domenica 12 settembre 2010

Il Classico – Lettere d’amore (The love letter 1959) di Jack Finney (1911-1995)


Jack Finney è oggi ricordato (ammesso che lo sia) perché dal suo romanzo del 1955 The Body Snatchers fu tratto il noto film di Don Siegel L’Invasione degli Ultracorpi (1956) con relativi remake, sequel, annessi e connessi. Peccato. Il film è un caposaldo della cinematografia fantascientifica, ma la sua fama e immagine non solo schiacciano quelle di un romanzo interessante nonostante certe incoerenze di trama e inconsistenze narrative, ma soprattutto hanno praticamente ridotto Finney a questo solo romanzo. C’è invece altro, e di meglio.

Nato nel Wisconsin di Simak, educato nell’Illinois di Bradbury, al suo meglio Finney può ricordare l’intimo umanesimo dell’autore di City, ma è soprattutto accostabile negli intenti stilistici e in certo “impressionismo” a quello delle Cronache Marziane. Nell’introduzione alla sola pubblicazione italiana di questo racconto che mi risulti (Storie del tempo, Galassia n.207, 1975), i dioscuri Vittorio Curtoni&Gianni Montanari parlano per Finney di fantascienza crepuscolare. Crepuscolare senza dubbio, fantascienza lo direi con cautela. Del resto Finney, scrittore dal 1946, non fu mai un autore organico alla sf di genere pur avendone scritta sin dal 1951: per dire, questo racconto fu pubblicato in origine sul Saturday Evening Post, non su una delle riviste specializzate. Autore eclettico, egli fu uno dei tanti scrittori di talento che popolarono le riviste americane spaziando abilmente tra i generi e non, costruendo carriere su romanzi e racconti scritti con competenza, e dando l’occasionale zampata di alta classe. The love letter è senza dubbio una di queste zampate, un racconto breve di sottile intensità, capace di ingenerare commozione nel senso migliore del termine, e scritto con uno stile misurato e trattenuto, con finezza letteraria e attenzione al dettaglio di atmosfera e alla resa impressionistica della narrazione (dal racconto, scopro in rete, è stato tratto nel 1998 un film per la tv, che francamente a naso non sono impaziente di vedere). Vi ricorrono i temi privilegiati della narrativa di Finney, il tempo e la nostalgia, comuni alle sue opere migliori: gli altri racconti antologizzati nel volume (in originale la raccolta è intitolata, dal racconto eponimo, I love Galesburg in springtime – Galesburg è la città dove Finney crebbe) e il romanzo del 1970 Time and again, in italiano Indietro nel tempo. Senza dimenticare The Woodrow Wilson Dime del 1968, in italiano La monetina di Woodrow Wilson.

The love letter ha una trama di semplicità disarmante: un ragazzo ama una ragazza. Da un punto di vista strettamente narrativo, di ciò che avviene, non c’è altro. E tuttavia su un tema tanto minimo (e soprattutto frequentato…) Finney riesce a imbastire una storia in grado di colpire il lettore ed emozionarlo profondamente.

Jake Belknap è un giovane uomo, vive a New York nel 1959 nel quartiere di Brooklyn, la sua famiglia è lontana in Florida. Ha un lavoro dignitoso e vive la vita dello scapolo senza scapestrataggine particolare. Vagheggia l’amore; oserei dire coniugando alla giovanile capacità di sognare una punta di borghese assennatezza. Un bravo ragazzo, nel senso più buono del termine. Il giovane acquista da un antiquario una scrivania, ed esplorandone i cassetti scopre dei comparti segreti; nel primo di essi trova della vecchia carta da lettere in bianco, dell’inchiostro conservatosi attraverso i decenni e una vecchia penna. E una lettera. La lettera è firmata nel 1882 da Helen Elizabeth Worley, una ragazza vissuta a Brooklyn a pochi isolati alla casa di Jake. In ossequio al costume del tempo la giovane donna sta per sposare qualcuno scelto per lei e del quale non è innamorata. La lettera è indirizzata invece all’uomo che ama. Solo che quest’uomo non esiste, è il vagheggiamento di un uomo. Non che Helen sia pazza, la lettera non è in alcun modo un delirio: è un voto, un augurio, l’espressione di un desiderio che ella sa essere del tutto eventuale, quasi certamente destinato a restare tale. Anche in Helen si ravvisano giovanile ardore e borghese assennatezza congiunti in una ferrea unione. Non siamo però nella realtà e neppure in un racconto realistico, per cui qualcosa accadrà.

Spinto da un impulso ineffabile Jake decide di rispondere alla lettera. Detta così ovviamente suona come una sciocchezza da povero esaltato. Ma come spiega Jake stesso (o più correttamente come scrive Finney facendo arrampicare Jake sugli specchi ;-)) egli si è ritrovato a leggere la lettera di Helen a notte fonda, quando il silenzio e il buio esterno paiono mutare il tessuto stesso della realtà, confondono lo spirito e donano corpo a idee che altrimenti nessuno avrebbe. Nessuno compos sui.

Di qui in avanti si dispiega la sapienza descrittiva e narrativa di Finney; ammiriamo l’accuratezza pittorica e lo spessore psicologico con cui ricrea il vagabondare notturno di Jake fino al vecchio ufficio postale del quartiere, risalente ai tempi in cui Helen era nata e poi era stata bambina e infine giovinetta, dove imbuca con tutti i crismi la lettera che le ha indirizzato. E il vagabondare diurno in pellegrinaggio alla casa che la ragazza aveva abitato, e che ora è diroccata e in rovina, conservando tuttavia il potere evocativo della nostalgia della sua pura presenza fisica. Le ricerche documentali in biblioteca sulla New York di ottant’anni prima, su Brooklyn e le sue strade. Queste sfumature, talvolta nuances tenui e delicate sono il cuore del racconto e sono al cuore del racconto.

Anche se qualche curatore di fantascienza potrebbe pensare che si tratti di dettagli non strutturali. Ma tant’è.

Scrivevo più sopra che crepuscolare è un aggettivo quanto mai adatto a Finney (e a questa storia), ma di certo fantascienza va usato con maggior precauzione. Non che sia di qualche importanza, sia chiaro. E siamo comunque nel campo del fantastico (del fantastico puro, a mio parere); non stupirà quindi che Helen risponda alla lettera di Jake.

Come e perché ciò accade non è importante, e anzi il tentativo di Finney di dare una qualche spiegazione è la sola parte debole e del tutto farlocca del racconto. Fatto sta che attraverso i decenni che li separano e sempre li separeranno, Helen e Jake vivono o hanno vissuto una breve eppure durevole - e intensa - relazione emotiva. Un pugno di lettere, ma un ricordo che ciascuno serberà fino alla morte.  Un amore privatissimo, irreale e surreale, eppure profondo e consistente.

Finney mostra una mano controllatissima nella scrittura e nel maneggiare una materia tanto a rischio di sfuggire e trasformarsi in corrivo romanticismo a buon mercato. La dimensione fantastica lo aiuta senza dubbio a mantenere il racconto nei binari di uno struggimento venato di tanta malinconia e nostalgia da superare ogni rischio di svilimento, ma la sua prosa misurata è gran parte del risultato. Che poi un argomento come il viaggio nel tempo, per quanto qui il viaggio sia sui generis, venga risolto su una tonalità narrativa che è meglio rubricata sotto il fantastico puro, è un dettaglio irrilevante: questo lettore di fantascienza amerà The love letter per le emozioni che gli ha dato. :-)

Il racconto è leggibile in inglese a questo indirizzo:


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