentata per la prima volta nel 1965 sul fascicolo n.415 di Urania, e
in seguito riproposta nel citato volume della Biblioteca di Urania che
presentava anche tre romanzi di Maine. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7UW7bSn5Yadh1laY9gdvLsxkC6ud7iWkmO1V7kxeNgxp1VzY7eF9ksB7flSwQo3fvx_pv0iCCNnSLidnYcqj8A92aPDDQjQk-HpIZr0-6c79zMys0eenI3zmZcZS9uH_DW8dWBkyrkPrN/s1600/Mondo+di+donne+ubib8.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7UW7bSn5Yadh1laY9gdvLsxkC6ud7iWkmO1V7kxeNgxp1VzY7eF9ksB7flSwQo3fvx_pv0iCCNnSLidnYcqj8A92aPDDQjQk-HpIZr0-6c79zMys0eenI3zmZcZS9uH_DW8dWBkyrkPrN/s320/Mondo+di+donne+ubib8.jpg" width="218" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Lo scrittore britannico
Charles Eric Maine è stato uno dei tanti onesti artigiani che hanno popolato e
fatto la storia della sf di genere: con qualche occasionale zampata di classe
superiore. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><i>Mondo di donne</i></span>, che l’autore ampliò negli anni ’70 in un
romanzo vero e proprio intitolato <i>Alph</i>, del quale non trovo traduzione
italiana, non è una di tali zampate. Dal punto di vista scientifico fa rizzare
i capelli (ok, siamo nel 1958, però le femmine a 48 cromosomi e i maschi a 47 urla
vendetta; e l’idea della nascita di un maschio umano da una femmina per
partenogenesi spontanea fa venir voglia di abbattere l’autore per non farlo
soffrire). Dal punto di vista stilistico e letterario la novella è rozza,
sciatta e curata in modo assai approssimativo. Dal punto di vista
dell’approfondimento dei personaggi lo spessore è pari quasi a zero. È un’opera
che appare senza incertezze derivativa, la distopia totalitaria che descrive
mostra i suoi debiti con i capolavori di Orwell (<i>1984</i>) e Huxley (<i>Brave New
World</i>), come anche di Zamjatin (<i>Noi</i>), senza nulla aggiungervi e limitandosi a
una descrizione pedissequa di una società analoga a quelle. È il 1958 quando
Maine pubblica la sua novella, e i fantasmi dei totalitarismi fascista e
comunista sono ancora vivi nella memoria o del tutto presenti sulla scena (e la
storia ne proporrà ancora e ancora negli anni a venire: Brasile, Cile,
Argentina, la deriva antidemocratica assunta dalla rivoluzione cubana ecc.).
Anche qui Maine si limita a servirsi pedissequamente del suo <i>zeitgeist</i> e
a solleticare i sentimenti e le paure del suo tempo. Mettendoci in più, immaginiamo,
i suoi sentimenti e le sue paure. Ai totalitarismi politici ne sostituisce uno
tecnocratico (il prevalere dei computer senz’anima sull’umanità era una paura
antica ben inscritta nel codice genetico della sf e sicuramente una soluzione
di maniera) fondandolo su uno di genere: femminile. I mondi privi di maschi
hanno prodotto autentici capolavori in ambito fantascientifico: <i>Considera le
sue vie </i>di Wyndham (<a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2009/04/pubblicato-su-intercom-httpwww.html">http://olivavincenzo.blogspot.it/2009/04/pubblicato-su-intercom-httpwww.html</a>) era stato pubblicato l’anno precedente e potrebbe essere
spunto e antecedente diretto della novella di Maine – oltre a rappresentare un
risultato letterario e fantascientifico di ben altra caratura. Per fare altri
due esempi soltanto, all’inizio degli anni ’70 Joanna Russ pubblicherà quel
breve e straordinario racconto che è Quando cambiò, e negli anni ’90
arriverà <i>Anatomia umana</i> dell’argentino Carlos Chernov (<a href="http://olivavincenzo.blogspot.it/2009/06/fantascienza-i-contemporanei-anatomia.html">http://olivavincenzo.blogspot.it/2009/06/fantascienza-i-contemporanei-anatomia.html</a>). Della
problematicità e delle raffinate analisi psicologiche, sociali e umanistiche di
questi autori in Maine non vi è nulla. Dalla novella dell’autore britannico
emergono la paura misogina di un femminismo che Maine radicalizza in odio di
genere elevato alla potenza ennesima. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwxMp6CeoyG4fS7yWavDw-MbQ91ZwhR38whEr7krc120n7LbNq6Ll3tSOm7HbPtdCE8WAfhtNeJmvWGCEGY-6n0g8yEJucgm-GyU5YODYzzWd84bYp1rPayk3lnAw3xmR8tMOr8mYARGr3/s1600/Charles+Eric+Maine+World+Without+Men+Ace058.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwxMp6CeoyG4fS7yWavDw-MbQ91ZwhR38whEr7krc120n7LbNq6Ll3tSOm7HbPtdCE8WAfhtNeJmvWGCEGY-6n0g8yEJucgm-GyU5YODYzzWd84bYp1rPayk3lnAw3xmR8tMOr8mYARGr3/s200/Charles+Eric+Maine+World+Without+Men+Ace058.jpg" width="129" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Al di sotto degli strati sociologici con
i quali edifica il mondo di sole donne che descrive vi è – chiara – la
percezione della donna attraverso il femminismo quale pericolo assoluto per il
maschio. Pericolo che arriva all’eliminazione fisica. E per converso vi è,
spesso esplicitato, il richiamo a un ordine naturale assoluto delle cose,
impermeabile all’elaborazione culturale e al desiderio e volontà umani. Con
tutta la sua insistenza sulla supremazia della scienza, che nelle sue mani
giunge a uno scientismo grottesco, Maine finirà addirittura per appellarsi alla
fede cristiana nella figura del Messia per conferire un principio aprioristico
di autorità alle sue conclusioni. Del resto, che sia in un dio o nella scienza
come valore assoluto, la fede è mossa dagli stessi meccanismi psicologici.
Tutte queste caratteristiche e limiti sono esemplari della fantascienza più
legata agli stereotipi del genere, alle necessità di base della sua natura
commerciale e alla difficoltà di superare il clima dei tempi. Oltre alle
caratteristiche personali di tanti autori di fantascienza di genere, spesso
legati a moduli conservativi di pensiero.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0eIDdSZtjKXRWkZW-XCHLeNgWJL2id2C_yfWSZGDS3MdPD294N_hEFu_swjYKTu-3BAnnIe14rlH5WNv0_0GSsyG0f_RuKV3Ak5QqPLTcE-qGaDVJI4S8TEHxK4rZk9f2Mdhm2-tH54FT/s1600/Mondo+di+donne+u415.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0eIDdSZtjKXRWkZW-XCHLeNgWJL2id2C_yfWSZGDS3MdPD294N_hEFu_swjYKTu-3BAnnIe14rlH5WNv0_0GSsyG0f_RuKV3Ak5QqPLTcE-qGaDVJI4S8TEHxK4rZk9f2Mdhm2-tH54FT/s200/Mondo+di+donne+u415.jpg" width="136" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Con tutti i suoi difetti, per
quanto sia grezza, sebbene appaia culturalmente limitata, questa novella è
tuttavia un’opera potente sotto il profilo dell’ampiezza immaginativa. È in
questo che risiede il suo autentico valore esemplare. È in opere come questa,
altrimenti mediocri, che esplode quella capacità di avvincere e di affascinare
di un genere che esige comunque da parte del lettore la capacità di osare con
il pensiero. Di andare oltre l’evidente. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Oltre i propri intenti e gli
intenti dell’autore, opere come </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><i>Mondo di donne</i></span> pongono domande al
lettore e gli impongono di cercare risposte dentro di sé; gli impongono di
riflettere e non accontentarsi dell’esistente o – peggio – di ciò che la
vulgata comune accetta e propaganda. Il totalitario mondo femminile descritto
da Maine e il suo incubo sociale rimandano a tutti i totalitarismi da incubo, e
anche (forse soprattutto) alle nostre più morbide forme di controllo del
consenso e delle opinioni. Ma anche mostra come al di sotto dell’incubo
totalitario, servendosi di tale maschera repulsiva, Maine veicoli a sua volta
uno spirito omofobo speculare alla società che stigmatizza. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyn_oWFjccFyT463y5NuAmYIMLAsO_aR1gDpxd7aJTu-aRWagpNfYc81ga3A-S62rDgiLc06oUKOAg6VfDj5SlyY-SeG5AR-0Z8lawt7SPmCvyM5RZ4iWEzGYs9D_rhFq4c1XiSvXpN2wG/s1600/Charles+Eric+Maine+Alph.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyn_oWFjccFyT463y5NuAmYIMLAsO_aR1gDpxd7aJTu-aRWagpNfYc81ga3A-S62rDgiLc06oUKOAg6VfDj5SlyY-SeG5AR-0Z8lawt7SPmCvyM5RZ4iWEzGYs9D_rhFq4c1XiSvXpN2wG/s200/Charles+Eric+Maine+Alph.jpg" width="136" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I meccanismi paranoici del
potere e degli individui coatti entro le strutture di tale potere che Maine
descrive sono resi, questi sì, con accuratezza e con una precisione analitica
che mostrano come l’autore potesse essere sciatto sotto il profilo letterario e
ideologicamente reazionario, ma come fosse tutt’altro che uno sprovveduto. E
avesse anche una notevole abilità nel costruire scenari vividi ed efficaci ben
al di là delle sue doti artistiche.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un’ultima considerazione sul
titolo. Al solito pedestre, nonostante l’apparente esattezza, la traduzione: <i>Word without men</i> diventa </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><i>Mondo di donne</i></span>, operando un sottile
eppure radicale ribaltamento di senso, spostando il fulcro concettuale
dell’opera dal rilevamento di un’<b>assenza </b>alla sottolineatura di una <b>presenza</b>, in tal modo rendendo molto meno neutra la già evidente lettura
antifemminista del testo che diviene del tutto misogina.</span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-33263659088955754712013-03-14T12:52:00.002-07:002013-03-14T12:52:28.735-07:00C'era una volta Urania Collezione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2dysbsOI2eQdTZX2aGWqYL-hZqpp0v8h4fVkBY91I6k5AaWdCXNFCRZ0lKCIMI4OfsLmvCntC1MBU1LdQT0npBsAjnswiIv_zBjHWvlbJzvVNwzImGm1WONm-8MOUSTeMCviM6LKtt3NK/s1600/tigrefull.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="473" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2dysbsOI2eQdTZX2aGWqYL-hZqpp0v8h4fVkBY91I6k5AaWdCXNFCRZ0lKCIMI4OfsLmvCntC1MBU1LdQT0npBsAjnswiIv_zBjHWvlbJzvVNwzImGm1WONm-8MOUSTeMCviM6LKtt3NK/s640/tigrefull.png" width="640" /></a></div>
<br />
Con questo albo del marzo 2013, il centoventiduesimo, Urania Collezione si incammina verso l'inevitabile declino. Come è per ogni scelta rinunciataria, un modo di morire prima di essere morti. UC è stata probabilmente la collana da edicola più bella della fantascienza Mondadori e della galassia uraniana. Perchè il formato, la grafica, la cura editoriale - e spesso la scelta narrativa - denotavano (o parevano denotare) un impegno particolare, un'accuratezza inusuale, la ricerca di un risultato editoriale che andasse oltre il dato economico. Diciamo pure la volontà di offrire qualcosa di bello, e l'impressione che per Mondadori e Urania la fantascienza non fosse la solita roba da quattro soldi. Solo i Massimi hanno rappresentato di più. Ma si trattava di una collana di rilegati da libreria, era un'altra cosa.<br />
<br />
Con questo albo Urania Collezione si allinea alla grafica e al formato di Urania, e con il ripristino dei cosiddetti "Capolavori" su quest'ultima, viene a essere virtualmente indistinguibile da essa. Una scelta rinunciataria, che sottolinea il completo disinteresse per i lettori e per il genere. Un disinteresse che difficilmente non potrà non essere ricambiato. Urania Collezione si acquistava spesso a prescindere, anche se si era già in possesso dell'opera (perfino in edizioni migliori), perchè al di là dell'opera si trattava di un oggetto bello da avere in mano e nella propria biblioteca. E perchè era il modo migliore per sostenere un'iniziativa ottima. Tutto questo viene naturalmente a cessare. Le motivazioni addotte sul blog di Urania per il cambio, e come al solito ancor più i modi del comunicare redazionale, sarebbero anche divertenti se l'ennesima delusione per chi ama la fantascienza non rendesse irritanti le une e gli altri.<br />
<br />
Peccato, per dieci anni è stata davvero bella.<br />
<br />
<br />Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-41583675323353003182013-02-10T08:02:00.000-08:002013-02-10T08:02:05.844-08:00Il classico – Passato, presente e futuro (Past, present and future - 1937) di Nat Schachner (1895-1955)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una certa rozzezza di stile è
innegabile, e ancor più un’ingenuità romantica che permea la storia; tuttavia
Schachner, ancorché essa appaia a tratti schematica, dà mostra con questo
racconto di una visione sociale, antropologica e psicologica assai acuta, tanto
più rapportandola al luogo e tempo di pubblicazione, e della capacità di
trasformare un’opera didascalica in una piccola gemma di avventura
fantascientifica. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Per usare delle
parole del sempre puntiglioso e avaro di complimenti John Clute nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Encyclopedia of Science Fiction</i>: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">His style was rough, but he was a sharp and
knowledgeable writer; his inattention to the field after about 1940 is
regretted</i>. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il rammarico di Clute è senza dubbio
giustificato: nella temperie della fantascienza che si sarebbe rinnovata tra la
fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 Schachner avrebbe potuto fornire
contributi di sicuro interesse se il – senza dubbio più remunerativo – campo
della biografia storica non lo avesse attratto. Questo racconto da solo, del
resto, è già un interessante contributo a quella fantascienza più attenta alla
dimensione umana e sociale del futuro che era tutt’altro che assente perfino ai
primordi della sf di genere, quell’epoca pionieristica che va dall’invenzione
stessa del nome nel 1926 alla fine del successivo decennio, quando John
Campbell assumerà la direzione di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Astounding
Stories</i>, la più importante rivista di allora, e porrà le basi per una
fantascienza più consapevole dei propri mezzi e del significato “filosofico”
dell’analisi narrativa del futuro umano. Né poteva essere diversamente se
pensiamo che la fantascienza “letteraria”, da Wells ad Aldous Huxley ed Ayn
Rand, passando per Zamijatin e altri, stava esplorando proprio tali aspetti da
almeno diversi decenni. Gli autori più attenti e sensibili, come Schachner era,
non potevano che adoperarsi a una sintesi tra lo stile rutilante della
fantascienza degli anni ’20 e ’30 e una maggiore profondità di analisi sconosciuta
ad altri scrittori dell’epoca come Doc Smith. In fondo, immaginiamo, per
Schachner il ricordo della visione del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Metropolis</i>
di Fritz Lang doveva essere fresco e seducente come anche la lettura di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Brave New World</i> di Huxley. Neppure
stupisce che Schachner fosse tra gli autori più amati da Isaac Asimov e che
egli lo annoverasse tra le sue influenze, includendo questo racconto in una
delle più famose tra le antologie da lui curate, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Before the Golden Age</i>; in Italia il titolo è <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Alba del Domani </i>(qui online: </span><a href="http://it.scribd.com/doc/119925759/Alba-Del-Domani-Isaac-Asimov"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">http://it.scribd.com/doc/119925759/Alba-Del-Domani-Isaac-Asimov</span></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">), e
si trattò del primo racconto di Schachner pubblicato nel nostro paese (non che
in seguito siano stati molti).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif154TZBrGRDRIdFi2Z4lq8Y2bWHu9S_29qf91As2JODcj0u7Nf77r138CTS-RLXAecwBQGtqTUdbcEd5Ujo_s2tK95mz1rVAOlbK9pkx9zKMqanGGYI_X5JQe2_WIFL5E2SzCX3iBrI-J/s1600/astounding+193709.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif154TZBrGRDRIdFi2Z4lq8Y2bWHu9S_29qf91As2JODcj0u7Nf77r138CTS-RLXAecwBQGtqTUdbcEd5Ujo_s2tK95mz1rVAOlbK9pkx9zKMqanGGYI_X5JQe2_WIFL5E2SzCX3iBrI-J/s1600/astounding+193709.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">In copertina campeggiava l'inevitabile storia di Doc Smith...</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Past, present and future</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> vide
la luce sul fascicolo del settembre 1937 di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Astounding
Stories</i>, che per quanto è possibile appurare dovette essere l’ultimo prima
che John Campbell ne assumesse la direzione, il quale perciò non ebbe verosimilmente
a che fare con la storia di Schachner; tuttavia il racconto risultò
probabilmente gradito al leggendario editor, se successivamente egli ne
pubblicò quattro seguiti (sebbene il finale sia in qualche modo “aperto”, il
racconto appare ugualmente perfettamente concluso). La storia è senza dubbio
campbelliana ante litteram, e del resto Campbell non nacque dal nulla </span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ascii-font-family: "Bodoni MT"; mso-char-type: symbol; mso-hansi-font-family: "Bodoni MT"; mso-symbol-font-family: Wingdings;"><span style="mso-char-type: symbol; mso-symbol-font-family: Wingdings;">J</span></span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, ma
anche sottilmente eretica rispetto al verbo del direttore di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Astounding</i>, e questo dovette attrarre
l’attenzione e influenzare il comportamento di Asimov. Al lettore del XXI
secolo salta agli occhi la TOTALE assenza dell’elemento femminile. Il racconto
è breve, non v’è dubbio, ma nell’economia di una storia che pone senza meno al
centro della propria analisi e riflessione l’umanità del presente e i possibili
sviluppi futuri della società una simile mancanza appare sconcertante. Non è
neppure che Schachner assegni un ruolo subalterno alla donna, la tralascia del
tutto. Non sottovalutazione ma indifferenza. Le sole donne che appaiono nel
racconto – all’inizio – sono le native Maya che divengono le compagne dei
marinai di Cleone e che svolgono una pura funzione strumentale prima di
scomparire del tutto. Sconcertante di sicuro, ma Schachner era pur sempre
figlio della sua epoca e soprattutto consapevole di scrivere per un pubblico di
nicchia di adolescenti quasi esclusivamente maschi e tecnofili. Le stesse –
poche – scrittrici dell’epoca si celavano in genere sotto pseudonimi maschili
(Alice Mary Norton diviene Andre Norton, arrivando anni dopo ad assumere
legalmente tale nome), oppure dietro l’ambiguità delle iniziali (Catherine
Lucille Moore si firma sempre C.L. Moore), o ancora la ventura di aver ricevuto
dai genitori un nome unisex (Leigh Brackett). Per altro, la profondità
concettuale di questo racconto è già molto oltre gli standard dell’epoca.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pura
tempra campbelliana (e non meno heinleiniana) hanno i tre eroi del racconto: Cleone,
navigatore, scorridore, soldato ateniese dell’età di Alessandro; Sam Ward,
avventuriero (nel senso più nobile della parola) americano coevo di Schachner;
Beltan, membro della più alta aristocrazia della città di Hispan nel IIC
secolo. Il Passato, il Presente e il Futuro. Sebbene sia condotto con maestria
e sprizzi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sense of wonder</i> da ogni
riga, il racconto è scopertamente didascalico. Cleone, Sam e Beltan sono al
contempo lo stesso personaggio, e il foro dialettico necessario a Schachner per
esporre le sue tesi. Alti, belli, nobili: i tre rappresentano non a caso delle
manifestazioni dello spirito <i style="mso-bidi-font-style: normal;">yankee</i>,
sono lo stesso maschio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">wasp</i> che si è
aperto la strada del continente americano da costa a costa con in pugno l’ascia
per disboscare, il fucile per cacciare (o far fuori qualche milione di indigeni
sulla via) e il dollaro per prosperare. Sono quell’uomo americano che si
preparava a combattere per la libertà del mondo (e affermare la supremazia
americana sullo stesso) di lì a poco. Tuttavia – e non a caso – l’americano al
100% Sam Ward è il solo tra questi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">yankee</i>
ad avere il cuore del tutto giusto: non a caso, ricorderà a Cleone che la sua
nobiltà, la filosofia e la cultura prosperavano sulla schiavitù; e a Beltan che
i felici tecnici e lavoratori della sua Hispan non sono poi meno schiavi (per
la struttura gerarchica di Hispan Schachner appare chiaramente debitore di
Aldous Huxley e del suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Brave New World</i>).
