Per il Vero Lettore uno dei
piaceri più genuini è rappresentato dall’erratico vagabondare tra vecchi
fascicoli di riviste da disseppellire, antologie poste ormai a basamento di
vertiginosi pinnacoli librarii, cumuli disordinati di romanzi e volumi vari dimenticati
da anni in angoli altrettanto dimenticati della casa. È un’attività riservata
in particolare a quelle occasioni nelle quali la capricciosità del Vero Lettore, che è lettore difficile e
bizzoso, si muta in vera e propria incontentabilità. Non c’è nuovo racconto che
soddisfi, articolo recente che stuzzichi la curiosità. E l’impresa di mettersi
a leggere un romanzo è fuori discussione: un paio di frasi e si sbuffa incontentabili. Tanto meno si è nella disposizione d’animo di affannarsi su
ponderosi saggi. Si esplora, dunque. Si torna sugli antichi passi. Si rilegge
qualcosa che si è amato. Oppure si trova il tempo, il modo e l’occasione di
leggere quanto si è tralasciato un tempo.
È il 2003: Robot, la rivista che è un mito per ogni
lettore italiano di sf, è appena tornata in vita, e sul secondo fascicolo di
questa sua nuova incarnazione viene pubblicato La sindrome di Wolverton, racconto a firma di Alan D. Altieri.
Confesso subito il mio peccato: non ho mai letto nulla di Altieri. Nessuna
pregiudiziale: se non forse che le tematiche affrontate in genere dallo
scrittore milanese, o meglio le angolazioni visuali così spintamente
techno-noir-thriller che utilizza per scrivere, non rientrano tra le mie
preferite. Per inclinazione personale probabilmente potrei essere tentato dalla
trilogia storica di Magdeburg. Mi
attrae e al contempo respinge il suo stile, incontrato in alcuni articoli.
Goticheggiante, quasi barocco, uno stile che seduce ma sazia rapidamente, come
una cioccolata dolcissima. Ma è soprattutto la mole dei suoi libri ad avermi
tenuto lontano. Passati i verdi anni, devo avere una motivazione davvero
d’acciaio per imbarcarmi in letture pletoriche come quelle proposte da Altieri;
e uno stile che promette di saziare in breve non è esattamente quanto invogli a
iniziare letture di centinaia e centinaia di pagine. Ecco allora che un breve
racconto si prospetta come il miglior viatico per eventuali futuri
approfondimenti – e per allontanare la capricciosità domenicale da
insoddisfazione di lettura ;-).
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Il numero 42 di Robot, secondo della nuova serie, sede della seconda edizione del racconto |
Come è noto, “Alan D.” è il nom de plume di Sergio Altieri.
Terminata la lettura del racconto pubblicato su Robot n.42 si fa qualche ricerca in rete e si viene a sapere che esso
era alla sua seconda pubblicazione, dopo quella avvenuta l’anno prima su M Rivista del Mistero, e che una terza
avverrà poi nel primo volume antologico dei racconti di Sergio/Alan: Armageddon – Scorciatoie per l’Apocalisse.
Si disseppellisce il volume da sotto un altro pinnacolo librario. Non fosse che
per averlo a portata di mano, dal momento che la lettura del racconto è stata
senza dubbio soddisfacente e c’è tutta l’intenzione di leggere altro di
Altieri. La curiosità spinge a scorrervi le prime righe del racconto appena
letto e, una volta registrate differenze che indicano una revisione non da poco
del testo, a effettuare una rilettura completa. Se tra la prima (anzi seconda)
edizione e la seconda (anzi terza) la trama non muta, tuttavia l’editing
stilistico e di scrittura non risulta indifferente. E con pieno vantaggio del
testo dell’edizione più recente! Ignoro come fosse il testo dell’edizione
originale, ma in ogni modo tra quella apparsa su Robot e quella contenuta in Armageddon
si guadagna un’asciuttezza e una secchezza verbali e del periodare che pur
lasciando intatta la cupezza gotica delle atmosfere e la violenza quasi barocca
delle situazioni e dei personaggi (anzi esaltandola) la depurano di quella
ridondanza e del compiacimento che renderebbero indigeribili testi più ampi di
un breve racconto. Uno stile sempre (sovrac)carico, in qualche modo, ma non
stucchevole, che rende al meglio quella vivida visività cinematografica che
viene ad Altieri dalla sua importante frequentazione della sceneggiatura
hollywoodiana e televisiva. Alla ricerca di sensazioni forti di lettura si è
soddisfatti di incontrare una scrittura così corposa e robusta; ma anche essenziale e chirurgica, verrebbe da dire. Un breve
esempio:
L’uomo
emerge dal fumo e dai miasmi. Nudo come un verme sul ghiaccio, nel vento. Ha il
torace coperto di arabeschi di sangue raggrumato. Il suo mento gronda sangue
ancora fresco, scintillante.
