Gli itinerari che ci
conducono a una lettura possono essere i più vari. Così Makkox: A. E. Van Vogt sfornava merda a rullo di
rotativa, me lo ritrovavo sempre tra i coglioni, era una settimana sprecata
l’urania di van vogt, ma insomma, ero ragazzino, non selezionavo molto, il mio
tempo era infinito, mi mangiavo anche a. e. van vogt, scuotendo la testa, sputando
i semi. Lui ci metteva un sacco di mostri coi tentacoli e astronavi e
cagate di cartapesta indigeribili così, nelle sue storie. Si può leggere
tutto qui: http://makkox.it/2013/06/25/dopo-matheson/. Makkox
è un autore di fumetti che mi piace molto, le sue strisce raccontano con
profonda e acuta visione analitica di quella geografia umana truffaldina e
marcescente che è l’Italia di oggi, e di quel suo abitante antropologicamente
deficitario che è l’Italiano di oggi (ma più probabilmente l’Italiano di
sempre, che è colui che ha partorito, educato, conformato l’esemplare odierno).
Però rientra tranquillamente nel ventaglio delle realtà possibili il fatto che
Makkox, di fantascienza, non capisca una mazza. Come di fatto dimostrano le sue
parole. Neppure a me è mai particolarmente piaciuto l’autore canadese; è
tuttavia deprimente che si sia ancora così spesso fermi a quella visione tanto
angusta, quel Cosmic Jerrybuilder
(costruttore di scadenti trame cosmiche) con cui Damon Knight bollò van Vogt
quasi settant’anni fa. L’anatema knightiano perseguitò a lungo van Vogt che,
per riceverlo a sua volta, dovette attendere che allo stesso Knight venisse
conferito prima di lui il massimo riconoscimento della carriera di un autore di
fantascienza: il Grand Master Nebula Award, assegnato - solo dal 2003 con cadenza
necessariamente annuale - dall’associazione degli scrittori americani di
fantascienza e fantasy, la SFFWA (oggi Damon Knight Memorial Grand Master
Award, per onorare in Knight il fondatore dell’associazione). Knight ricevette
il titolo nel 1994; van Vogt nel 1995: a spanne, con un quindicennio di
ritardo, e quando l’Alzheimer stava ormai aggredendo quella sua mente con la
quale aveva sempre voluto indagare, narrare, ma più di ogni altra cosa sognare
la complessità più misteriosa e impervia della realtà cosmica e di quella
umana. Così Makkox mi ha stimolato a rileggere The Rull, uno di quei capolavori vanvogtiani con alieni
cattivissimi e mostruosi e una guerra senza quartiere per il futuro dell’umanità,
e oggi addirittura The Monster, un
racconto programmatico sin dal titolo, dove ci sono appunto mostri tentacolati,
astronavi potentissime e cagate di cartapesta indigeribili, per citare di nuovo
il Nostro. A parte il fatto che il “Monster” del titolo non è alcuno dei tizi
tentacolati ma è un qualcuno che, intuitivamente, è un essere umano del futuro.
The Monster approda su Urania, nel fascicolo 1134 del 1990. |
Quel Cosmic Jerrybuilder (e la sua ancor più colorita trasposizione
makkoxiana) è deprimente non perché non sia vero – lo è: le trame di van Vogt
sono per solito raffazzonate, confuse, caotiche e incoerenti, e la plausibilità
in quello che scrive è generalmente assente. Anche se a volte ERA assente - al
suo tempo – ma oggi può adombrare l’idea di un uomo la cui immaginazione
(sbrigliata e libera ancorché confusa, caotica ecc.) fosse molto avanti: nella sua
introduzione a Destinazione Universo,
una delle moltissime antologie che hanno ospitato The monster, Sandro Pergameno scrive: Un altro punto fondamentale dei «contenuti» delle storie del Nostro
sono le sue «mitologie scientifiche», cioè le scienze da lui create di volta in
volta. Spesso van Vogt si rifà a teorie già esposte da alcuni pensatori e
scienziati del nostro tempo, interpretandole tuttavia in maniera estremamente
personale. Abbiamo così (…) e la de-differenziazione e totipotenza delle
cellule del corpo umano che permette le imprese più pazzesche al protagonista
di The beast. Noi viviamo oggi un tempo in cui si studiano le cellule
staminali e si creano artificialmente cellule staminali pluripotenti, un tempo
nel quale quella totipotenza ricordata da Pergameno verrebbe tranquillamente
utilizzata da un Robert A. Heinlein redivivo più che da un van Vogt di nuovo
tra noi: quell’Heinlein che correttamente Alexei Panshin, riportato qualche
frase prima da Pergameno, definisce “antipodo” dell’autore canadese
(sottinteso: il campione della fantascienza “razionale” contro quella “irrazionale”
di AEvV).