Schachner non era però autore inconsapevole o insincero, e Beltan farà a sua
volta notare a Sam che le condizioni degli operai del XX secolo non sembravano
poi tanto diverse da quelle dei lavoratori di Hispan. Questo aspetto
probabilmente sarebbe piaciuto meno a John Campbell ;-). Non è certo a un breve
racconto avventuroso che può essere demandata l’analisi accurata delle
strutture del lavoro dall’antichità classica ai tempi nostri, inoltrandosi poi
nei possibili sviluppi a venire; e però con poche parole l’autore enuncia con
assoluta chiarezza il problema centrale della sua epoca, della nostra, di
quelle precedenti e temiamo delle successive. La sperequazione nel godimento
dei frutti del lavoro stesso (oltre alla funzione liberticida del lavoro
organizzato e massificato). Gli Oligarchi di Hispan non appaiono semplicemente
dei parassiti inutili del corpo sociale e produttivo della città, lo sono senza
alcun dubbio, e in una misura che né l’antichità classica né l’America di Sam
Ward avevano sperimentato con le proprie èlite di potere; ed è quanto meno
inquietante la somiglianza che tale oligarchia <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hispanica</i> sembra avere con le classi apicali del finanzcapitalismo
oggi trionfante. Schachner non offre soluzioni, se non individuali e
individualiste. Al di là delle differenze ideali e ideologiche, Cleone, Sam e
Beltan si riconoscono quali <i style="mso-bidi-font-style: normal;">uomini</i>,
intendendo e sottintendendo uomini liberi. La risposta, individuale e individualista,
è la libertà. Le costrizioni delle società variamente irreggimentate od
oppresse da forme di pensiero dominante da cui provengono i tre sembrano
impedire l’elaborazione di un concetto di libertà che vada oltre il piano del
singolo. Non è la libertà sociale che desiderano i tre (Sam, vagamente…), né
per una tale libertà combatteranno (non in questo racconto, ignoro cosa accada
nei sequel). Fuggiranno da Hispan, per sottrarsi al probabile destino che li
attende per mano delle autorità della città, ed emergeranno – letteralmente –
dalle sue profondità sclerotiche, predatorie e artificiali a rivedere le stelle
di una Terra che appare ai loro occhi vergine e incontaminata. È una nascita,
un vero e proprio parto della Terra. E della mente. La risposta di Schachner
appare ed è senza meno parziale, ma senza la rinascita a una libertà
intellettuale individuale non vi può essere la base minima per un riscatto
sociale. Una società libera può essere edificata solo da spiriti liberi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-Sw_2Ret97Dpf4DfZjAFYVRlNTzJxjHWky1gQt_4__43REy-7e3nGDWZnvZtyD0CI3dC2XzQuYbaeceFWR82n9VarZlSe6f-d8p0X9emhdEcKU0OBoUhH6qYSDsDk1sWFnqwg7VGzjRNk/s1600/alba.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-Sw_2Ret97Dpf4DfZjAFYVRlNTzJxjHWky1gQt_4__43REy-7e3nGDWZnvZtyD0CI3dC2XzQuYbaeceFWR82n9VarZlSe6f-d8p0X9emhdEcKU0OBoUhH6qYSDsDk1sWFnqwg7VGzjRNk/s320/alba.jpg" width="225" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’appassionato
di fantascienza ritrova in questo racconto mille suggestioni ad esso precedenti
e successive. L’iconografia sociale di Hispan rimanda variamente al Wells <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The
Time Machine</i> con i suoi Eloi e Morlock, ai citati Huxley di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Brave New World</i> e Lang di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Metropolis</i> e con essi ad altri – <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Anthem</i> di Ayn Rand apparirà nel 1938.
Così come si riflette in opere successive: il pensiero corre al ciclo a fumetti
dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Incal</i>, scritto da Alejandro
Jodorowsky per i disegni di Moebius, per certi aspetti a uno dei migliori
romanzi di Robert Heinlein, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Orphans of the
sky</i>, non meno che ai romanzi asimoviani del ciclo di Elijah Baley e
R.Daneel Olivaw. E a molti altri. Il tema della città o della società
distopica, (rac)chiusa in sé stessa e nel proprio pensiero unico, uniformante e
livellante, il pensiero che diviene Verbo, è naturalmente così potente e in
qualche modo imposto dalla realtà e dalla riflessione storica da essere ormai
un cliché e un luogo comune. Ma non per questo da aver perduto valore di
riflessione e pregnanza. La fantascienza è per storia e struttura la forma
narrativa più adatta a tale riflessione, e infatti gli esempi abbondano. Il più
radicale e completo appare ancora oggi quello fornito da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">El Eternauta</i> di Hector Germàn Oesterheld e Francisco Solano Lopez,
ma anche questo piccolo racconto fornisce il suo apporto.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="tab-stops: 172.9pt 359.5pt; text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-19759775289488694022012-12-24T08:43:00.000-08:002012-12-24T08:43:09.792-08:00I contemporanei – La sindrome di Wolverton (2002-2008) di Alan D. Altieri (n.1952)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per il Vero Lettore uno dei
piaceri più genuini è rappresentato dall’erratico vagabondare tra vecchi
fascicoli di riviste da disseppellire, antologie poste ormai a basamento di
vertiginosi pinnacoli librarii, cumuli disordinati di romanzi e volumi vari dimenticati
da anni in angoli altrettanto dimenticati della casa. È un’attività riservata
in particolare a quelle occasioni nelle quali la capricciosità<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>del Vero Lettore, che è lettore difficile e
bizzoso, si muta in vera e propria incontentabilità. Non c’è nuovo racconto che
soddisfi, articolo recente che stuzzichi la curiosità. E l’impresa di mettersi
a leggere un romanzo è fuori discussione: un paio di frasi e si sbuffa incontentabili. Tanto meno si è nella disposizione d’animo di affannarsi su
ponderosi saggi. Si esplora, dunque. Si torna sugli antichi passi. Si rilegge
qualcosa che si è amato. Oppure si trova il tempo, il modo e l’occasione di
leggere quanto si è tralasciato un tempo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È il 2003: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Robot</i>, la rivista che è un mito per ogni
lettore italiano di sf, è appena tornata in vita, e sul secondo fascicolo di
questa sua nuova incarnazione viene pubblicato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La sindrome di Wolverton</i>, racconto a firma di Alan D. Altieri.
Confesso subito il mio peccato: non ho mai letto nulla di Altieri. Nessuna
pregiudiziale: se non forse che le tematiche affrontate in genere dallo
scrittore milanese, o meglio le angolazioni visuali così spintamente
techno-noir-thriller che utilizza per scrivere, non rientrano tra le mie
preferite. Per inclinazione personale probabilmente potrei essere tentato dalla
trilogia storica di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Magdeburg</i>. Mi
attrae e al contempo respinge il suo stile, incontrato in alcuni articoli.
Goticheggiante, quasi barocco, uno stile che seduce ma sazia rapidamente, come
una cioccolata dolcissima. Ma è soprattutto la mole dei suoi libri ad avermi
tenuto lontano. Passati i verdi anni, devo avere una motivazione davvero
d’acciaio per imbarcarmi in letture pletoriche come quelle proposte da Altieri;
e uno stile che promette di saziare in breve non è esattamente quanto invogli a
iniziare letture di centinaia e centinaia di pagine. Ecco allora che un breve
racconto si prospetta come il miglior viatico per eventuali futuri
approfondimenti – e per allontanare la capricciosità domenicale da
insoddisfazione di lettura ;-)</span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ascii-font-family: "Bodoni MT"; mso-char-type: symbol; mso-hansi-font-family: "Bodoni MT"; mso-symbol-font-family: Wingdings;"><span style="mso-char-type: symbol; mso-symbol-font-family: Wingdings;"></span></span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">.</span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifIkMMQ_UhTxoWYsaCwUMJ02YNAEj2siEQWAIKDYJIhcm1rRlQUceZOjTglCqPVjkxK-VgEepz1twv6Gwd3r6sRxFydbUGtP04OGaufStrGLdYBXMTTwPzkGDGWoTnLR0ybFGI8b2J0S5v/s1600/robot+42.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifIkMMQ_UhTxoWYsaCwUMJ02YNAEj2siEQWAIKDYJIhcm1rRlQUceZOjTglCqPVjkxK-VgEepz1twv6Gwd3r6sRxFydbUGtP04OGaufStrGLdYBXMTTwPzkGDGWoTnLR0ybFGI8b2J0S5v/s320/robot+42.jpg" width="234" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;">Il numero 42 di Robot, secondo della nuova serie, sede della se<span style="font-size: x-small;">conda edizione del racconto</span></span></span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come è noto, “Alan D.” è il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">nom de plume</i> di Sergio Altieri.
Terminata la lettura del racconto pubblicato su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Robot</i> n.42 si fa qualche ricerca in rete e si viene a sapere che esso
era alla sua seconda pubblicazione, dopo quella avvenuta l’anno prima su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">M Rivista del Mistero</i>, e che una terza
avverrà poi nel primo volume antologico dei racconti di Sergio/Alan: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Armageddon – Scorciatoie per l’Apocalisse</i>.
Si disseppellisce il volume da sotto un altro pinnacolo librario. Non fosse che
per averlo a portata di mano, dal momento che la lettura del racconto è stata
senza dubbio soddisfacente e c’è tutta l’intenzione di leggere altro di
Altieri. La curiosità spinge a scorrervi le prime righe del racconto appena
letto e, una volta registrate differenze che indicano una revisione non da poco
del testo, a effettuare una rilettura completa. Se tra la prima (anzi seconda)
edizione e la seconda (anzi terza) la trama non muta, tuttavia l’editing
stilistico e di scrittura non risulta indifferente. E con pieno vantaggio del
testo dell’edizione più recente! Ignoro come fosse il testo dell’edizione
originale, ma in ogni modo tra quella apparsa su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Robot</i> e quella contenuta in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Armageddon</i>
si guadagna un’asciuttezza e una secchezza verbali e del periodare che pur
lasciando intatta la cupezza gotica delle atmosfere e la violenza quasi barocca
delle situazioni e dei personaggi (anzi esaltandola) la depurano di quella
ridondanza e del compiacimento che renderebbero indigeribili testi più ampi di
un breve racconto. Uno stile sempre (sovrac)carico, in qualche modo, ma non
stucchevole, che rende al meglio quella vivida visività cinematografica che
viene ad Altieri dalla sua importante frequentazione della sceneggiatura
hollywoodiana e televisiva. Alla ricerca di sensazioni forti di lettura si è
soddisfatti di incontrare una scrittura così corposa e robusta; ma anche essenziale e chirurgica, verrebbe da dire. Un breve
esempio: </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’uomo
emerge dal fumo e dai miasmi. Nudo come un verme sul ghiaccio, nel vento. Ha il
torace coperto di arabeschi di sangue raggrumato. Il suo mento gronda sangue
ancora fresco, scintillante.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’uomo
cammina lontano dal fulcro degli incendi. Aggira mucchi di rottami
irriconoscibili ancora in fiamme. Ignora la morsa da annientamento dei meno
quarantadue gradi Celsius. Avanza sulla fanghiglia che diventa gelida, che
comincia a solidificarsi.</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nella precedente versione su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Robot</i> suonava così:</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un
uomo emerse da uno squarcio nella parete semi-cilindrica del Blocco Principale,
sventrato dalle esplosioni.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un
uomo dal torace coperto di arabeschi di sangue raggrumato. </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un
uomo nudo come un verme nella morsa da annientamento dei quarantadue gradi
Celsius sotto lo zero.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Camminò
sempre più lontano dal fulcro caldo degli incendi. Aggirando mucchi di rottami
irriconoscibili ancora in fiamme, avanzando sulla fanghiglia gelida che stava già
cominciando a solidificarsi. Anche l’altro sangue, quello ancora fresco che
scintillava sulle sue labbra, sul suo mento, cominciò a solidificarsi.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La rete riserva un’ulteriore
curiosità. Il testo del racconto è infatti reperibile sul forum di Altieri: </span><a href="http://alanaltieri.forumfree.it/?t=13533263"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">http://alanaltieri.forumfree.it/?t=13533263</span></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. E a
un’occhiata sommaria il testo sembrerebbe una versione intermedia tra
l’edizione su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Robot</i> e quella in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Armageddon</i>. Sia come sia, la storia
resta la stessa nella sua essenza </span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ascii-font-family: "Bodoni MT"; mso-char-type: symbol; mso-hansi-font-family: "Bodoni MT"; mso-symbol-font-family: Wingdings;"><span style="mso-char-type: symbol; mso-symbol-font-family: Wingdings;">:-)</span></span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. </span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX73nVuZ6ynIGAyohvwRwPLE2GIUsce6gS16CHl805z1UIDaKQbyTV-yVNJIeVJnc4WPEhgbQ112pelAz8gqLdfxU_MgaCv764c4r82uZyrTtSSYe5CT5eAHd2ZzSPL1zQYU7-lOrkTcoa/s1600/ArmageddonG.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX73nVuZ6ynIGAyohvwRwPLE2GIUsce6gS16CHl805z1UIDaKQbyTV-yVNJIeVJnc4WPEhgbQ112pelAz8gqLdfxU_MgaCv764c4r82uZyrTtSSYe5CT5eAHd2ZzSPL1zQYU7-lOrkTcoa/s1600/ArmageddonG.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;">Armageddon, pubblicato nel 2008, presenta la terza edizione del racconto.</span></span></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nell’introduzione al racconto
su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Armageddon</i>, Altieri riconosce il
chiaro debito verso il superbo racconto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Who
goes there?</i> Di John W. Campbell jr., dal quale è stato tratto il film <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Cosa </i>diretto da John Carpenter e che
in precedenza aveva ispirato la pellicola di Howard Hawks <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Cosa da un altro mondo</i>. Debito di atmosfera e ambientazione in
primo luogo. Di potente carica d’orrore e sospetto. Una natura soverchiante e
la propensione umana alla paranoia, esaltata dalle condizioni di vita estrema. In
Altieri, tuttavia, la minaccia si sposta più modernamente dall’esterno
all’interno. Non più un invasore alieno ma l’uomo stesso: l’individuo e la
società di cui è parte. La “Cosa” è l’essere umano. L’umanità. La natura umana.