L’uomo
cammina lontano dal fulcro degli incendi. Aggira mucchi di rottami
irriconoscibili ancora in fiamme. Ignora la morsa da annientamento dei meno
quarantadue gradi Celsius. Avanza sulla fanghiglia che diventa gelida, che
comincia a solidificarsi.
Nella precedente versione su Robot suonava così:
Un
uomo emerse da uno squarcio nella parete semi-cilindrica del Blocco Principale,
sventrato dalle esplosioni.
Un
uomo dal torace coperto di arabeschi di sangue raggrumato.
Un
uomo nudo come un verme nella morsa da annientamento dei quarantadue gradi
Celsius sotto lo zero.
Camminò
sempre più lontano dal fulcro caldo degli incendi. Aggirando mucchi di rottami
irriconoscibili ancora in fiamme, avanzando sulla fanghiglia gelida che stava già
cominciando a solidificarsi. Anche l’altro sangue, quello ancora fresco che
scintillava sulle sue labbra, sul suo mento, cominciò a solidificarsi.
La rete riserva un’ulteriore
curiosità. Il testo del racconto è infatti reperibile sul forum di Altieri: http://alanaltieri.forumfree.it/?t=13533263. E a
un’occhiata sommaria il testo sembrerebbe una versione intermedia tra
l’edizione su Robot e quella in Armageddon. Sia come sia, la storia
resta la stessa nella sua essenza :-).
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Armageddon, pubblicato nel 2008, presenta la terza edizione del racconto. |
Nell’introduzione al racconto
su Armageddon, Altieri riconosce il
chiaro debito verso il superbo racconto Who
goes there? Di John W. Campbell jr., dal quale è stato tratto il film La Cosa diretto da John Carpenter e che
in precedenza aveva ispirato la pellicola di Howard Hawks La Cosa da un altro mondo. Debito di atmosfera e ambientazione in
primo luogo. Di potente carica d’orrore e sospetto. Una natura soverchiante e
la propensione umana alla paranoia, esaltata dalle condizioni di vita estrema. In
Altieri, tuttavia, la minaccia si sposta più modernamente dall’esterno
all’interno. Non più un invasore alieno ma l’uomo stesso: l’individuo e la
società di cui è parte. La “Cosa” è l’essere umano. L’umanità. La natura umana.
E se è vero che La Sindrome di Wolverton
è principalmente un racconto d’azione – e di magnifica azione – non è men vero
che la pressione e l’oppressione psicologiche, la temperie fobica nella quale
sono immersi i protagonisti del racconto è resa perfettamente da Altieri, con
economia di parole al riguardo, ma senza venir meno alla chiara evidenziazione
del fatto. Senza venir meno alla cifra più evidente da subito del suo narrare:
la disperazione. Quanto meno apparentemente, non vi sono redenzione né speranza
nel suo universo: in fondo non è casuale che il sottotitolo di Armageddon sia: Scorciatoie per l’Apocalisse. Non è casuale il setting del
racconto, la Stazione Wolverton, della Gottschalk-Yutani Oil: Mastodontico, onnipotente
meta-megaconglomerato planetario. Sistema che è tutti i sistemi, macchina che è
tutte le macchine. Senza dubbio un cliché di tanta fantascienza,
soprattutto a partire dagli anni ’50, ma un cliché efficace. E che qui
colpisce nel segno per la sua disarmante verità. Altieri si premura di
illustrarne l’efficacia con la smaliziata perizia del narratore di genere dalla
penna accurata e dal solido vigore narrativo. Una scrittura mai scontata, neppure
lì dove sembra più appoggiarsi agli stilemi di genere: c’è sempre una parola,
un accenno o un sottinteso che rimandano a un senso più elaborato. Senza che il
ritmo ne risenta neppure in parte.
È antropologicamente diversa
l’umanità di Altieri rispetto a quella di Campbell (e anche di Hawks e
Carpenter). È pertanto perfettamente consequenziale alla sua disperazione, e alle disperate premesse
cui accennavo più sopra, la chiusa del racconto, quando l’ispettore capo
Keller, che ne è la protagonista principale, definisce con implacabilità pari
alla precisione il significato ontologico della “Sindrome di Wolverton”: La Sindrome di Wolverton è un dialogo. Con
il lato oscuro della coscienza. E dopo aver ucciso i due uomini che (forse)
si frappongono tra lei e la diffusione planetaria della Sindrome ella conclude:
Ora quel dialogo può continuare.
La natura, l’umanità e la
società di Altieri sono le nostre, appena appena nel futuro, appena appena più
brutalizzate, violentate, distorte e sfruttate delle nostre. Una natura,
un’umanità, una società a pochi anni di distanza nel pensiero economico
uniformante che ha (s)governato gli ultimi quattro decenni della storia
planetaria, inducendo un parossismo psicotico di consumismo che sta
raggiungendo rapidamente il suo punto apicale e il conseguente declino verso
l’approdo terminale da una “consumabilità” assoluta di tutte le cose e i
viventi a, di fatto, il loro effettivo consumo ed esaurimento. La società e
l’umanità di Altieri sono pronte all’opera: la base antartica Wolverton è
l’avamposto deputato allo sventramento e alla devastazione dell’ultima
frontiera naturale intatta, quella antartica appunto. Lo scopo: l’estrazione
degli immensi giacimenti di petrolio sottostanti. Fino a consumare, sempre più
rapidamente, anche quelli.