Quel Cosmic Jerrybuilder è deprimente perché è così desolatamente
superficiale.
1979: in Destinazione Universo per la Cosmo Oro della Nord. |
Non è tanto e non è solo
quanto affermava Philip K. Dick, che dello scrittore originario del Manitoba
era un estimatore, e cioè che diversamente dagli autori più “razionali” di lui
(massime, senza dubbio, il già citato Heinlein e Isaac Asimov) le trame
sconclusionate e anarcoidi di van Vogt erano più vicine a rappresentare la vera
realtà. Anche qui, naturalmente, si dovrebbe più correttamente parlare di
percezione immediata della realtà: è a questa che è così maledettamente simile
a volte la prosa vanvogtiana. La fascinazione di Dick per van Vogt appare
naturale in questo senso, e non v’è dubbio che la sensazione di spaesamento che
lasciano certe pagine di van Vogt sia la stessa che possiamo avere messi di
fronte a certi accadimenti della vita. Ma non è soltanto questo. E neppure è
solo quello che dice James Gunn, ancora una volta citato da Pergameno: Le storie di van Vogt non tentavano di
presentare un ritratto razionale del mondo né di fare una consistente
previsione scientifica del progresso futuro; esse trattavano i temi della
fantascienza come se fossero stati temi favolistici. Non è soltanto la
costruzione di un edificio mitologico, a un tempo modernissimo nel luccicare di
astronavi tanto avveniristiche da apparire da subito impossibili e
contemporaneamente così antico, eterno, nel risvegliare i demoni ancestrali
della specie umana (e basti l’esempio di Coeurl, il “Distruttore Nero” del
primo racconto di AEvV.
Poi ristampato nel 1995. |
Oltre a quanto sopra vi è,
sovrastante e sottostante mi viene da dire, la descrizione di un universo
paranoide nel quale la paranoia umana trova linfa e legittima collocazione. A
dispetto di quanto ancora affermava Knight, che le psicologie dei personaggi di
van Vogt fossero di cartapesta (e ancora una volta è verissimo, in senso
superficiale), è come se l’opera vanvogtiana fosse incentrata su quello
specchio, deformante ma anche raffinatissimo, che è l’abito paranoico che attraversa
la storia umana e che ritroviamo nelle grandi figure superomistiche della
storia, nella propensione culturale alla guerra che interessa infinite culture
umane, nelle strutture del potere interno di quelle stesse culture; che vediamo
benissimo in atto ai nostri giorni: viviamo in società di cui non è difficile
intravedere il collasso futuro causato dai costi – economici, umani, morali –
delle strutture di potere edificate sulla paranoia. È tutto questo che Alfred
van Vogt proietta nel futuro e negli altrove descritti nelle sue opere. Ma del
resto, è la stessa psicologia di van Vogt che troviamo trasposta nella sua
opera, permearla completamente. L’uomo che per oltre un decennio rimase
intrappolato tra le maglie di un’organizzazione (mentale in primo luogo)
paranoica come poche altre quale era la Dianetica dello stregone Hubbard, poi
evolutasi nella Scientologia, è un uomo che vive un’ossessione per l’ordine
interno e il controllo della propria mente, è una personalità infantile,
paranoide, affascinata dal messianismo e dal superomismo. La sua intera opera è
un diario intimo delle sue ossessioni, una poderosa proiezione all’esterno di
un mondo fantastico e fantasticato interiore così sovrabbondante da tradursi in
un elenco rigoglioso di romanzi e racconti, uno più improbabile dell’altro, e
in genere uno la ripetizione (psicologica) dell’altro. I suoi personaggi hanno
una psicologia di cartapesta perché essi, come anche ogni fenomeno e concetto
delle sue opere, non sono altro che aspetti della sua psicologia, ed è il
complesso della sua opera a manifestare la profondità psicologica: del proprio
autore. Alfred E. van Vogt ha sempre raccontato se stesso e la sua psicologia
estremamente complicata e liminare, e attraverso se stesso ha raccontato il
disagio paranoico che percorre la storia umana.