E se è vero che <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Sindrome di Wolverton</i>
è principalmente un racconto d’azione – e di magnifica azione – non è men vero
che la pressione e l’oppressione psicologiche, la temperie fobica nella quale
sono immersi i protagonisti del racconto è resa perfettamente da Altieri, con
economia di parole al riguardo, ma senza venir meno alla chiara evidenziazione
del fatto. Senza venir meno alla cifra più evidente da subito del suo narrare:
la disperazione. Quanto meno apparentemente, non vi sono redenzione né speranza
nel suo universo: in fondo non è casuale che il sottotitolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Armageddon </i>sia:<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Scorciatoie per l’Apocalisse</i>. Non è casuale il setting del
racconto, la Stazione Wolverton, della Gottschalk-Yutani Oil: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mastodontico, onnipotente
meta-megaconglomerato planetario. Sistema che è tutti i sistemi, macchina che è
tutte le macchine.</i> Senza dubbio un cliché di tanta fantascienza,
soprattutto a partire dagli anni ’50, ma un cliché <u>efficace</u>. E che qui
colpisce nel segno per la sua disarmante verità. Altieri si premura di
illustrarne l’efficacia con la smaliziata perizia del narratore di genere dalla
penna accurata e dal solido vigore narrativo. Una scrittura mai scontata, neppure
lì dove sembra più appoggiarsi agli stilemi di genere: c’è sempre una parola,
un accenno o un sottinteso che rimandano a un senso più elaborato. Senza che il
ritmo ne risenta neppure in parte.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyiqX3oMop9PfygjP4dlPMBCqpq1rNfNyh3wnJziGefOIjvlj28My25QGKaalP3QEHlmPU4kVvPHwXMm9Nk-k031fvIMmuq9RUmJpYVfcjCzcS4R7nnz5Pw5Fuzua2K56yWoyYcB-2F_ra/s1600/m+rivista+del+mistero.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyiqX3oMop9PfygjP4dlPMBCqpq1rNfNyh3wnJziGefOIjvlj28My25QGKaalP3QEHlmPU4kVvPHwXMm9Nk-k031fvIMmuq9RUmJpYVfcjCzcS4R7nnz5Pw5Fuzua2K56yWoyYcB-2F_ra/s200/m+rivista+del+mistero.jpg" width="150" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È antropologicamente diversa
l’umanità di Altieri rispetto a quella di Campbell (e anche di Hawks e
Carpenter). </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È </span>pertanto perfettamente consequenziale alla sua <i style="mso-bidi-font-style: normal;">disperazione</i>, e alle disperate premesse
cui accennavo più sopra, la chiusa del racconto, quando l’ispettore capo
Keller, che ne è la protagonista principale, definisce con implacabilità pari
alla precisione il significato ontologico della “Sindrome di Wolverton”: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Sindrome di Wolverton è un dialogo. Con
il lato oscuro della coscienza. </i>E dopo aver ucciso i due uomini che (forse)
si frappongono tra lei e la diffusione planetaria della Sindrome ella conclude:
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ora quel dialogo può continuare.</i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La natura, l’umanità e la
società di Altieri sono le nostre, appena appena nel futuro, appena appena più
brutalizzate, violentate, distorte e sfruttate delle nostre. Una natura,
un’umanità, una società a pochi anni di distanza nel pensiero economico
uniformante che ha (s)governato gli ultimi quattro decenni della storia
planetaria, inducendo un parossismo psicotico di consumismo che sta
raggiungendo rapidamente il suo punto apicale e il conseguente declino verso
l’approdo terminale da una “consumabilità” assoluta di tutte le cose e i
viventi a, di fatto, il loro effettivo consumo ed esaurimento. La società e
l’umanità di Altieri sono pronte all’opera: la base antartica Wolverton è
l’avamposto deputato allo sventramento e alla devastazione dell’ultima
frontiera naturale intatta, quella antartica appunto. Lo scopo: l’estrazione
degli immensi giacimenti di petrolio sottostanti. Fino a consumare, sempre più
rapidamente, anche quelli. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nella migliore tradizione
della fantascienza catastrofica la natura violentata reagisce con violenza
contro il parassita che la infesta e infastidisce. Negli individui sottoposti
alle condizioni estreme della stazione Wolverton insorge un virus atto a
indurre una follia omicida e autodistruttiva. Un virus che, non è davvero
difficile scorgerlo, null’altro fa se non far emergere la realtà del
comportamento umano, quel parossismo predatorio e consumistico di cui sopra che
non risparmia nulla e nessuno, neppure i propri simili, neppure se stessi. È
l’uomo stesso, la sindrome. È malattia per sé. </span><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8jDCMismVJtvMXpp5pcZTAFck3VDPk_ReNAenKg8eoS4IJ88o9JQMbUy2bI1D1mgVkiohibm9m0V8oxx6bqgm0DJZHQtIwx4DR3OUFxLOzgLcRT3Q2ZEB6cgOPn6m0tGcMXYGYhVs22fl/s1600/alan-d-altieri.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="133" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8jDCMismVJtvMXpp5pcZTAFck3VDPk_ReNAenKg8eoS4IJ88o9JQMbUy2bI1D1mgVkiohibm9m0V8oxx6bqgm0DJZHQtIwx4DR3OUFxLOzgLcRT3Q2ZEB6cgOPn6m0tGcMXYGYhVs22fl/s200/alan-d-altieri.jpg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Senza scomodare Freud e la sua pulsione di morte, registriamo con rassegnazione che l'evoluzione non ci ha attrezzato per governare un sistema della complessità del nostro pianeta, e che difficilmente avremo il tempo per attrezzarci visto che stiamo dimostrando di non avere intelligenza sufficiente a comprenderne le necessità. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8jDCMismVJtvMXpp5pcZTAFck3VDPk_ReNAenKg8eoS4IJ88o9JQMbUy2bI1D1mgVkiohibm9m0V8oxx6bqgm0DJZHQtIwx4DR3OUFxLOzgLcRT3Q2ZEB6cgOPn6m0tGcMXYGYhVs22fl/s1600/alan-d-altieri.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><br /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Difficilmente sarà come racconta Sergio/Alan, è
ovvio. Continuando sulla strada intrapresa è più probabile che a porre fine
all’avventura elettrizzante degli ultimi secoli di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Homo sapiens</i> saranno fenomeni molto più “banali” e “prosaici”:
guerre per l’acqua, per le fonti di energia, per l’accaparramento delle terre
coltivabili, per lo sfruttamento di mercati del lavoro a costo praticamente
zero. E altre amenità del genere, magari la “semplice” pressione
demografica.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Al netto delle amare
riflessione indotte, come si diceva il racconto di Altieri resta una magnifica
storia d’azione. Concitata, sincopata, dura. Senza mai scadere in una violenza
che sia puramente gratuita. Violenza a volte anche pervasiva, ma sempre
perfettamente giustificata dalle situazioni e dall’analisi psicologica e
sociale. Una storia d’azione che non rinuncia a far riflettere, e riflettere a
fondo. E lo fa con semplicità pari all’efficacia. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-45700976505204081442012-10-07T04:50:00.001-07:002012-10-07T04:50:29.851-07:00I classici – Non avrai altro popolo (For I am a Jealous People! - 1954) di Lester del Rey (1915-1993)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
C<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">he il suo vero nome fosse
quel Ramon, seguito da una sfilza di altri nomi degni di un Grande di Spagna
con una schiatta millenaria sulle spalle, oppure il ben più prosaico Leonard
Knapp riferito in una intervista a Locus dalla sorella Sarah che gli è
sopravvissuta, “Lester del Rey” è stato un autore di rilievo primario della
fantascienza di matrice positivista propugnata con forza da John Campbell sulle
pagine di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Astounding</i>, principale
rivista americana di sf negli anni ’40 dello scorso secolo, da lui diretta per
oltre tre decenni, fino alla morte. In seguito, nel corso degli anni ’50, del
Rey si affermò come una delle principali firme del campo della sf nella
produzione di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">juveniles</i>, romanzi che
oggi si direbbero <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Young-adult</i>,
spartendo la maggior gloria con Andre Norton e Robert Heinlein. Se non vi è
dubbio che la gran parte di quelle opere fossero alimentari, come certamente
anche molte del periodo precedente, non è meno vero che nei lavori dove volle o
poté permettersi di essere più curato, soprattutto racconti e novelle scritti
dal suo esordio nel 1938 e nei circa vent’anni successivi, del Rey abbia saputo
mostrare una cifra stilistica e di contenuti personale e la capacità di
attrarre il lettore con il fascino delle trame avventurose sempre abbinato a un
rigoroso stimolo alla riflessione. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Nella
voce a lui dedicata dalla Encyclopedia of Science Fiction curata da John Clute
e Peter Nicholls, Brian Stableford scrive di del Rey che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">LDR was a versatile but rather erratic writer who never fulfilled his
early promise. </i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">His
best work appears in the collections (…)</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">”. E l’autore britannico
commenta con acume: di rado infatti del Rey parve mantenere quelle promesse (e
premesse) poste in alcuni dei suoi primi lavori, in particolar modo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Helen O’Loy</i>, scritto agli esordi, che
pur presentando le inevitabili ingenuità dell’età in cui fu pubblicato e del
tipo di pubblicazione su cui apparve, compresa una decisa coloritura romantica,
è ancora oggi una lettura emozionante e in grado di rivolgersi ai sentimenti
autentici del lettore. Oppure <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nervi</i>, la
novella del 1942 poi espansa alla misura di romanzo che rappresenta il miglior
risultato narrativo conseguito da del Rey e che narra, con realismo eccezionale
per l’epoca, di un incidente in una centrale nucleare.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3J8zCQrxE4CiQXY6MbJ2my76VJO1BFbYUisnKsHXXhMsg0JXtyQ2hhzQUFFogPhdlEl8tPgab_XCAzzV5kXtq9_G2um3EpKl9evzh_Ga3cW8QaJDA8J47JVuEwruG_MaPIfyhils02X0R/s1600/star+short+novels.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3J8zCQrxE4CiQXY6MbJ2my76VJO1BFbYUisnKsHXXhMsg0JXtyQ2hhzQUFFogPhdlEl8tPgab_XCAzzV5kXtq9_G2um3EpKl9evzh_Ga3cW8QaJDA8J47JVuEwruG_MaPIfyhils02X0R/s320/star+short+novels.jpg" width="181" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'antologia dove apparve la novella in origine</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pubblicato in origine nel
1954, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">For I am a Jealous People!</i> Fu
edito per la prima volta in Italia nel 1965 sulle pagine di una bellissima antologia
curata da Roberta Rambelli con altisonante prefazione di Gillo Dorfles, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fantascienza della crudeltà,</i> con l’impeccabile
titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Perché sono un Popolo Geloso</i>.
Comparve in seguito nel 1974 nel fascicolo n.653 di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Urania </i>(si ometta pietosamente il titolo utilizzato per
l’antologia), che presentava in Italia l’antologia personale di del Rey <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gods and Golems</i>, che raccoglieva la sua
migliore produzione di media lunghezza della prima metà degli anni ’50; questa
volta il racconto è pubblicato con l’ugualmente corretto titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non avrai altro popolo</i>. Nella “migliore”
tradizione della rivista mondadoriana, l’edizione ometteva di pubblicare uno
dei cinque lavori presenti nell’antologia originale, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pursuit</i> (leggibile in inglese a questo indirizzo: </span><a href="http://www.gutenberg.org/catalog/world/readfile?fk_files=1635003"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">http://www.gutenberg.org/catalog/world/readfile?fk_files=1635003</span></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">), secondo
un filo d’acciaio che connette la Urania di Fruttero&Lucentini a quella dei
nostri tempi nell’attitudine all’uso delle forbici. Le successive edizioni della
breve novella manterranno questo titolo fino all’ultima, comparsa di nuovo su
Urania (nel fascicolo n.1479) come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Perché
sono un dio geloso!</i>, titolo fuorviante quanto altri mai, che travisa
radicalmente il senso profondo dell’opera in precedenza sempre rispettato: tanto
per confermare che se si può far peggio ci si impegna con alacrità.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWIXcM7RhKkSYeS3qvWTIZ6_kptx6pVm0gwnBtsMJvapieWqCAg8BYbnkXKvU5lfzTRsWR9Kv0JtwzfuVagdRyNH19R0uuVvEJ7icXzVDA8gFHzmvR_2tFwYZYZlQnchf2dy3UDpltWwQx/s1600/u653.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEir3_p08cZZ0ggobBo5-PkzWbnvu_fUvb0FhHxUpWpwWqS4ROE8Rn8t5PrrfUaHis64m0wgtcDwtaz2NKcH5ziJwbeJvlUD9b1EASyPsbUKIfYZZAzkozXbt18di_UmRi3uh5doDbgOJTpC/s1600/fantascienza+della+crudelt%25C3%25A0.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEir3_p08cZZ0ggobBo5-PkzWbnvu_fUvb0FhHxUpWpwWqS4ROE8Rn8t5PrrfUaHis64m0wgtcDwtaz2NKcH5ziJwbeJvlUD9b1EASyPsbUKIfYZZAzkozXbt18di_UmRi3uh5doDbgOJTpC/s200/fantascienza+della+crudelt%25C3%25A0.jpg" width="128" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">For
I am a Jealous People!</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> è per molti versi un’opera tipica della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Golden Age</i> della fantascienza (</span><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Age_of_Science_Fiction"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">http://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Age_of_Science_Fiction</span></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">),
senza dubbio rispettosa del verbo campbelliano che prevedeva che gli esseri
umani (o per meglio dire: gli americani rigorosamente wasp) fossero sempre e
comunque in grado di vincere le sfide, le battaglie, i rovesci di fortuna, le
imprese impossibili e a ogni modo qualunque avversità il destino proponesse
loro attraverso le vicende narrative. E non vi è dubbio che il tipo di
avversità che il reverendo Amos Strong, protagonista principale della novella,
si trova a fronteggiare è del tipo più arduo: combattere avendo Dio nel campo
avversario. Quale che fosse la sfida, gli uomini (americani wasp) di Campbell e
dei suoi discepoli più fidati vincevano immancabilmente, per cui non dubitiamo
che la sfida finale lanciata dall’uomo di Dio al suo (ormai ex) dio e al popolo
eletto di questi, gli alieni invasori e sterminatori, sarà coronata da
successo. Una variante potrebbe sempre essere quella della gloriosa soccombenza
in stile Alamo: poco importa che il mito di Alamo sia autentico quanto una
moneta da tre euro; e in ogni caso si ricordi che, DOPO, a Santa Ana gli
abbiamo fatto un mazzo così. Ma sebbene del Rey non narri l’esito finale del
confronto, crediamo vi sia ben poco spazio per uno diverso dalla vittoria umana
(americana wasp). </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWIXcM7RhKkSYeS3qvWTIZ6_kptx6pVm0gwnBtsMJvapieWqCAg8BYbnkXKvU5lfzTRsWR9Kv0JtwzfuVagdRyNH19R0uuVvEJ7icXzVDA8gFHzmvR_2tFwYZYZlQnchf2dy3UDpltWwQx/s1600/u653.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWIXcM7RhKkSYeS3qvWTIZ6_kptx6pVm0gwnBtsMJvapieWqCAg8BYbnkXKvU5lfzTRsWR9Kv0JtwzfuVagdRyNH19R0uuVvEJ7icXzVDA8gFHzmvR_2tFwYZYZlQnchf2dy3UDpltWwQx/s200/u653.jpg" width="135" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’elemento religioso ricorre
in più di una delle migliori opere dell’autore americano - anche nell’antologia
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gods and Golems</i> -, compreso quello
che probabilmente è il suo miglior romanzo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’undicesimo
comandamento</i>, pubblicato nel 1962, a sostanziale chiusura del periodo
creativamente felice e abbondante della sua produzione. Nella novella in esame
come nel romanzo, del Rey sa miscelare sapientemente gli aspetti più
tipicamente avventurosi e di intrattenimento con un’acuta azione di stimolo
alla riflessione sui temi teologici e di coscienza che getta in campo, e senza
che l’uno aspetto soverchi mai l’altro. Il riferimento a Kant che Amos fa (“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quindi agisci in modo da trattare l’umanità
sia nella tua propria persona che in quella altrui, in qualunque caso, come un
fine e assolutamente mai come un mezzo.</i>”) non stride con la trama di una
feroce, apparentemente insensata, invasione aliena: è anzi essenziale per
comprendere lo sviluppo del personaggio e per inquadrare concettualmente la
novella.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nell’economia della breve
novella di cui si tratta, la necessità di porre in modo succinto le questioni
attinenti alla tematica religiosa non inficia minimamente l’efficacia del lavoro
dello scrittore americano. Paga se mai egli lo scotto di una certa rozzezza
stilistica, o meglio della brutalità con cui deve comprimere e sollecitare il
suo personaggio a compiere rapidamente l’evoluzione – e anzi la rivoluzione –
copernicana del suo spirito e del suo modo di essere, della sua personalità
profonda. A onta di questa necessaria brutalità, del Rey è tuttavia abile a
mostrare ogni sottigliezza del lavoro corrosivo che il dubbio suscitato
dall’osservazione della realtà e dal contatto con lo stesso Dio, “traditore”
del suo ex popolo, compie nella psiche e nell’anima di Amos Strong. Novello
Giobbe, ma che infine rifiuta lo schema psicologico che riteneva Dio avesse
scelto per lui – che Amos si era costruito per sé, insieme alla immagine di un
dio fatto a propria immagine - , quest’uomo pio e sottomesso al verbo di Dio,
ma pur ammantato sempre di una dolente e nobile dignità, giungerà nel finale
della novella a pronunciare il programma (campbelliano ;-)) della guerra contro
gli avversari dell’uomo (americano wasp): “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dio
ha denunciato l’antico patto e si è dichiarato nemico dell’umanità – disse, e
la chiesa risuonava al rombo della sua voce. – E io vi dico che egli ha trovato
un valido antagonista.</i>”</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Che del Rey ne fosse
consapevole o meno (e probabilmente lo era eccome), in tal modo il reverendo
Strong veniva anche a chiudere il cerchio, specularmente ritrovando la pienezza
della sua quasi esaltata fede giovanile in Dio in tale ispirata opposizione
allo stesso Dio. Minor successo ha forse l’evidenziazione del percorso
interiore che trasforma l’un tempo ardente e ormai intiepidito predicatore in
un profeta carismatico: qui lo spazio narrativo risulta eccessivamente
tirannico. Tuttavia l’autore compensa la pochezza analitica con la vividezza emotiva
con la quale descrive la (ri)presa di coscienza di Amos: “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Amos passò il resto della giornata nella casa dove aveva trascinato il
cadavere di Doc. Non andò nemmeno in cerca di cibo. Per la prima volta in vita
sua, da quando gli era morta la madre, a cinque anni, non aveva protezione
contro il dolore. Non l’amara convinzione che si fosse fatta la volontà di Dio
a consolarlo della perdita di Doc. E, rendendosene conto, sentì anche l’acuto
dolore per le altre perdite dolorose, come se fossero anch’esse avvenute
insieme con la morte di Doc.</i>” Lester del Rey lascia sempre al lettore il
suo libero arbitrio, si residua lo spazio del dubbio, tuttavia la sua scelta di
campo appare razionale. O quanto meno lo sono le scelte di campo dei suoi
personaggi, Amos Strong compreso.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3W_lKcGhqTVrRHXUDQv2f6YRI9PM-4fwoxxYFGyw7l90q3FzWxMBaQXmZa7Yco8UVUis471islLiyrvCSOsF9a6FLx11uTsbtH22YWeqZLD9pQXS6t5foWVma0Do8qghb5PEBKYVoVR3W/s1600/Gods+and+Golems.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3W_lKcGhqTVrRHXUDQv2f6YRI9PM-4fwoxxYFGyw7l90q3FzWxMBaQXmZa7Yco8UVUis471islLiyrvCSOsF9a6FLx11uTsbtH22YWeqZLD9pQXS6t5foWVma0Do8qghb5PEBKYVoVR3W/s320/Gods+and+Golems.jpg" width="187" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La vividezza cromatica delle
emozioni non resta concentrata nel solo reverendo; pur nell’economia della
necessità di farne giganteggiare la figura, del Rey si dimostra professionista
particolarmente smaliziato nel dipingere con rapide pennellate dei personaggi
di contorno credibili e in grado di andare oltre la pura funzione di mascherine
e cliché. Non solo il “Doc” della citazione qui sopra, il dottor Alan Miller,
figura assolutamente stereotipa del medico condotto dell’America profonda di
parecchi decenni fa (l’azione si svolge in un Kansas agricolo, perfettamente
aderente a quello dell’epoca in cui la novella è stata scritta) e che pure
diviene materiale narrativo caldo e vivo sotto la penna di un del Rey in grado
di fornire tridimensionalità al personaggio con pochi indizi sparsi ad arte.
Anche figure del tutto minori come la sartina e improvvisata organista di
chiare origini italiane Angela Anduccini saltano all’occhio del lettore per la
chiarezza con la quale pare di poter sbirciare nel suo animo. Mestiere, senza
dubbio, ma mestiere ispirato. La capacità, anche, di saper spingere i tasti
emozionali del lettore con sobrietà, come del Rey mostra nelle scene delle
varie morti che toccano e infine travolgono la vita di Amos: sua moglie Ruth;
il cane del figlio; sua nuora Anne; infine il dottor Miller, l’amico di tutta
la vita. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9taZd7T26SOAq_qqdC1co7QKYD05N7Uk7WOQpoS5mlhjmHrG_1wtSJRZuQUorHUGU8WYleqSLASur18bSnR6ri99kRbDYb0VDqscTLcgGp4Dq-fjDINwpx-uEjFG4U5I-g8-mVhA1RNd9/s1600/undicesimo+comandamento.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9taZd7T26SOAq_qqdC1co7QKYD05N7Uk7WOQpoS5mlhjmHrG_1wtSJRZuQUorHUGU8WYleqSLASur18bSnR6ri99kRbDYb0VDqscTLcgGp4Dq-fjDINwpx-uEjFG4U5I-g8-mVhA1RNd9/s200/undicesimo+comandamento.JPG" width="128" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Leggendo la fantascienza di
parecchi decenni addietro si è sempre assaliti da un senso di fortissimo
anacronismo. Personalmente è un sentimento di commosso calore quello provo.