Nella migliore tradizione
della fantascienza catastrofica la natura violentata reagisce con violenza
contro il parassita che la infesta e infastidisce. Negli individui sottoposti
alle condizioni estreme della stazione Wolverton insorge un virus atto a
indurre una follia omicida e autodistruttiva. Un virus che, non è davvero
difficile scorgerlo, null’altro fa se non far emergere la realtà del
comportamento umano, quel parossismo predatorio e consumistico di cui sopra che
non risparmia nulla e nessuno, neppure i propri simili, neppure se stessi. È
l’uomo stesso, la sindrome. È malattia per sé.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8jDCMismVJtvMXpp5pcZTAFck3VDPk_ReNAenKg8eoS4IJ88o9JQMbUy2bI1D1mgVkiohibm9m0V8oxx6bqgm0DJZHQtIwx4DR3OUFxLOzgLcRT3Q2ZEB6cgOPn6m0tGcMXYGYhVs22fl/s200/alan-d-altieri.jpg)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8jDCMismVJtvMXpp5pcZTAFck3VDPk_ReNAenKg8eoS4IJ88o9JQMbUy2bI1D1mgVkiohibm9m0V8oxx6bqgm0DJZHQtIwx4DR3OUFxLOzgLcRT3Q2ZEB6cgOPn6m0tGcMXYGYhVs22fl/s200/alan-d-altieri.jpg)
Senza scomodare Freud e la sua pulsione di morte, registriamo con rassegnazione che l'evoluzione non ci ha attrezzato per governare un sistema della complessità del nostro pianeta, e che difficilmente avremo il tempo per attrezzarci visto che stiamo dimostrando di non avere intelligenza sufficiente a comprenderne le necessità.
Difficilmente sarà come racconta Sergio/Alan, è
ovvio. Continuando sulla strada intrapresa è più probabile che a porre fine
all’avventura elettrizzante degli ultimi secoli di Homo sapiens saranno fenomeni molto più “banali” e “prosaici”:
guerre per l’acqua, per le fonti di energia, per l’accaparramento delle terre
coltivabili, per lo sfruttamento di mercati del lavoro a costo praticamente
zero. E altre amenità del genere, magari la “semplice” pressione
demografica.
Al netto delle amare
riflessione indotte, come si diceva il racconto di Altieri resta una magnifica
storia d’azione. Concitata, sincopata, dura. Senza mai scadere in una violenza
che sia puramente gratuita. Violenza a volte anche pervasiva, ma sempre
perfettamente giustificata dalle situazioni e dall’analisi psicologica e
sociale. Una storia d’azione che non rinuncia a far riflettere, e riflettere a
fondo. E lo fa con semplicità pari all’efficacia.
4 commenti:
Splendido articolo. Profondo, argomentato, tecnico, e nondimeno godibilissimo.
Per inciso, mi ha dato non poco sollievo apprendere che altri condividono con me quella strana inquietudine che ti prende nel preciso momento, sfidante, di attaccare un volume, specie se poderoso; una debolezza che non avrei mai osato confessare :-)
PS: per fortuna mi ci sono imbattuto facendo una ricerca su Altieri, nel tuo blog intendo. Davvero notevole: interessante, importante, di qualità evidente (una rara, per il web, cura dei testi). Complimenti. Non lo conoscevo. Naturalmente finito dritto dritto nei preferiti.
Ti ringrazio, un feedback come il tuo è un piacere :). Come avrai visto non aggiorno spesso il blog; lo faccio nelle occasioni in cui leggo o rileggo un'opera di fantascienza o comunque di letteratura fantastica che mi piaccia davvero e mi stimoli a scrivere.
Se non lo hai letto, un romanzo mastodontico che qualche anno fa mi ha attratto e ho finito rapidamente e con vero piacere è stato "Il quinto giorno" di Frank Schatzing, pubblicato dalla Nord.
Grazie ancora, a presto
V.
Sì, l’avevo notato, ed è giusto così: pubblicare quando si ha veramente voglia di dire qualcosa, quando si decide di mettere nero su bianco uno spunto che merita e a quel punto farlo con tutti i crismi di un piccolo saggio ben scritto. Condivido molto.
Ti ringrazio per il suggerimento di lettura, credo proprio ne approfitterò subito, dal momento che, guarda caso, mi trovo giusto in uno di quei momenti di incontentabilità, insoddisfazione del lettore di cui parli nel post che stavo cercando disperatamente di risolvere :-)
Grazie a te, alla prossima,
J
:-))
Grazie ancoea e buone letture allora ;-)
V.
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