Come Dalla cenere risorgerai, in appendice a Harrison nel 1962. |
Per dare un’ultima volta
torto a Damon Knight, non è che van Vogt fosse incapace di visualizzare una
scena (e per l’ennesima volta questo è vero, a livello superficiale). È che lo
scrittore canadese non scriveva per far visualizzare una scena al lettore
(probabilmente non avrebbe davvero saputo come fare) ma per stimolare in lui
sensi meno razionali. La prosa di van Vogt non è descrittiva, è evocativa. È
indirizzata all’inconscio, non alla parte razionale della mente del lettore; e
dell’inconscio va a sollecitare le paure infantili, stratificatesi negli anni
quando la coscienza era appena in formazione o anche prima. L’indeterminatezza,
la confusione, la non linearità sono tutte vettori privilegiati di questo
movimento dalla pagina dello scrittore alla psiche del lettore. Sono quanto
trasformano un autore obiettivamente non tra i più letterariamente dotati in un
narratore eccezionale.
Un giovane AEvV |
Sin qui non ho ancora parlato
di The monster, il racconto di cui
questa vorrebbe essere una recensione. In realtà l’ho fatto, perché questo è un
racconto così tipicamente vanvogtiano, sin dal titolo come dicevo più sopra,
che quanto detto lo descrive già perfettamente. La trama e i contenuti
specifici del racconto, come spesso è per le opere di AEvV non sono poi così
importanti – non rispetto al colore delle pagine, alle sensazioni che esse
evocano. Dei mostri tentacolati, membri di una razza aliena molto potente – e molto
cattiva - giungono su un pianeta completamente morto, intuitivamente la nostra
Terra. Resuscitano in sequenza alcuni degli abitanti vissuti sul pianeta in
varie epoche (sono alieni MOLTO potenti, quindi è del tutto NORMALE che
riportino in vita, perfettamente coscienti e funzionanti, degli individui ridotti
a ossa friabili da molti millenni). L’ultimo degli individui in questione
ingaggerà con i tentacolati – che sono MOLTO cattivi, come si ricorderà - un
confronto serrato di strategie psicologiche contrapposte, basato su (più o
meno) misteriosi poteri mentali e tecnologie potentissime. Puro van Vogt,
insomma. O per dirla con Makkox: cagate
di cartapesta indigeribili. In questa cagata, però, vi è, perfettamente
dispiegata in ogni pagina, in ogni parola, la paranoia che percorre tutta l’opera
vanvogtiana, la paranoia che lo scrittore distillava dalla storia della nostra
specie e dall’epoca in cui viveva, e che proiettava all’esterno di sé spedendola
nei futuri immaginari nati dalla sua fantasia. Una fantasia tanto infantile
quanto, appunto, poetica e onnipotente, in grado di dialogare con quanto di
pre-conscio e di pre-adulto è in noi: e che spesso governa non poco dei nostri
pensieri, emozioni e azioni. Nell’introduzione all’antologia Destinazione
Universo, lo stesso van Vogt scriveva in questi termini del racconto: Non mi sono reso conto che Il
mostro (The Monster) fosse un bel racconto
finché non l’ho riletto sulla rivista. Si tratta di una storia con un finale
ottimistico sul più remoto futuro dell’uomo e sulla sua grandezza. È un
bel racconto, indubbiamente; non riesco però a
essere d’accordo con AEvV sul finale ottimistico: non trovo nulla di
ottimistico nel trionfo di paranoia umana del finale del racconto. Però io non
sono van Vogt e non ragiono con la sua testa.
Il fascicolo di Agosto 1948 di Astounding Science-Fiction |
Pubblicato in origine sul
numero di agosto del 1948 di Astounding
Science Fiction, The Monster ha una lunga storia di pubblicazioni italiane,
nel corso della quale si è incarnato in tre titoli diversi. Titoli, una volta
tanto, tutti precisi e ben scelti. Il primo, Dalla cenere risorgerai, utilizzato per la sua prima pubblicazione,
in appendice a un pionieristico volume della Cosmo Ponzoni del 1962 che presentava
la prima edizione del Ratto d’Acciaio di
Harry Harrison, non trovò fortuna nelle successive edizioni. Resurrezione, il
titolo che personalmente preferisco, venne usato per la prima volta nel 1969 su
Galassia, nell’antologia vanvogtiana Le
storie delle lune e tornò in seguito nell’edizione su Urania di un’altra
antologia dell’autore canadese, Creature
(che curiosamente nell’originale si intitolava Monsters). Il titolo filologicamente più corretto, Il Mostro, apparve per la prima volta
nel 1979 nella citata antologia Destinazione
Universo, e da allora è stato usato molte altre volte.
Nessun commento:
Posta un commento