Nell’era del trionfo della Rete e della comunicazione planetaria immediata è
affascinante vedere all’opera l’antica fantasia dei maestri del passato che non
si peritavano di costruire basi lunari, narrare di invasioni aliene, far
sfrecciare razzi futuribili nei cieli; e poi passavano attraverso una
centralinista umana per mettere in comunicazione due abitazioni di un paesotto
del Kansas rurale. Con tutto ciò, il senso profondo di opere come questa non
risente in minima misura di tale effetto straniante. E’ degli eterni
interrogativi dell’anima umana, dei tormenti e delle risoluzioni interiori che
lacerano lo spirito umano, che parla la novella di del Rey. E il tempo che
passa e rende sempre più lontana la sua apparenza esteriore non fa che
avvicinarci la sua sostanza autentica, distillandola. E’ quanto fa di un lavoro
professionale un capolavoro. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quasi trent’anni dopo la pubblicazione
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">For I am a Jealous People!</i>,
Raymond F. Jones, un veterano i cui esordi letterarii precedevano quello di
Lester del Rey scrisse un romanzo liberamente ispirato alla novella. In Italia
venne pubblicato da Urania con il titolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Alieno
in croce</i> (sempre benedetta sia la brillantezza dei curatori uraniani nella
scelta dei titoli), a firma congiunta di Jones e del Rey.</span></div>
Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-29981812324366517232012-07-08T08:24:00.005-07:002012-07-08T08:26:20.004-07:00I contemporanei – Meraviglie dell’Invisibile (Wonders of the Invisible Worlds, 1995) di Patricia A. McKillip (n.1948)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXW36UVCrNvKv9CYd2j3Ndt-rM6t1Y72l7M1OHpnXQQyq-eHVQp8GIutaqt5CHlNxBv2TVvuYpsd3uF6bIUROadD0uvtGJwNPF6l-gxBMVxFIJh5ALizm440RXgBLN5ALNx5FeWBiN5cwo/s1600/patricia+mckillip.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXW36UVCrNvKv9CYd2j3Ndt-rM6t1Y72l7M1OHpnXQQyq-eHVQp8GIutaqt5CHlNxBv2TVvuYpsd3uF6bIUROadD0uvtGJwNPF6l-gxBMVxFIJh5ALizm440RXgBLN5ALNx5FeWBiN5cwo/s320/patricia+mckillip.jpg" width="169" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> Vi sono racconti che rappresentano un enigma e una sfida,
e anche una sofferenza. Sofferenza perché vanno a toccare delle corde interiori,
tese e sensibili, e toccandole, stuzzicandole, le attivano e ne attivano la
carica ansiogena. A fine lettura si prova il disagio di essere appena entrati
in contatto con un rovello irrisolto; o, con minor disagio, come in questo
caso, con una questione lungamente analizzata e dibattuta al proprio interno
senza venirne mai davvero a capo. Un enigma perché spesso in tali occasioni non
è immediato riconoscere il rovello o la questione; e gli enigmi sono fatti per
installarsi nella parte inquisitiva della nostra mente in modo da tormentarci
perché li affrontiamo e li risolviamo. Infine una sfida per l’ovvio motivo che
il racconto in grado di tormentarci a questo punto va aperto come un guscio di
noce perché riveli quale sia l’elemento che sfugge alla nostra comprensione
immediata.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> I am the angel sent to Cotton Mather.</span></i><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Così esordisce <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Wonders of the Invisible Worlds </i>(che Patricia McKillip mutua dall’opera
quasi dello stesso titolo del teologo e leader puritano Cotton Mather, figlio di
Increase Mather, egli pure celebre leader puritano del New England coloniale).<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>Siamo dalle parti,
fantascientificamente assai e volentieri frequentate,
dell’interpretazione/riscrittura in chiave fantastica dell’elemento
religioso/trascendente? Da una scrittrice nata a Salem (benché l’altra, quella
in Oregon </span><span style="font-family: Wingdings; font-size: 12pt; line-height: 115%;">J</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">) sarebbe lecito
attenderselo, ma è una lettura che si rivela povera e limitata. Nella brevità
delle sue poche pagine, questo racconto è molto più ricco e sottile che non una
divagazione sulla religione o sul DNA religioso degli Stati Uniti, e non
stupisce minimamente che David Hartwell lo abbia incluso nel primo volume di
quella che sarebbe divenuta la sua felice serie di antologie annuali del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Best of the year</i>. La figura storica di
Cotton Mather appartiene di diritto ai miti fondanti della nazione e ne
rappresenta alla perfezione la vocazione a un’ottusa fede, assolutista e
rigorista; ma nell’economia del racconto di Patricia McKillip egli è un
pretesto, seppure un pretesto esemplare. Come esemplare è per altro la
descrizione che l’autrice dà dell’uomo e del suo ambiente familiare e sociale
con una vividezza perfino sgradevole, sbalzandone con vigore la figura sulla
pagina e illustrando con pochi tratti precisi ed energici, stilisticamente
ricercati perfino, la scena del New England della fine del XVII secolo dove è
ambientata la prima parte del racconto: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"If
your throat is no better tomorrow, we'll have Phillip pee in a cup for you to
gargle." </i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">From the way the house smelled, Phillip didn't bother
much with cups. Cotton Mather smelled of smoke and sweat and wetwool. Winter
had come early. The sky was black, the ground was white, the wind pinched like
a witch and whined like a starving dog. There was no color in the landscape and
no mercy. </span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Cotton
Mather prayed to see the invisible world</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">. Non esattamente il tipo di
luogo e di gente che si sceglierebbe di visitare in prima battuta avendo la
possibilità di spostarsi nel tempo. Non solo l’opprimente sentimento religioso
dei Puritani e della loro Legge Divina ossessiva. La prima parte del racconto
mostra un ambiente umano di immaginazione sovreccitata, una cultura il cui
immaginario era tanto potente quanto morboso, e tanto ricco di barbarie barocca
quanto fissato su un sovrannaturale sospeso tra un Bene spietato e cieco alla
comprensione umana e un Male multiforme dai riflessi orrorifici profondi. Dalla
padella alla brace. Ambiente perciò anche fecondo, letterariamente parlando. E’
facile vedere Lovecraft nel futuro di quell’immaginario.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-fV0DxEJBWkoanR4fYlnerom67OvORHffCGi1na4-fXEJAjPMJDnnAWZmnU4ykcQxLt7Ezo_gFf7g4dD-buxNRGyFqmNJ1cCcYYg2mtbKItzDaP-QzTPQWFOwzX0vDwW_tJ0CpeImf_Zz/s1600/MM057.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-fV0DxEJBWkoanR4fYlnerom67OvORHffCGi1na4-fXEJAjPMJDnnAWZmnU4ykcQxLt7Ezo_gFf7g4dD-buxNRGyFqmNJ1cCcYYg2mtbKItzDaP-QzTPQWFOwzX0vDwW_tJ0CpeImf_Zz/s320/MM057.JPG" width="188" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il Millemondi autunno del 1997 contenente il racconto tradotto</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Già nell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">incipit</i>,
una volta conclusa la lettura, è possibile riconoscere come il racconto non si
fermi a una banale lettura futuribile del fenomeno religioso. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I am the angel sent to Cotton Mather</i>. Qui è necessaria una digressione di cui mi
scuso. La traduzione è: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sono l’angelo
(che è stato) mandato a Cotton Mather</i>. Nel volume italiano si legge invece:
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sono l’angelo che è stato visto da Cotton
Mather</i>. Al di là di una certa goffaggine stilistica a fronte della
secchezza della frase di Patricia McKillip si tratta di una semplice differenza
nei termini scelti dall’autrice e da chi ha tradotto? Non direi proprio, in
sede di traduzione si è operato uno stravolgimento di senso dell’originale. Che
non a caso rende più difficoltoso individuare il nocciolo del discorso della
scrittrice americana. “Sono l’angelo mandato a Cotton Mather” chiarisce
immediatamente che l’uomo non è un allucinato; e non importa che l’angelo non
gli sia inviato dal Dio che Mather prega, non importa che si tratti di una
donna del futuro truccata da angelo stereotipato ai fini di una ricerca storica
e sociologica sul campo. Ciò che rileva è che l’angelo non è un parto della
mente malata e allucinata del leader puritano: Mather non è il creatore della
visione ma il suo ricevitore, e l’angelo non è andato lì <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sua sponte</i>, ma è stato mandato presso di lui. “Sono l’angelo che è
stato visto da Cotton Mather” comporta una netta modificazione di senso, a
partire dall’ambiguità sotterranea sul soggetto: l’angelo è stato visto per sua
decisione, perché qualcun altro ha deciso in tal modo oppure perché Mather è in
effetti un fanatico ai limiti della psicosi? Essendo Mather un puritano e
dunque un protestante che appartiene a una cultura altra dalla nostra, essendo
anche un noto cacciatore di streghe (o almeno sentito come tale) è per tale
motivo che va presentato senza dubbio al lettore come un invasato? Quanto
scrive in seguito l’autrice lo dipinge come tale, è vero, tuttavia l’ottica è
diversa. Patricia McKillip offre una lettura laica e scientifica dell’uomo e
del suo ambiente spirituale, sin da quella prima frase. La traduzione dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">incipit </i>orienta invece l’interpretazione
della figura di Mather non tanto sulla sua esaltazione mentale quanto
sull’aspetto religioso di essa. In apparenza è una differenza sottilissima, e
non vi è dubbio che Cotton Mather fosse un individuo la cui vita era dominata
da una religiosità totalizzante. Ma questo è il Mather storico, non quello del
racconto, che è un puro esemplare: un oggetto di studio per Nici, la
ricercatrice addobbata da angelo e per il suo capo, nonché un personaggio
scelto per il suo valore riassuntivo, iconico. Giuseppe Lippi, l’allora come
oggi curatore di Urania e collegati, probabilmente ci direbbe che si tratta di
uno di quegli interventi di “editing” (così vengono definiti… vabbe’) che
migliorano la qualità delle opere tradotte e per i quali si deve ringraziare. </span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcT8Har__DaiMBJN1iyDY49H1-22yAAUUJtdHzWS2P1tqOFY3bB-p6BZp8_KtROEIOAN0PRA_BM7EEV_xfRMS3O2seGdA8xLmamAkHwHnNLoVJWAXDuDuerbHNXw69FDENRrbMYGmLPgHG/s1600/cotton+mather.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcT8Har__DaiMBJN1iyDY49H1-22yAAUUJtdHzWS2P1tqOFY3bB-p6BZp8_KtROEIOAN0PRA_BM7EEV_xfRMS3O2seGdA8xLmamAkHwHnNLoVJWAXDuDuerbHNXw69FDENRrbMYGmLPgHG/s200/cotton+mather.jpg" width="163" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Cotton Mather da anziano</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Al di là della sciatteria della traduzione che fa perdere
la bellezza essenziale di quella frase introduttiva, qui si finisce però con il
manipolare la lettura, sottolineando all’attenzione del lettore un aspetto che
nell’architettura del racconto è accessorio; e mutando il soggetto attivo della
visione si viene a perdere la circolarità del racconto e dunque il suo senso
profondo, il gioco di specchi tra Nici e Cotton Mather. Nella frase di Patricia
McKillip il puritano non è in grado di creare la propria visione senza un
intervento esterno; che tale intervento sia di Dio o degli uomini del futuro
come detto non è così importante. Esattamente come alla fine del racconto Nici
e suo figlio Brock (e intuitivamente tutti gli uomini del futuro) non sono in
grado di creare materialmente il proprio immaginario visivo senza un intervento
esterno, in questo caso di un prodotto della tecnologia umana, un computer.
Senza il computer Nici non avrebbe visualizzato i propri sentimenti nella
figura dell’angelo ingabbiato, impossibilitato a prendere la sua libertà e
volare (e a mutare la Storia). Viceversa nella frase tradotta Mather appare
ambiguamente come il possibile creatore di una visione allucinata e il soggetto
attivo della visione, invece che il suo oggetto e un oggetto di studio. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfb-TvZPV0EF7M89ai47yUGJ5APn7WbfbWDf7eWv64-eqyTl8KCZXK_LIQkKCUr5GEiOiwy_Ga0F-uteXVvwGtGf2XVP2PbLrerYh9WeHmbEVSrH1wWkA2W3OJViGVVf1ley6eD_O9rLHL/s1600/full+spectrum+5.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfb-TvZPV0EF7M89ai47yUGJ5APn7WbfbWDf7eWv64-eqyTl8KCZXK_LIQkKCUr5GEiOiwy_Ga0F-uteXVvwGtGf2XVP2PbLrerYh9WeHmbEVSrH1wWkA2W3OJViGVVf1ley6eD_O9rLHL/s320/full+spectrum+5.jpg" width="214" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'antologia dove venne originariamente pubblicato il racconto</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> Ma questo non è un racconto di argomento religioso o una
descrizione razionalistica del fanatismo religioso. Neppure mostra una
contrapposizione tra ragione e fede. E’ invece una storia sui meccanismi e i
percorsi creativi della mente umana, sulla fantasia e su come essa opera. Senza
dubbio il sentimento religioso è un generatore potente del nostro immaginario,
ma come lo è anche la scienza e la tecnologia che ne deriva. Sia Cotton Mather
che Nici sembrano accomunati della impossibilità di dare corpo materiale alla
loro visione angelica, e l’uno e l’altra ci appaiono vittime di un immaginario
che li condiziona dall’esterno e che li manipola: Nici appare a Mather sotto le
spoglie di un angelo da manuale confermando quelle che sono le sue illusioni, e
l’illusorio angelo dà forma ai sentimenti di impotenza di Nici riguardo alla Storia
e alla sua immutabilità. Sembra una conclusione sconfortante: da una parte la
fede frutto di illusioni e dall’altra la ragione che non può cambiare né creare
la realtà – compresa l’illusorietà della fede. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjC2zELl_DbOHwmlSIQle-bdfV4tEdqPhqhjcSiHemoyJ1YYaFnfvPW5tQxrwxgud8N7_U8FZZQhTC56i1YgagnrfNR6kSi3VaSLY8CMF8mv3aeIj4evsearpvSG0SPhzK6YmoQ_1lhmrch/s1600/Wonders_Bookpge.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjC2zELl_DbOHwmlSIQle-bdfV4tEdqPhqhjcSiHemoyJ1YYaFnfvPW5tQxrwxgud8N7_U8FZZQhTC56i1YgagnrfNR6kSi3VaSLY8CMF8mv3aeIj4evsearpvSG0SPhzK6YmoQ_1lhmrch/s1600/Wonders_Bookpge.png" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> C’è qualcos’altro? Forse sì. Questa
è una storia sulla fantasia e la creatività umane, dicevo: Nici è l’Autore e
Cotton Mather è il Lettore. Il Lettore si attende che il racconto abbia certe
caratteristiche, che la creazione letteraria venga incontro al suo immaginario
incardinato nelle immagini stereotipate della tradizione e introiettate nella
sua coscienza. L’Autore si sente ingabbiato dalla tradizione ed è incapace di
liberarsi dalla struttura della realtà (realtà editoriale, realtà degli schemi
della scrittura). Di nuovo una conclusione mesta? Il racconto termina con questa
frase di Nici: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">When I opened my eyes, the
angel had disappeared</i>. Sembra una resa, l’accettazione di una realtà che
l’uomo non può mutare. Ma non è Nici che apre gli occhi sulla realtà, è
l’autrice che li apre sulla propria fantasia. Se si aprono gli occhi sul
proprio mondo interiore e la sua fantasia, gli angeli della tradizione
scompaiono, se si vuole e se ne è capaci. E si dà la stura alle risorse del
proprio immaginario. Che si nutre della tradizione, si nutre dei sentimenti, si
nutre della scienza. Si nutre del passato e del futuro. Così come Nici ha
nutrito le visioni di Cotton Mather e questi ha contribuito a strutturare la
fantasia di lei. Così nasce una storia, magari una gemma come questo racconto:
dai mille rivoli dei quali si nutre la fantasia umana, e dal catalizzatore del
talento di un individuo. Patricia McKillip aveva scritto prima del puritano
che: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cotton Mather prayed to see the
invisible world</i>. Nici glielo mostrerà esattamente come egli aspettava che
fosse, ma con questo racconto la scrittrice americana fornisce invece a noi
lettori una chiave per non desiderare che gli angeli siano tutti biondi,
boccoluti, intunicati di bianco e aureolati d’oro. Una chiave per cercare nella
ricchezza proteiforme dei mondi di fantasia, per crearli da lettori insieme
agli scrittori.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> Forse poco nota in Italia (e un po’ dimenticata), Patricia
McKillip è non solo una prolifica scrittrice principalmente di fantasy, ma soprattutto
una delle protagoniste contemporanee della letteratura fantastica. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">link dove è possibile scaricare il file .pdf del racconto in inglese:</span></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="http://chomikuj.pl/Franula/Tylko+po+angielsku/p/Patricia+McKillip+-+Wonders+of+the+Invisible+World,1415327800.pdf"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">http://chomikuj.pl/Franula/Tylko+po+angielsku/p/Patricia+McKillip+-+Wonders+of+the+Invisible+World,1415327800.pdf</span></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-90327587499217543662012-06-24T07:41:00.001-07:002012-06-24T07:41:31.224-07:00I classici – Rapporto sulle migrazioni di materiale didattico (A Report on the Migration of Educational Materials, 1968) di John Sladek (1937-2000)<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_Y9YeNJk4RKUCXX8bHxGYeepWBcYjYd0v40xq4rSjH1yIr4VuXYaXiVMxBzGz8xZrPm1bdr8GuTbA_2SLV0Te_otVwrokx6jtn0Y-udL_ARdRxE3jtuDqtvfIzm8zENqCalixQPPCoEw2/s1600/sladek.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_Y9YeNJk4RKUCXX8bHxGYeepWBcYjYd0v40xq4rSjH1yIr4VuXYaXiVMxBzGz8xZrPm1bdr8GuTbA_2SLV0Te_otVwrokx6jtn0Y-udL_ARdRxE3jtuDqtvfIzm8zENqCalixQPPCoEw2/s1600/sladek.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjytns3lfJ5CWaDmRBZWPnoM-fUfsBplRuWrgTO893qXmKKaFyNMIl7m5KhbUly35DwjL4kl08rIb0RBvD2lcKnZqFTprShN1A1vEKdSGAA98iQ3Nbg9jaKHRy5lo9b4OFH85NIDro7jHMx/s1600/quarto+libro.gif" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjytns3lfJ5CWaDmRBZWPnoM-fUfsBplRuWrgTO893qXmKKaFyNMIl7m5KhbUly35DwjL4kl08rIb0RBvD2lcKnZqFTprShN1A1vEKdSGAA98iQ3Nbg9jaKHRy5lo9b4OFH85NIDro7jHMx/s1600/quarto+libro.gif" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">E’ di gran lunga il racconto più antologizzato di questo,
quanto meno in Italia, assai sottovalutato scrittore. L’ultima volta in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Letture pericolose</i>, deliziosa e un po’
carbonara antologia a tema, sul tema appunto della lettura e connessi; e sul “pericolo”
rappresentato da un’attività tanto sovversiva, capace di distogliere l’individuo
dal pensiero uniformato. In passato il racconto apparve anche in una delle
antologie einaudiane dello snobbone Fruttero. Americano, John Sladek visse a
lungo in Gran Bretagna; e non a caso il suo umorismo come il suo gusto per il
surreale hanno una coloritura squisitamente british. E’ l’autore di un caposaldo
della letteratura di fantascienza quale <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il
sistema riproduttivo </i>(<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mechasm</i>),
più volte proposto anche al pubblico italiano, da ultimo in Urania Collezione
e, di nuovo non a caso, saggio pirotecnico di funambolismo surreale e di
umorismo verbale. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjytns3lfJ5CWaDmRBZWPnoM-fUfsBplRuWrgTO893qXmKKaFyNMIl7m5KhbUly35DwjL4kl08rIb0RBvD2lcKnZqFTprShN1A1vEKdSGAA98iQ3Nbg9jaKHRy5lo9b4OFH85NIDro7jHMx/s1600/quarto+libro.gif" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjytns3lfJ5CWaDmRBZWPnoM-fUfsBplRuWrgTO893qXmKKaFyNMIl7m5KhbUly35DwjL4kl08rIb0RBvD2lcKnZqFTprShN1A1vEKdSGAA98iQ3Nbg9jaKHRy5lo9b4OFH85NIDro7jHMx/s200/quarto+libro.gif" width="123" /></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Giuseppe Lippi, il tizio che oggi da bravo soldatino
mondadoriano propaganda come migliorativi gli orrendi tagli operati in sede di
traduzione italiana a sconciare le opere originali presentate su Urania, lo
definisce nella sua postfazione come il più visionario dei racconti raccolti
nel piccolo volume. E una volta tanto ha perfettamente ragione: questo racconto
è una visione. O anche meglio: una fantasmagoria. Della visione possiede
certamente il rigore stilistico e contenutistico, ma la ridda di
interpretazioni che possono affollare la mente del lettore appartiene più alla
fantasmagoria. Non è certo un oggetto maneggevole questo racconto di Sladek.
