Che il suo vero nome fosse
quel Ramon, seguito da una sfilza di altri nomi degni di un Grande di Spagna
con una schiatta millenaria sulle spalle, oppure il ben più prosaico Leonard
Knapp riferito in una intervista a Locus dalla sorella Sarah che gli è
sopravvissuta, “Lester del Rey” è stato un autore di rilievo primario della
fantascienza di matrice positivista propugnata con forza da John Campbell sulle
pagine di Astounding, principale
rivista americana di sf negli anni ’40 dello scorso secolo, da lui diretta per
oltre tre decenni, fino alla morte. In seguito, nel corso degli anni ’50, del
Rey si affermò come una delle principali firme del campo della sf nella
produzione di juveniles, romanzi che
oggi si direbbero Young-adult,
spartendo la maggior gloria con Andre Norton e Robert Heinlein. Se non vi è
dubbio che la gran parte di quelle opere fossero alimentari, come certamente
anche molte del periodo precedente, non è meno vero che nei lavori dove volle o
poté permettersi di essere più curato, soprattutto racconti e novelle scritti
dal suo esordio nel 1938 e nei circa vent’anni successivi, del Rey abbia saputo
mostrare una cifra stilistica e di contenuti personale e la capacità di
attrarre il lettore con il fascino delle trame avventurose sempre abbinato a un
rigoroso stimolo alla riflessione. Nella
voce a lui dedicata dalla Encyclopedia of Science Fiction curata da John Clute
e Peter Nicholls, Brian Stableford scrive di del Rey che “LDR was a versatile but rather erratic writer who never fulfilled his
early promise. His
best work appears in the collections (…)”. E l’autore britannico
commenta con acume: di rado infatti del Rey parve mantenere quelle promesse (e
premesse) poste in alcuni dei suoi primi lavori, in particolar modo Helen O’Loy, scritto agli esordi, che
pur presentando le inevitabili ingenuità dell’età in cui fu pubblicato e del
tipo di pubblicazione su cui apparve, compresa una decisa coloritura romantica,
è ancora oggi una lettura emozionante e in grado di rivolgersi ai sentimenti
autentici del lettore. Oppure Nervi, la
novella del 1942 poi espansa alla misura di romanzo che rappresenta il miglior
risultato narrativo conseguito da del Rey e che narra, con realismo eccezionale
per l’epoca, di un incidente in una centrale nucleare.
L'antologia dove apparve la novella in origine |
Pubblicato in origine nel
1954, For I am a Jealous People! Fu
edito per la prima volta in Italia nel 1965 sulle pagine di una bellissima antologia
curata da Roberta Rambelli con altisonante prefazione di Gillo Dorfles, Fantascienza della crudeltà, con l’impeccabile
titolo Perché sono un Popolo Geloso.
Comparve in seguito nel 1974 nel fascicolo n.653 di Urania (si ometta pietosamente il titolo utilizzato per
l’antologia), che presentava in Italia l’antologia personale di del Rey Gods and Golems, che raccoglieva la sua
migliore produzione di media lunghezza della prima metà degli anni ’50; questa
volta il racconto è pubblicato con l’ugualmente corretto titolo Non avrai altro popolo. Nella “migliore”
tradizione della rivista mondadoriana, l’edizione ometteva di pubblicare uno
dei cinque lavori presenti nell’antologia originale, Pursuit (leggibile in inglese a questo indirizzo: http://www.gutenberg.org/catalog/world/readfile?fk_files=1635003), secondo
un filo d’acciaio che connette la Urania di Fruttero&Lucentini a quella dei
nostri tempi nell’attitudine all’uso delle forbici. Le successive edizioni della
breve novella manterranno questo titolo fino all’ultima, comparsa di nuovo su
Urania (nel fascicolo n.1479) come Perché
sono un dio geloso!, titolo fuorviante quanto altri mai, che travisa
radicalmente il senso profondo dell’opera in precedenza sempre rispettato: tanto
per confermare che se si può far peggio ci si impegna con alacrità.
