Le streghe portano guai. Lo scopre a sue spese – in senso figurato ma anche proprio – il capitano Pausert del pianeta Nikkeldepain, comandante e unico passeggero della Venture 7333 nonché mercante interplanetario. Ma sono anche donne – be’, oddio donne è un termine impegnativo in riferimento a tre ragazzette di età varie, la più grande forse sui quattordici anni. Diciamo che sono comunque un progetto di damigelle in pericolo, e i generosi capitani delle storie di fantascienza reagiscono sempre dinnanzi a tal fatta di personaggi. Per cui, lancia in resta e si corre al salvataggio! Insomma, non è tutto esattamente così; e del resto non per caso siamo in un racconto di Schmitz.
Figlio di genitori americani, James H. Schmitz visse nella natìa Germania fin quasi alla vigilia della II Guerra Mondiale, per poi trasferirsi negli USA, combattere in guerra, e infine dopo gli inevitabili altri lavori iniziare stabilmente l’attività letteraria. Come scrittore il suo nome è legato a doppio filo alla fantascienza classica per eccellenza: la space-opera, e nel corso degli anni ’50 e ’60 egli fu uno degli autori più tipici della Astounding/Analog diretta da John Campbell. Ma contemporaneamente fu considerato non meno atipico. Le sue briose storie di avventure interstellari sono infatti popolate di figure femminili non solo numerose ma che soprattutto si comportano da pari a pari con quelle maschili, e se serve salvano anche il mondo come ogni eroe diligentemente fa: la parità dei sessi, in una letteratura che scontava fortemente il suo originario maschilismo – se non machismo – era ben al di là da venire, allora, e questo fa di Schmitz quasi un pioniere. Per contro, questa parità era dovuta in apparenza più a una riduzione dell’eroina ai canoni dell’eroe maschio, e forse non ha del tutto torto John Clute a sostenere nell’Encyclopedia of Science Fiction che l’eterodossia di Schmitz in materia fosse più apparente che altro. Quanto meno per Le Streghe di Karres, però, mi permetto di dissentire da Clute con vigore: Maleen, Goth e la Leewit , le tre sorelle che si affiancano al malcapitato Pausert nei vagabondaggi spaziali di pianeta in pianeta sulla Venture sono molto più sottilmente femminili di quanto ci si aspetterebbe. Una sottigliezza da occhio maschile, certamente (la donna vista dall’uomo è diabolica, si sa ;-)). Ma l’accuratezza di Schmitz nel costruire tre figure credibili di ragazza, seppure non approfonditissime, è evidente, e assai apprezzabile soprattutto nell’economia di una storia che principalmente è e resta uno degli esempi migliori e più godibili di avventura spaziale brillante; e lo è, perché, come suggerisce Janet Kagan nell’introduzione a The Best of James H. Schmitz (pubblicata come prefazione dell’edizione Nord del romanzo Le Streghe di Karres), il Nostro non si perita di usare ogni clichè possibile della vecchia sf, ma sfruttandoli tutti per andare dove pare a lui e imprimere, con strumenti prevedibili, sterzate imprevedibili alla trama. Del resto questa storia è senza il minimo dubbio una divertentissima scorribanda galattica, ma a lettura ultimata e con il sorriso che non abbandona le labbra del lettore ci si accorge dell’eleganza e leggerezza con le quali Schmitz ci ha illustrato, prendendola per i fondelli, l’eterna tirannia esercitata su chi è anticonformista da parte dell’ottusità, dell’ufficialità, dell’ortodossia, e dunque del conformismo: il pianeta Karres è, se mi si permette, un pianeta femmina; e questa volta tale sua “femminilità” non credo sia condizionata dagli occhi maschili dell’autore. Lo stile di Schmitz non è certamente ininfluente in merito: come scrittore forse non era venuto a miracol mostrare, ma la sua scrittura frizzante e arguta, ricca di onomatopee espressive, i dialoghi assai vivaci concorrono alla perfetta riuscita della storia in un meccanismo narrativo coinvolgente e che si legge avidamente.
The Witches of Karres è il lavoro più noto di James Schmitz, e specialmente lo è la versione ampliata di questa novelletta del 1949, che egli pubblicò nel 1966 aggiungendo all’opera originale altre sezioni e raggiungendo in tal modo la dimensione del romanzo (leggibile a questo indirizzo: http://jiltanith.thefifthimperium.com/Collections/TheWitchesofKarresChapters/TheWitchesofKarres_Link.php - i primi due capitoli corrispondono alla novelletta originaria). Più noto e meglio riuscito insieme - quanto meno in base al poco che se ne è visto in Italia – al ciclo di storie di Telzey Amberdon, la più famosa protagonista femminile di Schmitz.
La prima edizione italiana del romanzo
Poco purtroppo si è visto di suo in Italia. Del ciclo di Telzey credo solo un romanzo, Il gioco del Leone, oltre trent’anni fa su Galassia; uno di quello di Trigger Argee, altra eroina schmitziana, ormai perduto nelle pieghe del tempo; dei racconti del ciclo di Agent of Vega ne è stato pubblicato uno nelle carbonare edizioni Perseo. Un desolante troppo poco per l’autore delle Streghe, uno dei veri classici della space-opera.
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