Privo com’è di una trama vera e propria o di personaggi che abbiano un ruolo
più che di semplici presenze, si presta con difficoltà a essere a sua volta
raccontato. E’ un racconto che molto meglio si presta a essere “sentito”.
Toccato, forse; in qualche modo annusato. Non sono termini scelti a caso né
incongrui. Sono un tentativo di esprimere la qualità principale di questa breve
opera.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La sua irriducibilità, mi appare,
a una lettura intellettuale. Può sembrare, di nuovo, incongruo; eppure questo
racconto scritto che parla di libri è in primo luogo un oggetto sensuale. Che
dona un’esperienza sensuale.</span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Dei sensi, cioè. Non necessariamente dei sensi
classici, anche se prima richiamavo tatto e olfatto. Sensi più sottili, magari.
Come il piacere di una lettura dove la comprensione intellettuale è del tutto
secondaria rispetto al semplice godimento dell’atto in sé: perché la lettura potrebbe
essere priva di alcun senso a parte l’esercizio stesso del leggere. O come il
piacere dell’immaginazione di una realtà a tal punto insensata da divenire
prosaica, da ricostruire il reale entro nuove, aeree coordinate. Ma anche il
piacere di poter rincorrere significati profondi al di sotto di un tessuto
narrativo all’apparenza privo di qualsiasi logica. Perché anche letture
rigorosamente sensate sono legittime per questo breve racconto.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLp4ByKGT40FH2WlaHKEfHuQ2qSy1aSZJudm_oB2-IxczlAWot3TNQ1wH9bxTagLCGVWyBhQc0qnr1bdwmQBTxGvwrvIQSHyW0saOB_jANp5nbzGedwKt1MDONBF1b5DTnKHA0_K2le-Ys/s1600/letture+pericolose.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLp4ByKGT40FH2WlaHKEfHuQ2qSy1aSZJudm_oB2-IxczlAWot3TNQ1wH9bxTagLCGVWyBhQc0qnr1bdwmQBTxGvwrvIQSHyW0saOB_jANp5nbzGedwKt1MDONBF1b5DTnKHA0_K2le-Ys/s320/letture+pericolose.jpg" width="226" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">La non-trama è presto riassunta: i libri prendono il volo.
Letteralmente: le biblioteche, le librerie, le case, tutti i luoghi dove sono
ammassati i libri, se ne svuotano; i volumi prendono il volo, a<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>milioni, come stormi di uccelli. Null’altro
ci dice Sladek. Dove essi vadano o perché si mettano in volo, come uccelli
migratori. A ciascuno la lettura che gli è più congeniale. L’autore vuole
narrarci (ammonirci, magari?) del venir meno della cultura? O dell’intera
struttura alfabetizzata della nostra civiltà, perché non sono soltanto preziosi
codici miniati trecenteschi o ponderosi tomi enciclopedici a spiccare il volo:
anche gli elenchi telefonici e i libretti degli assegni sfidano gli spazi del
cielo verso l’ignoto. Il racconto è del 1968, Sladek ci offre forse uno
squarcio profetico sulla smaterializzazione della cultura che stiamo
cominciando a vivere in questi tempi? O ancora è possibile vedervi – è sempre
il 1968 – una ribellione verso una cultura librescamente istituzionalizzata?
Quegli stessi libri che furono strumento e veicolo di libertà nei tempi
passati, e che troppo spesso si mutano in oggetti inanimati e privi di vita
nelle mani dei custodi acritici della tradizione riconquistano la propria
vitalità, riprendono letteralmente vita e lasciano un mondo e una civiltà umani
ancorati alla pesantezza della terra, ai vincoli di un reale che ha dimenticato
il potere del sogno e della fantasia, il potere creativo dell’immaginazione.
Del volo di fantasia. Forse questa è un’interpretazione più seducente di altre:
quando Sankey e Preston, i due per così dire protagonisti del racconto,
decidono di affidare al suo destino di libertà anche il rapporto che stavano
stilando sul fenomeno migratorio dei libri, si potrebbe vedere nella decisione
proprio una ribellione all’imposizione di un pensiero standardizzato, scandito
da modelli preconfezionati di comportamento e di cultura. Ci si potrebbe anche
spingere più in là, vedere nel fenomeno migratorio dei libri la manifestazione
della forza delle idee, della loro vitalità espansiva oltre i confini
(auto)imposti dall’uomo; come oltre le conoscenze contingenti del qui e ora:
quando Dante, per dire, scrive la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Commedia</i>
non può immaginare quale sia il destino della sua opera, in certo qual modo la
affida a un volo verso l’ignoto; come è (stato) per ciascuno prima e dopo di
lui. O è possibile perfino intravedervi una sorta di processo di formazione di
un (in)conscio collettivo, dove ciascuno partecipa con il suo contributo con
pari dignità, che esso sia il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tractatus logico-philosophicus</i>
(citato nel racconto) oppure un libro mastro di contabilità. O ancora, chissà, si
può farne la lettura del venir meno di una coscienza, individuale o dell’intera
civiltà umana: erano tempi magmatici quelli in cui scriveva Sladek, anche se i
nostri ci sembrano pure più labili e insicuri. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQztwS7UYUHnIqBZy1toi4_AMFqpV1qxLDTu_hIjn_tVX81pssdL_Z-zRdshVIoAcEUcoDX5FzWKOvyiUJs8bPSLNNSQ4_3EPaUOXPaZCxvyOWHs6xSxJgy087uCWrsOfX4YdEs2jHKjwh/s1600/IlSistemaRiproduttivoJohnSladek.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQztwS7UYUHnIqBZy1toi4_AMFqpV1qxLDTu_hIjn_tVX81pssdL_Z-zRdshVIoAcEUcoDX5FzWKOvyiUJs8bPSLNNSQ4_3EPaUOXPaZCxvyOWHs6xSxJgy087uCWrsOfX4YdEs2jHKjwh/s200/IlSistemaRiproduttivoJohnSladek.jpg" width="142" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Ciascuna delle interpretazioni suggerite è possibile, e
sicuramente ve ne sono altre che sfuggono alla mia immaginazione. Tuttavia la
mia preferenza continua ad andare alla lettura puramente sensuale del racconto
cui accennavo prima. Senza ricercarvi significati ulteriori (o sottesi) altri
dal piacere del gioco verbale e intellettuale dell’immaginazione sbrigliata.
Della fantasia non costretta da altre maglie che quelle dell’istinto ludico
dello scrittore e del suo desiderio di stupire il lettore, stupendosi a sua
volta, con l’invenzione più folle. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">La fantascienza abbonda di maestri, o anche solo artigiani
di talento, semi-dimenticati o del tutto dimenticati. Maestri o artigiani abilissimi
anche nello sconfinamento oltre i territori (pretesi) rigorosi della
science-fiction. Come appunto John Sladek, capace di tessere il surreale e
farne a un tempo esercizio di gioco puro e stimolo per la fantasia e la mente. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-63114607550034122612012-06-10T07:14:00.005-07:002012-06-10T07:41:19.703-07:00Divagazioni nei territori confinanti – La bella adescatrice (The beckoning fair one, 1911) di Oliver Onions (1873-1961)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYpi2xKVtaCO1ahj-wqzwvDlsAXCcZgvd8xKBe79-oJNANbx-XAaQ2XsEotP3kgQEDHeXzdf-aINzFDDunZvrbY6RTCXXpdD_QZCqUx7P0U-7MqTU3N-qLOXDAny014w89_-5tBkl01jy4/s1600/Oliver+Onions.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYpi2xKVtaCO1ahj-wqzwvDlsAXCcZgvd8xKBe79-oJNANbx-XAaQ2XsEotP3kgQEDHeXzdf-aINzFDDunZvrbY6RTCXXpdD_QZCqUx7P0U-7MqTU3N-qLOXDAny014w89_-5tBkl01jy4/s320/Oliver+Onions.jpg" width="206" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">All’epoca non esistevano internet né tanto meno Wikipedia,
e nella sua prefazione a quel volume mirabile che è l’einaudiano <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Storie di fantasmi</i>, Carlo Fruttero confessava
candidamente di non aver trovato quasi notizia alcuna sull’autore di questa
storia, di non sapere neppure se all’epoca fosse ancora vivo. Fruttero scriveva
(al più tardi) nell’autunno del 1960; e dunque in questa nostra <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Wikipedia age</i> sappiamo che George Oliver
Onions, divenuto poi all’anagrafe George Oliver ma indelebilmente immortale
nella storia della letteratura come Oliver Onions, era effettivamente ancora su
questa Terra. Lo scrittore britannico fu uno dei non pochi facitori
dell’immaginario dei suoi tempi – tempi seminali per l’immaginario, tempi nei
quali furono forgiate le basi del nostro immaginario. Uno di quegli artigiani
eccellenti in grado di narrare con cura, competenza, amore e padronanza della
propria <i style="mso-bidi-font-style: normal;">craftsmanship</i> quasi ogni
genere di storia. Ha ragione Fruttero nella sua prefazione. E ha di nuovo
ragione Fruttero (che come prefatore di mirabili antologie einaudiane fu
infinitamente superiore al pernicioso curatore uraniano) a sostenere che sarebbe
così e basta se Onions non avesse scritto questa storia. Non è la prima volta
che mi capita di scriverlo, ma non mi stanco di farlo: ci sono storie, come
questa secca e inesorabile novella, che valgono gli interi e pletorici corpora
letterarii di scrittori incapaci di elevarsi al di sopra della propria
striminzita professionalità lungo l’arco di tutta la carriera. E’ possibile che
questa sia la più <i style="mso-bidi-font-style: normal;">raffinata e ammaliante
ghost-story</i> mai scritta, come recita ancora una volta Fruttero? Certe
classifiche sono prive di senso, e un volume dove sono presenti in forze
Montague Rhodes James, H.P. Lovecraft e Arthur Machen ribadisce bene il
concetto. E poi: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ghost-story</i>? E’ davvero
così semplice, questa novella è solo una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ghost-story</i>?
C’è un diavolo che tenta la nostra stupidità ogni volta che ci poniamo domande
del genere; lo abbiamo visto in questi giorni, in morte di Ray Bradbury:
abbiamo letto chissà quante volte che il bardo dell’Illinois non era uno
scrittore di fantascienza – perché ovviamente, essendo un grande scrittore non
poteva essere uno scrittore di fantascienza. Stronzate, ovviamente. Tuttavia la
tentazione è sempre in agguato. Forse perché dimentichiamo che i generi sono
strumenti classificatorii che abbiamo inventato per comodità e non Tavole della
Legge. Dimentichiamo che la differenza non la fa il genere ma il talento
dell’autore. E soprattutto la fa la storia narrata. La storia capace di
assumere vita propria, autonoma, di oscurare il suo autore per rivolgersi con
una diversa voce a ogni singolo lettore. Capace di travalicare il genere, di
trascenderlo. Di rimodularne i confini, di giocare con le sue strutture
flessibilizzandole a piacere. Storie che, non a caso, per solito occorrono una
volta in una carriera letteraria. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Dunque
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">The beckoning fair one</i> è senza fallo
una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ghost-story</i>. </span><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Resta
da vedere quali siano i fantasmi che ne popolano le pagine. Resta da capire
cosa sia realmente un fantasma. Il doppio livello di lettura è facillimo da
individuare, quasi insultante nella sua ovvietà. Alla lettura immediata, alla
classicissima struttura del racconto su una casa infestata, abitata da una
pericolosa e malvagia quanto elusiva presenza spettrale si affianca la lettura
di un racconto che analizza con minuzia scientifica, con spietatezza asettica
il precipitare di una mente umana nel delirio psicotico. Quale che sia la
lettura che si voglia privilegiare, quella del racconto gotico ed escapista
(scritto con maestria letteraria squisita) oppure quella del viaggio nei
recessi della mente umana e del suo scollarsi dalla realtà, sempre di fantasmi
si tratta; perché per quanto banale è pur vero che nessun fantasma è più reale,
materico e sostanzioso di quelli che la nostra mente è in grado di partorire
quando perde il contatto con la realtà.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjApmo3QIB3DmVqWcRm2w8WcBynna_bKvbNHaI3Ahc6z2Co_Z9aYlYjQlx-24_q9vQqU_MjZNmS53iCzjCfOy0Hmw32AaSnRl54JX-qYO6LQmo93AmRIfYthLqJCnrN-xBXZDowF_HD3H9u/s1600/storie+di+fantasmi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjApmo3QIB3DmVqWcRm2w8WcBynna_bKvbNHaI3Ahc6z2Co_Z9aYlYjQlx-24_q9vQqU_MjZNmS53iCzjCfOy0Hmw32AaSnRl54JX-qYO6LQmo93AmRIfYthLqJCnrN-xBXZDowF_HD3H9u/s1600/storie+di+fantasmi.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Il protagonista della novella, Paul Oleron, è un fin
troppo scoperto avatar dello stesso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ol</i>iv<i style="mso-bidi-font-style: normal;">er</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">On</i>ions,
il che apre a un’ulteriore lettura della storia come riflessione sull’arte e
sul suo potere di possessione nei riguardi dell’artista. Oleron è uno scrittore
di mezz’età, squattrinato e dalle ambizioni intellettuali probabilmente
superiori al tuttavia tutt’altro che disprezzabile talento. Uno scrittore che
finirà per annullarsi, per liquefare la sua identità, la coscienza, il suo Io,
per (con)fondersi in una passione divorante e totalizzante. Passione che
nell’impadronirsi del suo corpo, della sua psiche e di tutto il suo essere, in
primo luogo fagociterà la sua creatività, privandolo di ogni energia. Una
passione che è la casa che va ad abitare, l’elusivo fantasma femminile che vi
aleggia e seduce la sua ipersensibilità emotiva. Che è l’arte. O, più
seccamente e semplicemente, il riflesso di se stesso. La follia nella quale
egli precipita (come probabilmente vi precipitò Madley, il pittore che prima di
lui aveva abitato la casa) non è infatti che un riflesso narcisistico, una
progressiva chiusura entro le maglie mentali di una propria supposta
autosufficienza (quella della propria arte dimentica della sua imprescindibile
dimensione sociale, umana); così come Oleron chiuderà attorno a sé i limiti
fisici rappresentati dalle mura e dalle porte della sua abitazione. Li chiuderà
escludendo tutto il mondo esterno, tutta l’umanità, “scegliendo” di spegnersi
sempre più velocemente nel circoscrivere l’universo a sé stesso e al proprio
doppio narcisistico. Fisicamente, con il suo corpo non più nutrito che andrà
esaurendosi; e spiritualmente con la sua anima che si distacca sempre più dalla
realtà e dalla relazione con gli altri e con l’Altro. Il fantasma elusivo della
Bella Adescatrice non è infatti altro che il fantasma stesso dell’Io di Oleron,
un Io ideale e completamente falso di cui egli idealizza, visualizza e crea le
tracce identificandole in un oggetto d’amore spettrale. Del resto i fantasmi
non sono creature immaginarie, ma immagini create. Sono reali. I fantasmi che
la nostra mente si fa, intendo. Che siano frutti allucinati e deliranti di una
psiche patologica, idealizzazioni false del mondo e di noi stessi, i costrutti
paranoici di cui intessiamo le nostre società umane, oppure ancora gli dei o il
dio che abbiamo creato nei millenni e attraverso i quali conferiamo sostanza e
vita all’immagine che abbiamo di noi stessi e che vorremmo fosse noi – che
siano queste o altre immagini ancora, le presenze fantasmatiche partorite dalla
nostra psiche popolano il mondo. Agiscono nel mondo. Plasmano le nostre vite,
la nostra coscienza, il nostro destino. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj678rbDkE6mgd4Aww9gTDXzzgZuD7oUbj-o9ej8NtyNpSjkm07seh6tKHrmOOv7q2MATlWjGqlwL3or0egKpn5AKkE-fbov798IAaesmwntEqJJUvgdD2aYPo_Zh11OVI0dw6CEwfIuAHR/s1600/the+beckoning+fair+one.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj678rbDkE6mgd4Aww9gTDXzzgZuD7oUbj-o9ej8NtyNpSjkm07seh6tKHrmOOv7q2MATlWjGqlwL3or0egKpn5AKkE-fbov798IAaesmwntEqJJUvgdD2aYPo_Zh11OVI0dw6CEwfIuAHR/s320/the+beckoning+fair+one.jpg" width="278" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Tutto questo in una novella elegante ma in fondo semplice,
lineare nel suo scoperto doppio livello di lettura? L’eleganza e la semplicità
sono i migliori strumenti atti a nascondere la complessità sottostante; e la
linearità dà agio di osservare il brulicare intenso che si accalca ai bordi
della linea che si percorre. Leggiamo storie per divertirci, per conoscere i
mondi di fantasia immaginati da altri. Al limite per sbirciare all’interno
dell’anima di questi altri, quanto meno per dare un’occhiata da un luogo
d’osservazione privilegiato. Ma se non leggiamo soprattutto per creare i NOSTRI
mondi allora il nostro leggere è un atto passivo, tanto vale guardarsi un
reality in tv. Una storia va presa, scardinata, sventrata. Ne vanno esaminate
le viscere per trarne gli auspici, ne va isolato il DNA per comprenderne
l’ontogenesi e la filogenesi. Ne vanno assunti i succhi per impossessarsi dei
loro sapori, per assumerne i nutrienti. Non ci si può accontentare di quello
che vi si trova scritto e di quanto l’autore ha scritto nella storia, è vitale
farne affiorare tutto ciò che in apparenza (e forse in realtà) non vi è contenuto.
Ecco, un racconto come questo di Onions è perfetto per illustrare quanto sopra.
Perché la sua apparente essenzialità, la secchezza della sua trama si disperde
poi nei mille rivoli di sensazioni che suscitano e stimolano le descrizioni e
le suggestioni che vi dissemina l’autore. Se la trama è fin risibile, lo stile
e il lavoro di cesello letterario di Onions sono lussureggianti, dettagliati,
curatissimi. Fedele alla consegna che il vero orrore sorge dalla banalità della
normalità, ed impregna di sé la quotidianità, lo scrittore inglese usa
magistralmente questa quotidianità per fertilizzare il terreno dal quale trae
la pianta dell’orrore spirituale che farà provare al lettore nei precordi,
costringendolo a confrontarsi con quel generatore di orrori reali che è la sua
stessa (del lettore) mente. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">L’incipit
della novella riassume già la ricchezza letteraria e la sintesi narrativa della
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">horror</i>genesi: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">THE THREE OR four "TO Let" boards had stood within the low
paling as long as the inhabitants of the little triangular "Square"
could remember, and if they had ever been vertical it was a very long time ago.