For
I am a Jealous People! è per molti versi un’opera tipica della Golden Age della fantascienza (http://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Age_of_Science_Fiction),
senza dubbio rispettosa del verbo campbelliano che prevedeva che gli esseri
umani (o per meglio dire: gli americani rigorosamente wasp) fossero sempre e
comunque in grado di vincere le sfide, le battaglie, i rovesci di fortuna, le
imprese impossibili e a ogni modo qualunque avversità il destino proponesse
loro attraverso le vicende narrative. E non vi è dubbio che il tipo di
avversità che il reverendo Amos Strong, protagonista principale della novella,
si trova a fronteggiare è del tipo più arduo: combattere avendo Dio nel campo
avversario. Quale che fosse la sfida, gli uomini (americani wasp) di Campbell e
dei suoi discepoli più fidati vincevano immancabilmente, per cui non dubitiamo
che la sfida finale lanciata dall’uomo di Dio al suo (ormai ex) dio e al popolo
eletto di questi, gli alieni invasori e sterminatori, sarà coronata da
successo. Una variante potrebbe sempre essere quella della gloriosa soccombenza
in stile Alamo: poco importa che il mito di Alamo sia autentico quanto una
moneta da tre euro; e in ogni caso si ricordi che, DOPO, a Santa Ana gli
abbiamo fatto un mazzo così. Ma sebbene del Rey non narri l’esito finale del
confronto, crediamo vi sia ben poco spazio per uno diverso dalla vittoria umana
(americana wasp).
L’elemento religioso ricorre
in più di una delle migliori opere dell’autore americano - anche nell’antologia
Gods and Golems -, compreso quello
che probabilmente è il suo miglior romanzo: L’undicesimo
comandamento, pubblicato nel 1962, a sostanziale chiusura del periodo
creativamente felice e abbondante della sua produzione. Nella novella in esame
come nel romanzo, del Rey sa miscelare sapientemente gli aspetti più
tipicamente avventurosi e di intrattenimento con un’acuta azione di stimolo
alla riflessione sui temi teologici e di coscienza che getta in campo, e senza
che l’uno aspetto soverchi mai l’altro. Il riferimento a Kant che Amos fa (“Quindi agisci in modo da trattare l’umanità
sia nella tua propria persona che in quella altrui, in qualunque caso, come un
fine e assolutamente mai come un mezzo.”) non stride con la trama di una
feroce, apparentemente insensata, invasione aliena: è anzi essenziale per
comprendere lo sviluppo del personaggio e per inquadrare concettualmente la
novella.
Nell’economia della breve
novella di cui si tratta, la necessità di porre in modo succinto le questioni
attinenti alla tematica religiosa non inficia minimamente l’efficacia del lavoro
dello scrittore americano. Paga se mai egli lo scotto di una certa rozzezza
stilistica, o meglio della brutalità con cui deve comprimere e sollecitare il
suo personaggio a compiere rapidamente l’evoluzione – e anzi la rivoluzione –
copernicana del suo spirito e del suo modo di essere, della sua personalità
profonda. A onta di questa necessaria brutalità, del Rey è tuttavia abile a
mostrare ogni sottigliezza del lavoro corrosivo che il dubbio suscitato
dall’osservazione della realtà e dal contatto con lo stesso Dio, “traditore”
del suo ex popolo, compie nella psiche e nell’anima di Amos Strong. Novello
Giobbe, ma che infine rifiuta lo schema psicologico che riteneva Dio avesse
scelto per lui – che Amos si era costruito per sé, insieme alla immagine di un
dio fatto a propria immagine - , quest’uomo pio e sottomesso al verbo di Dio,
ma pur ammantato sempre di una dolente e nobile dignità, giungerà nel finale
della novella a pronunciare il programma (campbelliano ;-)) della guerra contro
gli avversari dell’uomo (americano wasp): “Dio
ha denunciato l’antico patto e si è dichiarato nemico dell’umanità – disse, e
la chiesa risuonava al rombo della sua voce. – E io vi dico che egli ha trovato
un valido antagonista.”
