Mi è capitato di recente, nel corso di una discussione online su un blog, di imbattermi in una di quelle deliziose affermazioni dogmatiche che con allegra spensieratezza ignorano gioiose la realtà storica; ovvero che la fantascienza, imprescindibilmente, si occuperebbe di e baserebbe sul futuro. Ovvio è che, essendo la sf la letteratura della possibilità, essa abbia come locus privilegiato l’immaginazione del nostro futuro; ma volendo porre la cosa come dogma imprescindibile (è questo l’errore) ci si consegna all’abbraccio mortale dell’allegra spensieratezza: la fantascienza, praticamente da quando è nata e si è riconosciuta come tale, si occupa non meno di riscrivere, reinventare e inventare tout court il passato. Questo è ancor più ovvio: se la sf ha una base, essa è certamente da rinvenire nel what if…, e inoltrare la propria immaginazione nel passato per riplasmarlo e piegarlo alla nostra volontà o al puro uzzolo è forse perfino più gustoso che non profetizzare il futuro (nostra volontà è ovviamente quella dello scrittore). Insomma, facciamo attenzione a non mutare una naturale preferenza in apodittica statuizione. Ucronia, storia alternativa e simili rientrano a pieno titolo nella sf, e pour cause.
Qui di seguito propongo una carrellata di romanzi che, da dogma, non sono fantascienza; ma che, curiosamente, da sempre gli appassionati e gli addetti ai lavori classificano per tale. L’ordine è cronologico tranne che per il primo, che in certo senso è una metaucronia e si pone a base teorica.
Al solito, si tratta di un elenco puramente indicativo, esistono molti altri eccellenti romanzi sull’argomento che ometto per ovvii motivi di spazio e per evitare troppe ripetizioni su un argomento.
La fine dell’Eternità (The end of Eternity, 1955)
di
Isaac Asimov (1920-1992)
Gli Eterni manipolano la Storia dell’uomo. Passato, presente, futuro: nulla rimane intentato perché lo sviluppo dell’umanità sia quello scolpito a chiare lettere nell’Eternità; o meglio quello continuamente riscritto e sovrascritto sull’Eternità, affinché la storia umana sia perfetta, asettica, controllata in ogni suo minimo dettaglio. Finché Anrew Harlan, un tecnico dell’Eternità - e l’amore - si metteranno di mezzo e incepperanno il ben oliato meccanismo. E il Destino tornerà libero nelle mani degli uomini.
L’abisso del passato (Lest darkness fall, 1939)
di
L. Sprague de Camp (1907-2000)
Il romanzo di de Camp è uno dei più venerabili classici del sub-genere variamente articolato su passati alternativi e simili. E classicissima è la situazione di partenza che vede un uomo del nostro tempo sbalzato improvvisamente nel passato. Qui, è la Roma dell’alto medioevo, ancora non genuinamente nell’Età di Mezzo, ma non più del tutto tardoimperiale: un ibrido dove la vita è sicuramente “interessante”. Per sopravvivere il protagonista dovrà ingegnarsi, e ingegnandosi cambiare le cose… l’avventuroso prevale, insieme alla grande maestria dell’autore nell’avvincere il lettore con intelligenza.
Anniversario fatale (Bring the jubilee, 1953)
di
Ward Moore (1903-1978)
La svastica sul sole (The man in the high castle, 1962)
di
Philip K. Dick (1928-1982)
INRI (Behold the Man, 1966-69)
di
Michael Moorcock (n.1939)
INRI è il romanzo che Moorcock ricavò espandendo la sua novella del 1966 Ecce Homo. Per certi versi, è una meta storia alternativa come il romanzo asimoviano che apre la parata. Profondamente dissacrante nella forma – l’autore britannico non risparmia nessuna prevedibile presa per i fondelli della sacra famiglia della religione cristiana, compreso un Gesù mentalmente disabile – il romanzo (e la novella in precedenza) possiede però un poderoso nucleo filosofico che lo innalza ben al di sopra della satira ben fatta: qual è il senso del mito soteriologico del Messia? E più in generale, la realtà storica è davvero decisiva perché un mito abbia senso? Quando, insomma, Karl Glogauer, il pazzoide protagonista del romanzo, giunto dal nostro presente nella Palestina dei tempi di Pilato, ossessionato dal suo complesso messianico prende il posto del Gesù “reale” e ripercorre passo per passo, per quanto è nella sua memoria, la vita del Gesù dei vangeli, il lascito mitico e dottrinario del cristianesimo perde di significato perché Karl non smette di essere lo psicotico che è neppure quando arriva fino in fondo, assumendo su di sé anche il calvario?
Pavana (Pavane, 1968)
di
Keith Roberts (1935-2000)
Aquiliade (The Aquiliad, 1983)
di
Somtow Sucharitkul (n.1952)
Basil Argyros, agente dell’Impero di Bisanzio (Agent of Byzantium, 1994)
di
Harry Turtledove (n.1949)
Dal maestro di storia alternativa della fantascienza contemporanea abbiamo una deliziosa antologia di racconti su una Bisanzio che non ha mai dovuto fronteggiare le armi arabe e, dopo secoli e nei secoli dei secoli, continua a farsi la forca con la Persia , eredità del conflitto che già oppose gli iranici ai romani. Basil Argyros è un agente segreto della potenza greca, e Turtledove gli costruisce attorno uno scenario che rende perfettamente verosimile la sua narrazione di… spy story molto alternativa.
Il nostro agente in Giudea, 2000
di
Franco Mimmi (n.1942)
La parte dell’altro (La part de l’autre, 2001)
di
Éric-Emmanuel Schmitt (n.1960)
In un raffinato alternarsi, come in un gioco di specchi, della storia dell’Adolf Hitler che conosciamo e di un Adolf che è invece stato ammesso all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, Schmitt demistifica con rara intelligenza la mistica dell’orrore disumano del personaggio Hitler per consegnarlo a un orrore molto più concreto, autentico, umano. E in definitiva molto più terribile. La crudeltà è dentro ciascuno di noi, e sta a noi non farcene travolgere; né cercare giustificazioni esterne alla normalità, alla banalità della nostra natura umana, per quello che riusciamo a fare, con noncuranza, ai nostri simili.
Gli anni del riso e del sale (The years of rice and salt, 2002)
di
Kim Stanley Robinson (n.1952)
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