They now overhung the palings each at its own angle, and resembled nothing so
much as a row of wooden choppers, ever in the act of falling upon some
passer-by, yet never cutting off a tenant for the old house from the stream of
his fellows. Not that there was ever any great "stream" through the
square; the stream passed a furlong and more away, beyond the intricacy of
tenements and alleys and byways that had sprung up since the old house had been
built, hemming it in completely; and probably the house itself was only
suffered to stand pending the falling-in of a lease or two, when doubtless a
clearance would be made of the whole neighbourhood</i>.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQvnlPBM3hUwyjQrH99Y-KuJKWrSk0oj6xRokbKM9RyuYKG04Y5qOX7lZ9R19IoJrNkJt7GgMEunsxo8HesNOOxp4cA6C9IL2AiCX2U67BZfEy3FoDX7ebc2sClYcPVy3Glx1fK8z6AktU/s1600/widdershins.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQvnlPBM3hUwyjQrH99Y-KuJKWrSk0oj6xRokbKM9RyuYKG04Y5qOX7lZ9R19IoJrNkJt7GgMEunsxo8HesNOOxp4cA6C9IL2AiCX2U67BZfEy3FoDX7ebc2sClYcPVy3Glx1fK8z6AktU/s200/widdershins.jpg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">L’amore per la propria immagine è una passione esclusiva
ed escludente come mostra la parabola di Paul Oleron. Una passione che si
consuma e consuma all’interno del proprio essere e lascia fuori l’Altro. Di
fatto, è una passione che lascia fuori l’amore, lo distrugge. E Oliver Onions
mostra di esserne perfettamente cosciente. Ancora una volta, che si voglia
privilegiare la lettura gotica più classica o invece quella più squisitamente
psicologica, il tragico epilogo della novella, il destino diversamente
definitivo di Paul e della sua amica e innamorata Elsie, sottopone alla nostra
lettura l’evidenza del fatto che l’amore è impotente dinnanzi a una chiusura
autenticamente ermetica entro le pareti del proprio narcisismo. Chi ama il
proprio fantasma è inattingibile dall’amore e dall’Altro, è al di là del
provare emozioni reali. E’ incapace, letteralmente, di percepire la realtà
dell’Altro e dei suoi sentimenti. </span><br />
<br />
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Un racconto superbo, che parla della nostra testa alla nostra pancia,</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: EN-US;"> </span><i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">The
beckoning fair one</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> venne pubblicata nel 1911 nell’antologia <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Widdershins</i>. Per gli angloleggenti il
testo è disponibile a questi url: </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"></span><a href="http://www.english.upenn.edu/%7Enauerbac/onions.html"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">http://www.english.upenn.edu/~nauerbac/onions.html</span></a><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><a href="http://blogs.suntimes.com/ebert/literature/the-beckoning-fair-one-by-oliv.html">http://blogs.suntimes.com/ebert/literature/the-beckoning-fair-one-by-oliv.html</a></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"> </span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-92025451331282368982012-03-04T14:04:00.000-08:002012-03-04T14:04:35.755-08:00I classici – Novecento nonne (Nine Hundred Grandmothers, 1966) di Raphael A. Lafferty (1914-2002)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQF9Fn3DGqvTpAT7hHGGSznZ2nj6mO8iQVSPuALJGeycXfv_KURidvqkWlPRsSexy-wrls2UsEh8a-o6PaF5tq2DiuLNmaVlSmCLXKr78lg1Y4df6rV-eDok9e7vu7z-ABbcZkDdf6aLDx/s1600/lafferty.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQF9Fn3DGqvTpAT7hHGGSznZ2nj6mO8iQVSPuALJGeycXfv_KURidvqkWlPRsSexy-wrls2UsEh8a-o6PaF5tq2DiuLNmaVlSmCLXKr78lg1Y4df6rV-eDok9e7vu7z-ABbcZkDdf6aLDx/s320/lafferty.jpg" width="275" /></a></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Raphael Aloysius Lafferty è stato uno scrittore geniale. Iniziò a pubblicare la sua fantascienza irriverente e visionaria alla soglia dei cinquant’anni, nel pieno di quegli anni ’60 che videro la science-fiction mutare pelle sotto la spinta di autori nuovi quali Delany, Zelazny, Disch, Le Guin e lui stesso, e di autori già affermati o comunque attivi come Heinlein, Dick, Ballard, Sturgeon, Leiber e in seguito Brunner e Silverberg. Allargando in ogni direzione il proprio campo d’indagine sull’uomo e sul futuro dell’uomo. Di quegli anni, e in seguito, Lafferty fu protagonista con i suoi racconti incredibili per leggerezza e profondità. Pochi altri autori sono stati in grado di rendere giustizia e donare corpo quasi fisico, direi, a questo ossimoro. Tanto è perfino frivola la sua scrittura quanto è acuminata e velenosa nei contenuti al di sotto di quello stile scanzonato. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nine Hundred Grandmothers</i>, il racconto del 1966 che dà il titolo all’antologia pubblicata nel 1970 e che presenta la sua migliore produzione dei primi anni di carriera, è un esempio perfetto della caleidoscopica prosa di Lafferty e del suo sguardo penetrante sulla vita e le strutture, stilemi e clichè della narrativa fantastica. E’, non meno, un piccolo saggio di psicologia e antropologia. Come del resto un altro racconto dell’antologia, quello che è stato preferito in sede di pubblicazione italiana per il titolo della raccolta: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Associazione Genitori e Insegnanti</i>, in origine <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Primary Education of the Camiroi</i>, racconto ugualmente del 1966. Rispetto a quest’ultimo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Novecento nonne </i>presenta occasionali slanci lirici e fuggevoli suggestioni orrorifiche che ne intarsiano il tessuto satirico rendendolo ancora più affascinante alla lettura e mantenendo un’ambigua tensione che si scioglie solo nel finale.</span></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdkfmCQbWmOUsYYdK-H_APEbs9-ASe1tqcuhLh_ckhgfbSRxC0puEusg7M55qIV1pQrmAU4j-Aw_HacwtgDQI3gZthgCU2_mWhEX_XWY-eJI-yQQzndF7VLrEAUM_QgCic_GuKorQG9t7v/s1600/Nine+hundred+grandmothers.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdkfmCQbWmOUsYYdK-H_APEbs9-ASe1tqcuhLh_ckhgfbSRxC0puEusg7M55qIV1pQrmAU4j-Aw_HacwtgDQI3gZthgCU2_mWhEX_XWY-eJI-yQQzndF7VLrEAUM_QgCic_GuKorQG9t7v/s200/Nine+hundred+grandmothers.jpg" width="120" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Edizione originale, cover di Leo e Diane Dillon</td></tr>
</tbody></table><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Il finale. Un finale che non può dirsi aperto, ma che in qualche modo lascia il lettore a bocca asciutta più di un finale aperto. Un finale concluso ma non conclusivo. Bruciante, per molti versi. Come essere stati sul punto di afferrare una bottiglia d’acqua al termine di una lunga camminata sotto il sole estivo battente e vederla svanire. Eppure, è un finale perfetto. Beffardo, in apparenza; ma in realtà spietatamente logico. Nel breve spazio di un racconto di una dozzina forse di pagine, Lafferty aveva già sottoposto al giudizio impietoso e spassionato del ridicolo tutta una serie di miti e stereotipi della fantascienza e della letteratura d’avventura – ma anche di tanta cultura e società americane (e non solo americane). Le Virtù Eroiche dell’Uomo Americano ne escono molto male. E anche peggio ne esce la realtà di quella vera e propria foia di dominio, conquista e rapina che ne costituisce il sostrato reale e la motivazione d’essere. Sul pianeta Proavitus (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">nomen omen</i>) i terrestri sono venuti, come sempre, a cercare occasioni di arricchimento. A parte Ceran Swicegood, apparentemente. Ceran è convinto che sul pianeta troverà infine riposta alla Domanda Ultima: come è cominciato tutto? Ceran è un intellettuale, insomma, un filosofo: non si accontenta di meno che arrivare alla conoscenza suprema. Gli abitanti di Proavitus sembrano essere immortali. O così dicono loro. Così dice Nokoma, l’indigena con la quale Ceran ha contatti e che gli spiega che gli individui anziani si limitano a ridurre l’attività e vivere ritirati, per questo non li vede in giro. Nokoma racconta di avere novecento nonne (appunto…). Poche, in rapporto a famiglie ben più grandi e antiche della sua. Ceran non si accontenta delle parole di Nokoma, novello Tommaso deve toccare con mano la realtà di questa immortalità. Di questa antichità. Che se vera deve risalire alla notte dei tempi. All’inizio. A quando tutto cominciò. E’ il sogno della pietra filosofale. Ma non solo.</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Apparentemente diverso dai rozzi compagni di spedizione il cui unico scopo è arricchirsi con le ricchezze del pianeta, l’intellettuale Ceran in realtà non si comporta diversamente da loro. Si introduce infatti di nascosto in casa di Nokoma per conoscere e interrogare le novecento nonne dell’aliena. Novecento volte novecento, in realtà. In una sorta di viaggio iniziatico demente e ansiogeno Ceran si inabisserà, partendo dall’abitazione di Nokoma, nelle viscere del pianeta. Alla ricerca progressiva degli individui sempre più anziani della popolazione: miriadi sterminate di minuscoli alieni. Gli alieni infatti sono sempre più piccoli, con l’età si rattrappiscono, si prosciugano. E sempre meno attivi e vigili. Sempre più arcaici, in un percorso di conoscenza a ritroso più che progressivo. Quel che Ceran scoprirà sul suo Quesito Ultimo una volta incontrato l’individuo più anziano del pianeta, la madre di tutti, è che forse non c’è proprio nulla da scoprire. Che la conoscenza è priva di senso, come lo stesso percorso che si compie per arrivarci. Non è insolito, benché appaia incongruo, che gli scrittori di fantascienza non siano teneri con la scienza e la conoscenza. Ma non è questa, secondo me, la lezione di Lafferty. Se mai vi è poi una lezione nel suo racconto e non invece il magistero molto più raffinato di un invito alla riflessione su noi stessi, i nostri desideri e aspirazioni. E quello che siamo disposti a fare per soddisfarli. Ceran arriva a minacciare gli anziani per avere una risposta, ma da loro otterrà solo risate, e forse scherno. E tutta la consapevolezza del suo processo mentale parossistico (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Con voi scivolo da un grado all’altro e la mia credulità non ne è allarmata. Corro il rischio di credere, se verrà in piccole dosi, e così è.</i>) non lo preserva dal suo compulsivo andare avanti, come un giocatore d’azzardo che non possa fermarsi mai, neppure dopo aver perduto tutto. E in un certo modo Ceran perderà tutto: senno, dignità, consapevolezza. Senza fermarsi. Perché anche Ceran è un uomo occidentale a ben vedere. Un uomo e basta, forse. Le modalità del suo prevaricare sono diverse dagli altri terrestri della spedizione sul suo suolo proavitese, eppure il suo desiderio di appropriazione è il medesimo: totalizzante, demente, incurante dell’Altro e della sua natura. Ciò che rende diverso questo racconto da altre storie che mostrano e satireggiano questi meccanismi è però la peculiarità tutta laffertiana di un linguaggio dove il moralismo non ha il minimo diritto di cittadinanza; e dove il non-sense e il surreale sono struttura integrante. Un racconto di Lafferty non si accontenta mai di essere ciò che sembra e di sembrare ciò che è. Va sempre oltre, moltiplicando i sensi e seducendo il lettore con un’eleganza letteraria inusuale e una sfrontatezza verbale da vero giullare.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlX5DkqR8EV15YsgvZieZ_EMl_SnKOI5w-P9KGs2NRDG8HhEkg0OpTXpq73HLYc6v-3KStw0MaVTcI3BqXQ1ibxF9aSZ1J5iQs54GXnJ-JVbUoVqzruM2eL9Awt3wMGQHp5J8LvKOX4bJ6/s1600/Nine+hundred+grandmothers+urania2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlX5DkqR8EV15YsgvZieZ_EMl_SnKOI5w-P9KGs2NRDG8HhEkg0OpTXpq73HLYc6v-3KStw0MaVTcI3BqXQ1ibxF9aSZ1J5iQs54GXnJ-JVbUoVqzruM2eL9Awt3wMGQHp5J8LvKOX4bJ6/s200/Nine+hundred+grandmothers+urania2.jpg" width="138" /></a></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjV5WUXI_-mRlTQrdpWmyuHu1Qh112ZLlGG_kl36oky8tFTuqaaMtb2BIOsrrL-aMiw1-6B3IK6Z1Jdxcml3bJbvzZ7cFKPpY9QdtzcCy_5ywPJQwXsGVKEokmMjXq8dpID4MCsjxOBWY6/s1600/Nine+hundred+grandmothers+urania.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjV5WUXI_-mRlTQrdpWmyuHu1Qh112ZLlGG_kl36oky8tFTuqaaMtb2BIOsrrL-aMiw1-6B3IK6Z1Jdxcml3bJbvzZ7cFKPpY9QdtzcCy_5ywPJQwXsGVKEokmMjXq8dpID4MCsjxOBWY6/s200/Nine+hundred+grandmothers+urania.jpg" width="138" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Urania n.852 e 855 - cover di Karel Thole</td></tr>
</tbody></table><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">La stagione creativa di Lafferty fu breve se rapportata alla lunghezza della sua vita. L’inizio tardo, e in seguito i problemi di salute occorsigli, l’hanno compressa in una ventina d’anni e poco più di grande produttività. Alcuni dei suoi romanzi sono giunti anche in Italia, ma è soprattutto nelle decine e decine di racconti brevi che si dispiega il suo spirito genuinamente iconoclasta. Lafferty andrebbe riscoperto ogni giorno.</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Nine hundred grandmothers</span></i><span style="font-family: "Bodoni MT","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">, l’antologia, è stata pubblicata in Italia in due fascicoli di Urania, il n.852, del quale il racconto eponimo è l’ultimo, e il n.855. </span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-70892029107958411562011-10-04T11:41:00.000-07:002011-10-04T11:41:59.175-07:00Grazie, Vic.<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFjWL7Qs4aENvT5e-BFN5Pz7bFIbfasQpR4AtNcbj5IQMDrMK3OvHiBnFJwox53DzOqo2QseDlJdTNXIdSMaOHKgiD8wAClCIHafANgeKmsIg8XNYrNBCp6PVYMcsSlAhLn8RB-e411qsO/s1600/curtoni_1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFjWL7Qs4aENvT5e-BFN5Pz7bFIbfasQpR4AtNcbj5IQMDrMK3OvHiBnFJwox53DzOqo2QseDlJdTNXIdSMaOHKgiD8wAClCIHafANgeKmsIg8XNYrNBCp6PVYMcsSlAhLn8RB-e411qsO/s320/curtoni_1.jpg" width="218" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Aggiungi didascalia</td></tr>
</tbody></table><br />
Grazie, Vic. E non c'è altro da dire.Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-88761073448612944562011-05-08T07:42:00.000-07:002011-05-08T07:42:27.036-07:00I classici – Anime (Souls – 1982) di Joanna Russ (1937-2011)<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndTyFYvaDKvveS7MZA03I7P4bGB3T5VzkcO8BdtJupmhTX38iNz1AVQRgaJei-lIbLNTv82aHZ5Wr2qvaPeCSBUud6aYtqNL4bJWQhVRhjhkOFsgUwsgpFaTJ372ulhYZQmaHU-eYnlId/s1600/joanna+russ.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndTyFYvaDKvveS7MZA03I7P4bGB3T5VzkcO8BdtJupmhTX38iNz1AVQRgaJei-lIbLNTv82aHZ5Wr2qvaPeCSBUud6aYtqNL4bJWQhVRhjhkOFsgUwsgpFaTJ372ulhYZQmaHU-eYnlId/s1600/joanna+russ.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">Or sono alcuni giorni che è morta Joanna Russ. La sua è stata una delle voci più forti, singolari e significative della fantascienza americana, e di sicuro non solo tra le scrittrici. Sebbene negli ultimi trent’anni la sua produzione narrativa sia stata così rarefatta da apparire episodica, i lavori prodotti nella breve e feconda stagione più creativa sono tali da consegnarci il ritratto di un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">corpus</i> letterario raro per rigore intellettuale e stilistico, accostabile a quello delle altre due grandi autrici emerse tra i sixties e i seventies, Ursula Le Guin ed Alice Sheldon/James Tiptree jr., e qualche anno più tardi Octavia Butler. Femminista militante, Joanna Russ fu un’agguerrita teorica del movimento a partire dai tardi anni ’60 e seppe riversare con coerenza il suo impegno tanto negli scritti critici sulla fantascienza che nei suoi lavori di narrativa.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: Georgia;">Anime</span></i><span style="font-family: Georgia;"> è l’approdo terminale del felice periodo produttivo che si apre nel 1968 con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Picnic su Paradiso</i>, il primo dei romanzi della guerriera transtemporale Alyx, una delle più riuscite figure di eroina; all’epoca Joanna Russ pubblica professionalmente già da nove anni. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Anime</i> vede invece la luce nel gennaio 1982 su Fantasy&Science Fiction, la rivista sulla quale la scrittrice pubblicò anche innumerevoli recensioni. Dei suoi non molti lavori giunti in Italia, e tra i quali spiccano il romanzo sperimentale <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Female Man</i> e il racconto breve <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quando cambiò</i>, è senza dubbio il più bello e intenso, per lo stile rigoroso ed energico, per la visionarietà con la quale ella svolge i temi affrontati, per la sfaccettata ricchezza e al contempo la completa impenetrabilità della protagonista, e per la forza d’impatto dell’allegoria allestita in poche decine di pagine dense di significato e fluide alla lettura: questa è una novella che vale una carriera letteraria, un risultato che gli estensori di serie in dozzine di volumi non riusciranno mai a raggiungere.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnjmHguEEzyEaUjIoIRZU5hT1I7v7XRPtXqPyGYofCQtdCWSVglN89RexiG45qbOwZMYXoeQleYuYhsnq_DYadE-unBjPGWviBrJyIiuNq77rDKZDedIu857D6PLHthu047YZUSIfN_PLd/s1600/picnic.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnjmHguEEzyEaUjIoIRZU5hT1I7v7XRPtXqPyGYofCQtdCWSVglN89RexiG45qbOwZMYXoeQleYuYhsnq_DYadE-unBjPGWviBrJyIiuNq77rDKZDedIu857D6PLHthu047YZUSIfN_PLd/s200/picnic.jpg" width="136" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: Georgia;">Souls</span></i><span style="font-family: Georgia;"> è una storia sulla maternità più che sull’identità (di genere e non) come spesso è detto. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Chiaramente il tema identitario è ben presente, e non potrebbe essere diversamente, poiché non piccola parte dell’identità culturale e biologica della donna nelle società umane viene costruita attorno e sulla maternità; e perché ciascuno di noi, uomo o donna che sia, indossa una o più mascherature nel corso della propria vita e nel dispiego della propria vita relazionale. Ma sotto la lente trasfigurante dell’osservazione russiana è posta direttamente la questione centrale della funzione materna nella storia, e nella vita umana.