Che del Rey ne fosse
consapevole o meno (e probabilmente lo era eccome), in tal modo il reverendo
Strong veniva anche a chiudere il cerchio, specularmente ritrovando la pienezza
della sua quasi esaltata fede giovanile in Dio in tale ispirata opposizione
allo stesso Dio. Minor successo ha forse l’evidenziazione del percorso
interiore che trasforma l’un tempo ardente e ormai intiepidito predicatore in
un profeta carismatico: qui lo spazio narrativo risulta eccessivamente
tirannico. Tuttavia l’autore compensa la pochezza analitica con la vividezza emotiva
con la quale descrive la (ri)presa di coscienza di Amos: “Amos passò il resto della giornata nella casa dove aveva trascinato il
cadavere di Doc. Non andò nemmeno in cerca di cibo. Per la prima volta in vita
sua, da quando gli era morta la madre, a cinque anni, non aveva protezione
contro il dolore. Non l’amara convinzione che si fosse fatta la volontà di Dio
a consolarlo della perdita di Doc. E, rendendosene conto, sentì anche l’acuto
dolore per le altre perdite dolorose, come se fossero anch’esse avvenute
insieme con la morte di Doc.” Lester del Rey lascia sempre al lettore il
suo libero arbitrio, si residua lo spazio del dubbio, tuttavia la sua scelta di
campo appare razionale. O quanto meno lo sono le scelte di campo dei suoi
personaggi, Amos Strong compreso.
La vividezza cromatica delle
emozioni non resta concentrata nel solo reverendo; pur nell’economia della
necessità di farne giganteggiare la figura, del Rey si dimostra professionista
particolarmente smaliziato nel dipingere con rapide pennellate dei personaggi
di contorno credibili e in grado di andare oltre la pura funzione di mascherine
e cliché. Non solo il “Doc” della citazione qui sopra, il dottor Alan Miller,
figura assolutamente stereotipa del medico condotto dell’America profonda di
parecchi decenni fa (l’azione si svolge in un Kansas agricolo, perfettamente
aderente a quello dell’epoca in cui la novella è stata scritta) e che pure
diviene materiale narrativo caldo e vivo sotto la penna di un del Rey in grado
di fornire tridimensionalità al personaggio con pochi indizi sparsi ad arte.
Anche figure del tutto minori come la sartina e improvvisata organista di
chiare origini italiane Angela Anduccini saltano all’occhio del lettore per la
chiarezza con la quale pare di poter sbirciare nel suo animo. Mestiere, senza
dubbio, ma mestiere ispirato. La capacità, anche, di saper spingere i tasti
emozionali del lettore con sobrietà, come del Rey mostra nelle scene delle
varie morti che toccano e infine travolgono la vita di Amos: sua moglie Ruth;
il cane del figlio; sua nuora Anne; infine il dottor Miller, l’amico di tutta
la vita.
Leggendo la fantascienza di
parecchi decenni addietro si è sempre assaliti da un senso di fortissimo
anacronismo. Personalmente è un sentimento di commosso calore quello provo.
Nell’era del trionfo della Rete e della comunicazione planetaria immediata è
affascinante vedere all’opera l’antica fantasia dei maestri del passato che non
si peritavano di costruire basi lunari, narrare di invasioni aliene, far
sfrecciare razzi futuribili nei cieli; e poi passavano attraverso una
centralinista umana per mettere in comunicazione due abitazioni di un paesotto
del Kansas rurale. Con tutto ciò, il senso profondo di opere come questa non
risente in minima misura di tale effetto straniante. E’ degli eterni
interrogativi dell’anima umana, dei tormenti e delle risoluzioni interiori che
lacerano lo spirito umano, che parla la novella di del Rey. E il tempo che
passa e rende sempre più lontana la sua apparenza esteriore non fa che
avvicinarci la sua sostanza autentica, distillandola. E’ quanto fa di un lavoro
professionale un capolavoro.
Quasi trent’anni dopo la pubblicazione
di For I am a Jealous People!,
Raymond F. Jones, un veterano i cui esordi letterarii precedevano quello di
Lester del Rey scrisse un romanzo liberamente ispirato alla novella. In Italia
venne pubblicato da Urania con il titolo di Alieno
in croce (sempre benedetta sia la brillantezza dei curatori uraniani nella
scelta dei titoli), a firma congiunta di Jones e del Rey.
2 commenti:
Ciao, grazie di aver ricordato così vividamente Lester del rey. Amo la sua attenzione ai temi teologici (forse a causa della mia frequenza scolastica in una scuola religiosa e di una evoluzione personale verso il più completo e convinto agnosticismo). Ho letto e apprezzato tutti i titoli che hai presentato ma credevo di essere un po' una mosca bianca; grazie.
Ti ringrazio dei complimenti :-). Del Rey è un autore che anche io amo e apprezzo. Come decine di altri a onor del vero :-). Quanto al tuo percorso scolastico ed esistenziale è stato anche il mio.
V.
Posta un commento