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8VG5N5FA4XQsURv4RRHY9E5m7erspzu1id9a7snTdkmqAYvqKHhzmXwQFj_Cl24Fi1yK_hyphenhyphenzXK6bZDBZXj0I5sZCurQo3AgXnB3XEacUkcpq2_ToanOWOXfddt68s3K07qB-CFjGRClo5/s1600/female.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8VG5N5FA4XQsURv4RRHY9E5m7erspzu1id9a7snTdkmqAYvqKHhzmXwQFj_Cl24Fi1yK_hyphenhyphenzXK6bZDBZXj0I5sZCurQo3AgXnB3XEacUkcpq2_ToanOWOXfddt68s3K07qB-CFjGRClo5/s200/female.jpg" width="132" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">L’elemento fantascientifico in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Anime</i> può apparire secondario, eccentrico, perfino ridondante se non del tutto superfluo: la vicenda della badessa medievale Radegunde alle prese con un assalto vichingo alla sua abbazia potrebbe sembrare ancor meglio affrontabile in un’ottica interamente storica (o comunque realistica). In realtà esso elemento fa davvero corpo unico con la riflessione a tutto campo di Joanna Russ sulla maternità e sulla storia femminile all’interno di quella più ampia trama che è la storia del genere umano. Solo l’alienità vera e propria di Radegunde, che prende corpo finale nelle ultime pagine della novella, può dar conto appieno dell’alienità che agli occhi del lettore (del lettore maschio in particolare, e Joanna Russ è ovviamente consapevole di come la maggior parte di coloro che avrebbero letto la novella sulle pagine di F&Sf fosse appunto costituita da maschi) rappresenta una madre così fuori dai canoni come è Radegunde - e la maternità una volta denudata della retorica con la quale siamo usi rivestirla per proteggerci dalla sua realtà. Una madre lontana dagli schemi codificati e santificati dalle religioni e dalle società patriarcali. Una madre terribilmente reale proprio per questo. E tanto più vicina a una maternità primitiva e naturale, ben lontana dalle false mitologie che verranno e pretenderanno di sostituire la natura con la propria elaborazione fantasiosa. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">Ovviamente Radegunde non è madre in senso biologico, ma è proprio per questo che la sua figura costituisce un simbolo ancora più potente di maternità, una ricapitolazione psicologica, culturale, emozionale di _ogni_ madre. In senso culturale ella agisce da madre per tutta la “sua gente”: le suore del suo convento, i preti in visita a esso, la popolazione del villaggio. Finanche l’orda vichinga indifferenziata che si è spinta dalla Norvegia fin sulle coste di una qualche landa tedesca medievale dove Joanna Russ ambienta la vicenda. Ma è nei riguardi di alcuni di costoro che Radegunde assume una più precisa e circostanziata identità di madre. Per ciascuno di loro, una volta dismessa la maschera culturale della madre perfetta assegnatale d’ufficio dalla società e dal suo status, rappresenterà una delle facce reali della madre: cannibale, terribile, benevola, fonte di vita, o indifferente. E soprattutto inconoscibile nella sua identità più intima. Ciascuno di loro può, al meglio, andare a tentoni nel tentativo di comprenderla: con Radegunde l’autrice consegna ai lettori una delle più raffinate e complete interpretazioni della figura materna, e della distanza che marca ogni donna/madre reale dall’immagine mitologica che ne abbiamo. Oltre che una rappresentazione dell’infinitamente più grande ricchezza che si nasconde nelle madri reali, che appena è possibile scorgere. E questo ci accomuna tutti, uomini e donne, in quanto figli, così come accomunati sono i particolari “figli” e figlie” di Radegunde. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj4iAw4xiduSqWgQ4W1sgmcYzfrB9e-fd9t5rGCxSFwOgz4epaljdZrD6Y7tk9hJWQm-hZo_EpP9UGcHLufB3Ua-_di9rS0CohtxJlLd5rXCU9BiQx-0VJKolRMeEeqasYBU82R9Jf-n7u/s1600/joanna-russ.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj4iAw4xiduSqWgQ4W1sgmcYzfrB9e-fd9t5rGCxSFwOgz4epaljdZrD6Y7tk9hJWQm-hZo_EpP9UGcHLufB3Ua-_di9rS0CohtxJlLd5rXCU9BiQx-0VJKolRMeEeqasYBU82R9Jf-n7u/s1600/joanna-russ.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">L’innesco, come detto, è rappresentato dall’approdo presso il convento di Radegunde di una piccola orda vichinga. L’evento, traumatico, comporterà la presa di coscienza della propria alienità in Radegunde, parallelo di un vero e proprio percorso di riappropriazione della propria autonomia identitaria di donna al di là della funzione/maschera materna da parte della badessa/madre.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Come donna Radegunde si rimpossessa della propria identità e autonomia ricongiungendosi con la propria razza; ma come madre ella è sempre presente nello spirito dei suoi “figli” e delle sue “figlie”, segnati indelebilmente, e a volte definitivamente, dalla sua azione e dalla sua parola.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">All’apparenza Radegunde riserva il destino più crudo a Thorfinn, il giovanissimo vichingo verso il quale sostituisce la pietà iniziale con la spietatezza una volta dismessi gli occhi misericordiosi e ciechi della madre con quelli spassionati della donna. Che Thorfinn muoia per intervento diretto delle facoltà superumane di Radegunde o per un caso, come pietosamente e forse illusoriamente ritiene Radulphus, la sua morte è sempre e comunque riconducibile alla dissoluzione dell’identità maschile in presenza di un rapporto irrisolto e inadeguato con la madre/donna. Ma in realtà il destino di Thorfinn lo stupratore dall’anima fragile è ancora misericordioso se paragonato a quello di Thorvald Einarsson, il riluttante capo dell’orda vichinga. Thorvald è infatti condannato dalla vendetta di Radegunde a vivere. A vivere in piena consapevolezza. Thorvald che rappresenta il Padre nella sua più brutale espressione, il Padre incapace di liberarsi del retaggio della violenza insensata nonostante le sue indubbie facoltà intellettuali e spirituali, il Padre incapace di rapportarsi alla Madre quale compagno. Il risentimento di Radegunde per l’inadeguatezza di questo suo “figlio” a elevarsi a pari si sostanzia, come ella dice nel finale della novella, nel dargli i “suoi occhi”: per vedere il mondo, così come esso è percorso dalla violenza insensata che Thorvald stesso e i suoi uomini rappresentano; per soffrirne come lei (e con lei tutte le donne) ne ha sofferto. In un finale duro e spietato come pochi, e dunque autenticamente poetico, Radegunde risponde con un secchissimo <i>No revenge? Thinkest thou so, boy? (…)Think again. . . . </i>alle perplessità di Radulphus - al quale il destino di Thorvald, ovvero la missione affidatagli da Radegunde di divenire un Pacificatore, non sembra frutto di un qual grande vendetta. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">A Sibihd, la giovane suora stuprata da Thorfinn, e a Hedwic, la consorella sognatrice, Radegunde concede invece una solidarietà e una benevolenza un po’ d’ufficio. Come se il genere comune la obbligasse a riservare a queste due “figlie”, inadeguate ai suoi occhi di madre quanto i due bestioni norvegesi, un trattamento comunque pietoso, a tendere loro una mano perfino complice. O comunque conscia della necessità di proteggerle non soltanto da loro stesse ma anche dagli uomini. Forse la giovane Sibihd riuscirà a superare il trauma subito, ma Radegunde mostra chiaramente che neppure una madre può sostituirsi alla figlia nella sofferenza dello spirito. Ma può tuttavia fornire consolazione alla fantasia sovreccitata di una figlia come fa con Hedwic. Con una bugia: ma una madre sa bene che la verità a volte è sopravvalutata. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRIByOQNcD2L83R5wSHVuFK4tevYeL4_gsj_K-fkho265_JWP9OGWZ3Emwj4SSLHcrtk-f5Tab0n6JqctEPfZjU3YK6XW6KonKRTqEwDNuN3TKw2Dea8ZDJ2BpKpD-V5jd3p5q_lEEQxA6/s1600/premi+hugo+1976+1983.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRIByOQNcD2L83R5wSHVuFK4tevYeL4_gsj_K-fkho265_JWP9OGWZ3Emwj4SSLHcrtk-f5Tab0n6JqctEPfZjU3YK6XW6KonKRTqEwDNuN3TKw2Dea8ZDJ2BpKpD-V5jd3p5q_lEEQxA6/s200/premi+hugo+1976+1983.jpg" width="150" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">Non è però alle due “figlie” femmine che Radegunde consegna il lascito più prezioso. Che consegna la sua figura di madre che continua a vivere nel figlio al di là dell’assenza, della partenza, della morte della madre. Al di là dell’impossibilità per il figlio di conoscere davvero sua madre. E’ il lascito della vita stessa. E’ a Radulphus, il bambino di sette anni che poi diventa il narratore stupito della storia di Radegunde, che la badessa fa davvero dono della vita. Al di là di tutto, a me pare che Joanna Russ consegni in tal modo un chiaro messaggio di speranza e un invito deciso alla collaborazione. Radulphus che la badessa aveva già eletto e ora riconferma a figlio adottivo, a significare che la scelta cosciente dell’amore è più importante della cieca biologia, la quale assicura al figlio soltanto una vita biologicamente limitata; e Radulphus dal quale si congeda con le parole: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Remember me. And be ... content</i>. Abbi il coraggio di vivere e di assumerti la responsabilità di trovare la tua strada per la felicità… e ricorda chi ti ha dato la vita. Una madre non può salvare ogni figlio, perché questo dipende da lui. Ma può cercare di insegnare la strada per salvarsi. Radulphus si salverà e diverrà un uomo completo e sereno, nei limiti della una normale vita umana di un uomo non particolarmente brillante. Ma vivo e funzionante. E Radulphus serberà sempre l’amoroso ricordo di Radegunde. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: Georgia;">Souls</span></i><span style="font-family: Georgia;"> è reperibile in italiano nelle varie raccolte dei premi Hugo in cui sono presenti le opere premiate nel 1983, anno appunto nel quale ebbe il riconoscimento.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><span style="font-family: Georgia;">La novella in inglese:</span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: Georgia;"><a href="http://www.univeros.com/usenet/cache/alt.binaries.ebooks/10.000.SciFi.and.Fantasy.Ebooks/Joanna%20Russ/Joanna%20Russ%20-%20Souls.pdf">http://www.univeros.com/usenet/cache/alt.binaries.ebooks/10.000.SciFi.and.Fantasy.Ebooks/Joanna%20Russ/Joanna%20Russ%20-%20Souls.pdf</a></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9.0pt;"><br />
</div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-66457229453834529722011-04-24T01:16:00.000-07:002011-04-24T01:16:11.924-07:00Sull’egoismo – note a margine di un racconto di Philip K. Dick (Cadbury, il castoro scarso - Cadbury, the beaver who lacked, 1971/1987)<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1Y4KkScQYPy1s5bP_11y9y4iGiRBy1sqXDMsKhwmqN7EgRNuBlIDk7oGtoSJfnnINYflTHRt_JK9CWtlK4nhGOLoHHzgpA75vsS8ab2FeB5uVJQMfgE_i3dZQR_jN-l-N2hjHapKXNyCn/s1600/philip_k_dick.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1Y4KkScQYPy1s5bP_11y9y4iGiRBy1sqXDMsKhwmqN7EgRNuBlIDk7oGtoSJfnnINYflTHRt_JK9CWtlK4nhGOLoHHzgpA75vsS8ab2FeB5uVJQMfgE_i3dZQR_jN-l-N2hjHapKXNyCn/s320/philip_k_dick.jpg" width="206" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">I pensieri possono infine coagularsi in conseguenza degli eventi più disparati. Da giorni avevo appunto una parola e un pensiero installati nel cervello, premendo per prendere forma in qualcosa di compiuto. Una riflessione compiuta (che poi abbia anche senso è un’altra questione). Ciò che avviene intorno a noi ci stimola appunto a riflettere, e ultimamente l’osservazione mi porta alla ricerca di una definizione di egoismo. Poi un evento accade e il pensiero prende forma. Compiuta (sensata resta sempre un altro paio di maniche :-D). </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Terminata la lettura di un libro è fin troppo facile perdersi alla ricerca del successivo. Iniziarne e abbandonarne diversi. Gioco forza si finisce allora a vagabondare tra le parole scritte: un articolo di una rivista, versi sparsi, una prefazione, un racconto. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Un racconto. Passando davanti a una delle poche librerie di casa ancora (abbastanza) in ordine l’occhio si sofferma sui quattro volumi de <i>Le Presenze Invisibili</i>, amorevolmente comprati uno per uno negli anni ’90. Tutti i racconti scritti da Philip Dick: è più o meno da allora che non li rileggo. Prendo il quarto, le opere – più rade – della maturità, e apro a caso. Non molto soddisfacente. Scorro allora l’indice e un titolo, completamente dimenticato, cattura la mia attenzione: <i>Cadbury, il castoro scarso</i>. Stendo un velo pietoso sulla traduzione italiana del titolo - in originale era <i>Cadbury, the beaver who lacked</i> - che oltre a suonare idiotamente comica viene a perdere il doppio significato che il verbo “<i>to</i> <i>lack</i>” invece sottolineava: le manchevolezze di Cadbury e il suo finale venir meno dal tessuto della realtà: un titolo squisitamente dickiano trasmuta così nel vanzineggiante.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghY9cBXBcoCItrdYus-mnGPbPBzVdEA3qT4snOoYfCVyl_L24McShmZZq_bp8cI7W8r0xnSC3z4UmijU4GCPejeQX9ceb438dbgQUf9FVEBERsb5rTS1PtulP1OaM3h1xevAQ61PNA2wz0/s1600/presenze+invisibili+4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghY9cBXBcoCItrdYus-mnGPbPBzVdEA3qT4snOoYfCVyl_L24McShmZZq_bp8cI7W8r0xnSC3z4UmijU4GCPejeQX9ceb438dbgQUf9FVEBERsb5rTS1PtulP1OaM3h1xevAQ61PNA2wz0/s200/presenze+invisibili+4.jpg" width="137" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span style="font-size: xx-small;"><span style="font-style: italic;">Il quarto volume, dove è contenuto il racconto</span></span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Comunque. Nell’introduzione al volume Vittorio Curtoni spiega che si tratta di un racconto mai pubblicato in vita da Dick (dalle note dello stesso Dick risulta scritto nel 1971) e proposto per la prima volta all’uscita di <i>The collected stories of Philip K. Dick </i>nel 1987. Il Vic dice trattarsi di un’opera piuttosto eterodossa nel panorama dickiano, e di un capolavoro. In genere non ci sarebbe troppo da fidarsi da chi non ami Clifford Simak e lo consideri sonnacchioso, ma quando si tratta di Philip Dick di Curtoni ci si può fidare ciecamente. E infatti ha ragione.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Il Vic accenna, introducendo nel suo commento riferimenti a Poe e a Freud, sia allo sfaldamento del reale che alla perturbazione mentale, per altro i <i>topoi</i> più classici di Dick sebbene qui trattati in modo inconsueto, a partire dalla struttura del racconto che è quella di una favola allegorica. C’è ben poco di fantascienza a un primo sguardo (e forse anche a ben vedere), qui Dick elabora una metanarrazione della sua vita così spesso sgangherata e incasinata, della sua creatività compulsiva e totalizzante. E perciò alienante, che lo isolava dal resto dell’umanità. Di lì a poco Dick affermerà di essere stato “invaso” da una sorta di divinità benigna o qualcosa del genere, e insomma… se non è svertebrarsi del reale e psicologia disturbata questo. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxx007YHTKGu53B8cRtEwBZVSU0UdffhJNkCBEdm2gMrthKIzGeN13npNFcbRYi9GpWmvlSK7kB0S1xtov4xM9gpZvz7HuAWFvSYAVS6LzvrE_qTJW9P0SXrdPEyR6Uv3PTj8w97TMsEME/s1600/presenze+invisibili+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxx007YHTKGu53B8cRtEwBZVSU0UdffhJNkCBEdm2gMrthKIzGeN13npNFcbRYi9GpWmvlSK7kB0S1xtov4xM9gpZvz7HuAWFvSYAVS6LzvrE_qTJW9P0SXrdPEyR6Uv3PTj8w97TMsEME/s200/presenze+invisibili+1.jpg" width="135" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span style="font-style: italic;"><span style="font-size: xx-small;">Il primo volume</span></span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">I due grandi temi portanti sono dunque ben presenti, ma il vero nucleo del racconto è senza dubbio tutto nella figura del protagonista, Cadbury, questo castoro che poi altri non è che Dick stesso – e forse l’identificazione tanto ovvia e scoperta e la rappresentazione per certi versi brutale di sé hanno comportato che questo racconto non venisse pubblicato se non nella raccolta postuma dei suoi racconti? Cadbury/Dick che, come dice sua moglie Hilda, è privo di “energia e spinta interiore”. Ed è incapace di un minimamente sereno rapporto con le donne: proprio come il rapporto di Dick con le donne fu assai problematico per usare un eufemismo; e così come nella sua opera affiora una sofferta misoginia. Sofferta perché non convinta, ma in certo modo subìta per l’incapacità di creare un rapporto maturo e paritario e dunque stabile. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">E’ qui che il racconto e il tarlo di questi giorni sull’egoismo mi si sono fusi assieme. Non mi riferisco agli effetti evidenti, violenti e per certi versi banali dell’egoismo umano inteso come una pulsione brada e un sovrano disprezzo per l’Altro (un esempio inquietante e al tempo stesso anodino lo fornisce al solito il magico mondo dell’economia contemporanea: <a href="http://www.investopedia.com/articles/bonds/08/death-bonds-portfolio.asp">http://www.investopedia.com/articles/bonds/08/death-bonds-portfolio.asp</a>). La vicenda del castoro Cadbury va invece oltre, più a fondo, alla radice interiore del sentimento egoistico. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvftAepNVZl9cwCycFdsCtBxJ-2Zv3B7P7tkEsFb2cVWtQxVfInqom59jGRezb-PtXLxcm8PdgKRTicu37T8L4xotMv-WK-n8p3YFrB3SgSHk7bcV_K_aDPs42DglrBteMc-8dIwbeFbNL/s1600/presenze+invisibili+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvftAepNVZl9cwCycFdsCtBxJ-2Zv3B7P7tkEsFb2cVWtQxVfInqom59jGRezb-PtXLxcm8PdgKRTicu37T8L4xotMv-WK-n8p3YFrB3SgSHk7bcV_K_aDPs42DglrBteMc-8dIwbeFbNL/s200/presenze+invisibili+2.jpg" width="138" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><i><span style="font-size: xx-small;">Il secondo volume</span></i> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">In quanto membri della specie superstite del genere <i>Homo</i>, in quanto <i>Homo sapiens</i>, noi esseri umani siamo animali e in quanto tali soggetti agli istinti e alle pulsioni di tutti gli animali. Ma dovremmo (saper) vivere come se non fossimo animali. Non per altro, ma perché ne abbiamo le possibilità intellettuali e sarebbe utile a tutti - un “tutti” statistico, okay, chi si ingrassa vendendo mine antiuomo ha meno interesse nella questione di quelli che poi ci salteranno sopra. Questo richiederebbe una sintesi culturale superiore alle nostre - attuali? - possibilità come comunità umana. I tentativi fatti sono stati fin qui fallimentari e ancora più spesso deleteri. Le religioni non solo non si sono mai avvicinate a creare una vera cultura solidale ma come è implicito nel concetto di fede sono teoreticamente impossibilitate a farlo. Per fare un esempio più recente, il sogno titanico della psicanalisi di risolvere gli affanni umani direi abbia creato più problemi di quanti ne abbia risolti, soprattutto là dove essa è divenuta cultura dominante e infine moda. Il solo legato di valore, da Freud in poi, è la straordinaria quantità di capolavori letterari del ‘900 che hanno tratto ispirazione dalle varie formulazioni teoriche e prassi di lavoro. Dalle ristrettezze mentali di un sessuofobo misogino ottocentesco probabilmente non poteva sortire altra pianta sotto il profilo scientifico (ma teniamoci stretto il fiore letterario). Al netto del fatto che senza una comprensione davvero avanzata dei meccanismi neurofisiologici e biologici in genere, e un’accettazione psicologica profonda della nostra biologia, arrivare a comprendere la psiche umana è pura utopia. Figuriamoci curarla.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Per attenerci però a un livello più immediato, elementare (ma non semplificato) e individuale – e appunto più vicino alla radice dell’egoismo – la storia di Cadbury è illuminante. Perché vi è un aspetto decisivo al di là del fatto che Cadbury è un castoro, cioè un uomo, irresoluto e tendente alla fantasticheria fine a sé stessa; al di là del fatto che è vessato da una moglie stizzosa, non migliore di lui a conti fatti; al di là del fatto che lo psicanalista dottor Drat non gli serve a un tubo perché è tanto supponente quanto impotente; al di là del fatto che il suo incontro con Carol Stickyfoot ne mette a nudo la completa incapacità di instaurare un rapporto di mutua comprensione con i vari aspetti della femminilità incarnati da Carol (che si scinde materialmente in una rappresentazione al contempo parodistica e agghiacciante del simbolismo della Triplice Dea). Incapacità che arriva a quella dissoluzione materiale corporea di Cadbury cui facevo prima riferimento. Dissoluzione che nella dimensione di Philip Dick l’uomo è il venir meno della residua coerenza sua psiche: Cadbury, evidentemente inabile a resistere alla pressione del rapporto irrisolto e irrisolvibile, abdica alla realtà. <span> </span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi60LlaOvDsZyfLesa3r65U7Sk-KrHx7526ufAufsnH8avcjO1EZvoY_27_zPXux45AnXPTt0IsfDb15M-ljy79nD4MoOcjgtj2cD8TfQUDidKuxs8gMXvgVB0Kpg12oqg5LFyXWa5NCsd8/s1600/presenze+invisibili+3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi60LlaOvDsZyfLesa3r65U7Sk-KrHx7526ufAufsnH8avcjO1EZvoY_27_zPXux45AnXPTt0IsfDb15M-ljy79nD4MoOcjgtj2cD8TfQUDidKuxs8gMXvgVB0Kpg12oqg5LFyXWa5NCsd8/s200/presenze+invisibili+3.jpg" width="134" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Il terzo volume</i></span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Al di là di tutto questo, all’origine del dissidio di Cadbury con le donne, il resto dell’umanità, la società e in genere il tessuto stesso della realtà (psichica) vi è evidentemente il suo egoismo. Come è in genere anche per noi. Egoismo non come ricerca a ogni prezzo dei propri scopi ma come la causa e l’attitudine a ciò precedente: il fissarsi mentale unicamente su sé stessi. L’autismo emotivo che ci isola dall’Altro e non ce lo fa riconoscere come a noi simile. L’autismo, soprattutto, che ci porta a non condividere noi stessi. Che è il primo passo perché l’Altro possa a sua volta condividersi. A partire dal livello più banale, il negare le nostre confidenze, paure, speranze alla partner o al partner, all’amica o all’amico: a chi ci è più prossimo. Questa nostra avarizia ci condanna all’isolamento, e l’isolamento ci conduce alla sopraffazione: la dove non c’è comunicazione non c’è conoscenza e quindi non può esservi comprensione e mutuo riconoscersi. L’incomunicabilità è verbale, emotiva, spirituale. Incapacità di comunicare e comunicarsi. Ripiegando sul proprio ego, avviluppandocisi come nella ormai proverbiale coperta di Linus, la barriera che ci protegge e rende impermeabile l’esterno a noi, e noi all’esterno. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8rn1xX4030_oZTrZIBW9iRIZMmSFUBBggsfXlMYCDGxbsTvfupW1Ni6M44DbWtLAg7o1AMKmmdWMw4mpVWC-hRVwVmKLmc9Lc3tai5BMJa-CBEoBl4IiiY4or3qpi6RevKbMEb7EOvTGl/s1600/philip-k-dick.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="160" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8rn1xX4030_oZTrZIBW9iRIZMmSFUBBggsfXlMYCDGxbsTvfupW1Ni6M44DbWtLAg7o1AMKmmdWMw4mpVWC-hRVwVmKLmc9Lc3tai5BMJa-CBEoBl4IiiY4or3qpi6RevKbMEb7EOvTGl/s200/philip-k-dick.jpg" width="200" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Cadbury nega la propria interiorità alla moglie; non è in grado di comunicare con il suo analista (che è altrettanto inetto), questo disperato surrogato contemporaneo del relazionarsi con l’Altro; e infine neppure sa davvero offrire la propria personalità per una comuni(cazi)one spirituale con Carol. Che si rivela altrettanto incapace di lui, sia chiaro (e di certo nell’ottica integralmente egoistica di Dick è escluso che il primo passo possa compierlo Cadbury: al massimo può pietirlo). Delle tre figure in cui Carol si scinde, solo quella che rappresenta la Madre mostra un barlume di affetto per Cadbury; ma è un affetto incondizionato, e per ciò stesso privo di reale comprensione. Non è un affetto per ciò che Cadbury è davvero, ma solo per ciò che Cadbury – il Figlio – rappresenta per la Madre: di nuovo una visione egoistica: anzi il suo paradigma. Mito puro, non realtà umana in atto.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Hic manebimus optime?</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3185041479325739176.post-86152974070265964502010-11-09T07:20:00.000-08:002010-11-09T07:20:08.026-08:00Precursori – La giornata di un giornalista americano nel 2890 (Au XXIXe siécle ou La journée d’un journaliste amèricain en 2890 – 1889/1891 [a volte la data nel titolo è il 2889]) di Jules (1828-1905) e Michel Verne (1861-1925)<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipOx7qaz1djofSknuPOa9Q3d7-YCA6PIFVo7E29knImTpdv9ovzCs3Z2iE6-vRT3UNRsjT0zS8Z21hd4kpUyFUYARsj9h4KU0JklVtq2SjsiLD7tB0AccdqU56j2ha0kJaf23iyy2pXrod/s1600/verne+jules.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihohJ4tVVk9z71JuEUwYhgoDMZgFPO7YxHRsA2NExPiRvBBlTvrO-c4CCobp9WizVpCcm69U_WMbeUUWMhjnNMkiumGoL_Kia9XWUYs7BqGnB1FaP2tU0uMwTAdjcMCiEDpm1Av7T-nMRa/s1600/giornata+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihohJ4tVVk9z71JuEUwYhgoDMZgFPO7YxHRsA2NExPiRvBBlTvrO-c4CCobp9WizVpCcm69U_WMbeUUWMhjnNMkiumGoL_Kia9XWUYs7BqGnB1FaP2tU0uMwTAdjcMCiEDpm1Av7T-nMRa/s1600/giornata+2.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Pubblicato la prima volta nella sua traduzione inglese nel febbraio del 1889 sulla rivista americana The Forum, e solo nel 1891 in Francia a seguito di una lettura pubblica fattane da Jules Verne, questo racconto apparve a firma appunto del solo Jules, ma anche in base al carteggio dello scrittore con il suo editore francese Hetzel, oggi si riconosce in genere che la prima stesura di esso sia dovuta al suo unico figlio maschio Michel (per altro spesso indicato come il vero autore o al minimo co-autore dei romanzi postumi di Jules), sul testo del quale Jules sarebbe poi intervenuto rivedendolo estesamente. Una collaborazione così precoce tra il freddo e problematico padre (che era stato problematico figlio di un problematico padre) e il suo ribelle e problematico figlio rende molto interessante il racconto all’interno del corpus verniano. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Jules Verne è uno dei padri riconosciuti di quella che poi sarà la fantascienza del XX secolo, e in particolar modo dei filoni più legati all’estrapolazione scientifica e alla dimensione avventurosa, l’azione di veri e propri tecnocrati nella storia. La <i>hard sf</i>, sostanzialmente. Sebbene egli fosse principalmente uno scrittore attentissimo all’attualità scientifica più che all’estrapolazione, sebbene cioè egli inventasse poco in campo scientifico e si limitasse per lo più a portare all’estreme conseguenze la scienza della sua epoca, il ritratto è abbastanza fedele: anche facendo la tara al fatto che egli fosse in primo luogo uno straordinario narratore d’avventura, tra i più abili e capaci di affascinare. Lo scrittore contemporaneo che mi pare gli sia stato più vicino come caratteristiche è Michael Crichton. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCfR5jKIapozzGUZRi-LPkjcAC4jSIZx_uSiax7fwRvl-pukZ5LXrq7dVc6v1ScfyVXqLIfQecZX7_j7NbrLhVULcGsPESiCJv1s2aNBD2hse6XcqGWyjsM7mspru7lxSjEGTZf6iDDbwL/s1600/verne_michel.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCfR5jKIapozzGUZRi-LPkjcAC4jSIZx_uSiax7fwRvl-pukZ5LXrq7dVc6v1ScfyVXqLIfQecZX7_j7NbrLhVULcGsPESiCJv1s2aNBD2hse6XcqGWyjsM7mspru7lxSjEGTZf6iDDbwL/s1600/verne_michel.jpg" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipOx7qaz1djofSknuPOa9Q3d7-YCA6PIFVo7E29knImTpdv9ovzCs3Z2iE6-vRT3UNRsjT0zS8Z21hd4kpUyFUYARsj9h4KU0JklVtq2SjsiLD7tB0AccdqU56j2ha0kJaf23iyy2pXrod/s1600/verne+jules.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipOx7qaz1djofSknuPOa9Q3d7-YCA6PIFVo7E29knImTpdv9ovzCs3Z2iE6-vRT3UNRsjT0zS8Z21hd4kpUyFUYARsj9h4KU0JklVtq2SjsiLD7tB0AccdqU56j2ha0kJaf23iyy2pXrod/s1600/verne+jules.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Michel e il padre Jules Verne</i></span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">I migliori romanzi verniani sono a testimonianza di quanto detto: da <i>Michele Strogoff</i> a <i>XX mila leghe sotto i mari</i>, dal <i>Giro del mondo in 80 giorni</i> a <i>Viaggio al centro della Terra</i>. E tra questi, anche quelli che contengono elementi chiaramente fantascientifici seducono e avvincono per la grandiosità avventurosa dello scenario o della concezione, oppure per il magnetismo di un protagonista come Nemo: non è per caso che i romanzi verniani sono pubblicati sotto l’etichetta di <i>Voyages extraordinaires</i>: in primo luogo, appunto voyages. Laddove la freschezza di questi suoi lavori migliori manca, anche il più fantascientifico e visionario dei romanzi di Jules Verne, <i>Hector Servadac</i>, per altro coevo del capolavoro <i>Strogoff</i>, difetta nel trascinare il lettore dalla prima all’ultima pagina. <span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">E sostanzialmente corretto è anche il modello di un Verne scrittore dell’ottimismo scientifico, cantore delle umane sorti e progressive. Non che Verne fosse cieco o che la temperie dei suoi tempi avesse completamente occupato la sua percezione del mondo, e negli ultimi anni della sua vita l’ottimismo si farà più riflessivo e maturo; più semplicemente non gli veniva meno la fiducia nelle potenzialità umane (certo, dalle potenzialità a ciò che poi l’uomo apparecchia per sé e i propri simili ce ne passa…). </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Ecco allora che questo racconto, assai probabile frutto di un “soggetto” del figlio Michel accolto dal padre che lo ha sottoposto a una profonda revisione, costituisce la miglior presa di posizione critica di Jules nei confronti dell’ottimismo scientifico. Critica, non contraria. Jules Verne (attraverso l’ispirazione del figlio) ci appare consapevole come non mai della forza dell’innovazione tecnologica e della sua capacità di mutare la vita dell’uomo, e contemporaneamente consapevole del prezzo che l’uomo paga. E Verne - padre, figlio o padre e figlio che sia – ci appare ben cosciente del carattere di inevitabilità che il progresso (nel bene come nel male, ripeto) ha già assunto in quel 1889 in cui la storia fu pubblicata per la prima volta.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Il testo è comunque scevro di amarezza, e l’acuta consapevolezza della realtà filtra attraverso alcune rappresentazioni iperrealistiche fino alla deformazione grottesca di un entusiasmo per la conquista tecnologica che anticipa l’estetica futurista. Oltre che per alcune stilettate satiriche particolarmente feroci ancorché espresse con una leggerezza aerea: </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span> </span><span lang="EN-GB">- <i>Parfait. Et cette affaire de l'assassin Chapmann ?...Avez-vous interviewé les jurés qui doivent siéger aux assises ?</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><i><span style="font-family: Georgia;">- Oui, et tous sont d'accord sur la culpabilité de telle sorte que l'affaire ne sera même pas renvoyée devant eux. </span></i><i><span lang="EN-GB" style="font-family: Georgia;">L'accusé sera exécuté avant d'avoir été condamné...</span></i></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><i><span lang="EN-GB" style="font-family: Georgia;">- Exécuté... Electriquement ?...</span></i></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><i><span lang="EN-GB" style="font-family: Georgia;">- Electriquement, monsieur Bennett, et sans douleur... à ce qu'on suppose, parce qu'on n'est pas encore fixé sur ce détail.</span></i></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxcSje9SzD57vF7WHkFx5PY70NTRk7oQ137Iili-WqkAJtEYUi2HdAjQ3epF2mNK-487R6UdxyWEHNjHePV-KcSiutqRIrfufN9Z0fkRa9y0w2N6RoDf-vQBkInpDmpuD-LxFA5hixHjgQ/s1600/giornata.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxcSje9SzD57vF7WHkFx5PY70NTRk7oQ137Iili-WqkAJtEYUi2HdAjQ3epF2mNK-487R6UdxyWEHNjHePV-KcSiutqRIrfufN9Z0fkRa9y0w2N6RoDf-vQBkInpDmpuD-LxFA5hixHjgQ/s200/giornata.jpg" width="126" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">Qui (e altrove) Verne si mostra attento osservatore e cosciente analizzatore dei legami stretti tra innovazione, società, economia, diritto e soprattutto mezzi di comunicazione. Il monsieur Bennett al quale si rivolge l’anonimo interlocutore nella frase qui sopra è Francis Bennett, padrone del più grande impero mediatico mondiale, e attraverso la sua struttura più potente, il quotidiano Earth-Herald (l’accuratezza delle previsioni della sf è un mito privo di rilevanza) è di fatto l’uomo più potente del mondo, presso il quale mendicano attenzione o denaro tutti, dallo scienziato brillante al plenipotenziario delle nazioni straniere al rappresentante delle popolazioni asservite. Bennett è una reificazione del potere quale Verne lo vedeva nel lontano futuro e a noi pare fin troppo contemporaneo: una sorta di Frankenstein che assembla però individui dello stesso genere: da Pulitzer a Hearst – e il Cittadino Kane – fino a Murdoch e Berlusconi. Un Frankenstein benevolo, sia chiaro, che incoraggia gli scrittori al suo soldo che non hanno abbastanza successo a prendere esempio da quelli che sanno dare al pubblico ciò che il pubblico vuole; che decida del futuro delle nazioni sedendo come in una sedia arbitrale dalla quale amministra la giustizia internazionale; che decide del futuro degli individui negando o concedendo il suo appoggio. Un Frankenstein, francamente, che questa lente deformante verniana ci restituisce nella sua sinistra deformità. Una deformità che non è dell’individuo: l’amabilità di Bennett è chiara al di là dell’alacrità da ape bottinatrice che ne fa l’epitome del <i>workaholic</i>. La deformità è del ruolo, della concentrazione di potere che l’uomo racchiude. Incontriamo così qualcosa che ci suona molto, troppo contemporanea: <i>Francis Bennett eut rapidement expédié ceux qui n'apportaient que des idées inutiles ou impraticables. L'un ne prétendait-il pas faire revivre la peinture, cet art tombé en telle désuétude que l'Angélus de Millet venait d'être vendu quinze francs</i>.<i> </i></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">A fronte di queste e altre analisi che appaiono – o temiamo siano, come la precedente – profetiche, la miriade di invenzioni azzeccate o meno, disseminate nel corpo del racconto, e per lo più desunte da Robida, ci appaiono come il festoso colore che incornicia e rende più netti e sinistri i contorni di una storia che prefigura un futuro più grigio e problematico della sua copertina e di come la pubblicità sa propagandare. Seppure la sfiori soltanto e la sottostimi anche, l’influenza della pubblicità è chiara a Verne, così come i meccanismi attraverso i quali opera una multinazionale quale l’Earth-Herald; egli scrive: <i>La salle adjacente, vaste galerie longue d'un demi-kilomètre, était consacrée à la publicité, et l'on imagine aisément ce que doit être la publicité d'un joumal tel que le Earth-Herald. </i></span><i><span lang="EN-GB" style="font-family: Georgia;">Elle rapporte en moyenne trois millions de dollars par jour. </span></i><i><span style="font-family: Georgia;">Grâce à un ingénieux système, d'ailleurs, une partie de cette publicité se propage sous une forme absolument nouvelle, due à un brevet acheté au prix de trois dollars à un pauvre diable qui est mort de faim.</span></i><span style="font-family: Georgia;"></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib0MurI_OYPSm8lHAfd5DmTcRFg2d1OK7xT68kRUnXvlR0BA3WyYqT0NEJxMH8daaTUa8tFLH14jKJ8p9zXTASTrR354wJEDN0qcny5hcifi-OmmCUHKbKuAsg6gUeDXnsom_VkUlqQiVt/s1600/Jules_Verne.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib0MurI_OYPSm8lHAfd5DmTcRFg2d1OK7xT68kRUnXvlR0BA3WyYqT0NEJxMH8daaTUa8tFLH14jKJ8p9zXTASTrR354wJEDN0qcny5hcifi-OmmCUHKbKuAsg6gUeDXnsom_VkUlqQiVt/s320/Jules_Verne.gif" width="232" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Jules Verne da giovane</i></span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: Georgia;">A distanza di centoventi anni dalla sua concezione e pubblicazione questo racconto vede scolorire sempre più i suoi contenuti evidenti e di tutta superficie, quei contenuti che probabilmente fecero la fortuna dello scrittore. Ma vede soprattutto affiorare e divenire sempre più attuali, chiari, concreti e in grado di allungare nel futuro la propria ombra quei contenuti che più apparivano riposare tra le pieghe delle pagine verniane, invitando a una lettura attenta e a una riflessione ancor più consapevole.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: Georgia;">Il racconto è leggibile a questo indirizzo: <a href="http://jv.gilead.org.il/feghali/e-lib/journee_journaliste_amer.html">http://jv.gilead.org.il/feghali/e-lib/journee_journaliste_amer.html</a></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com7