Una certa rozzezza di stile è
innegabile, e ancor più un’ingenuità romantica che permea la storia; tuttavia
Schachner, ancorché essa appaia a tratti schematica, dà mostra con questo
racconto di una visione sociale, antropologica e psicologica assai acuta, tanto
più rapportandola al luogo e tempo di pubblicazione, e della capacità di
trasformare un’opera didascalica in una piccola gemma di avventura
fantascientifica. Per usare delle
parole del sempre puntiglioso e avaro di complimenti John Clute nella Encyclopedia of Science Fiction: His style was rough, but he was a sharp and
knowledgeable writer; his inattention to the field after about 1940 is
regretted. Il rammarico di Clute è senza dubbio
giustificato: nella temperie della fantascienza che si sarebbe rinnovata tra la
fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 Schachner avrebbe potuto fornire
contributi di sicuro interesse se il – senza dubbio più remunerativo – campo
della biografia storica non lo avesse attratto. Questo racconto da solo, del
resto, è già un interessante contributo a quella fantascienza più attenta alla
dimensione umana e sociale del futuro che era tutt’altro che assente perfino ai
primordi della sf di genere, quell’epoca pionieristica che va dall’invenzione
stessa del nome nel 1926 alla fine del successivo decennio, quando John
Campbell assumerà la direzione di Astounding
Stories, la più importante rivista di allora, e porrà le basi per una
fantascienza più consapevole dei propri mezzi e del significato “filosofico”
dell’analisi narrativa del futuro umano. Né poteva essere diversamente se
pensiamo che la fantascienza “letteraria”, da Wells ad Aldous Huxley ed Ayn
Rand, passando per Zamijatin e altri, stava esplorando proprio tali aspetti da
almeno diversi decenni. Gli autori più attenti e sensibili, come Schachner era,
non potevano che adoperarsi a una sintesi tra lo stile rutilante della
fantascienza degli anni ’20 e ’30 e una maggiore profondità di analisi sconosciuta
ad altri scrittori dell’epoca come Doc Smith. In fondo, immaginiamo, per
Schachner il ricordo della visione del Metropolis
di Fritz Lang doveva essere fresco e seducente come anche la lettura di Brave New World di Huxley. Neppure
stupisce che Schachner fosse tra gli autori più amati da Isaac Asimov e che
egli lo annoverasse tra le sue influenze, includendo questo racconto in una
delle più famose tra le antologie da lui curate, Before the Golden Age; in Italia il titolo è Alba del Domani (qui online: http://it.scribd.com/doc/119925759/Alba-Del-Domani-Isaac-Asimov), e
si trattò del primo racconto di Schachner pubblicato nel nostro paese (non che
in seguito siano stati molti).
In copertina campeggiava l'inevitabile storia di Doc Smith... |
Past, present and future vide
la luce sul fascicolo del settembre 1937 di Astounding
Stories, che per quanto è possibile appurare dovette essere l’ultimo prima
che John Campbell ne assumesse la direzione, il quale perciò non ebbe verosimilmente
a che fare con la storia di Schachner; tuttavia il racconto risultò
probabilmente gradito al leggendario editor, se successivamente egli ne
pubblicò quattro seguiti (sebbene il finale sia in qualche modo “aperto”, il
racconto appare ugualmente perfettamente concluso). La storia è senza dubbio
campbelliana ante litteram, e del resto Campbell non nacque dal nulla J, ma
anche sottilmente eretica rispetto al verbo del direttore di Astounding, e questo dovette attrarre
l’attenzione e influenzare il comportamento di Asimov. Al lettore del XXI
secolo salta agli occhi la TOTALE assenza dell’elemento femminile. Il racconto
è breve, non v’è dubbio, ma nell’economia di una storia che pone senza meno al
centro della propria analisi e riflessione l’umanità del presente e i possibili
sviluppi futuri della società una simile mancanza appare sconcertante. Non è
neppure che Schachner assegni un ruolo subalterno alla donna, la tralascia del
tutto. Non sottovalutazione ma indifferenza. Le sole donne che appaiono nel
racconto – all’inizio – sono le native Maya che divengono le compagne dei
marinai di Cleone e che svolgono una pura funzione strumentale prima di
scomparire del tutto. Sconcertante di sicuro, ma Schachner era pur sempre
figlio della sua epoca e soprattutto consapevole di scrivere per un pubblico di
nicchia di adolescenti quasi esclusivamente maschi e tecnofili. Le stesse –
poche – scrittrici dell’epoca si celavano in genere sotto pseudonimi maschili
(Alice Mary Norton diviene Andre Norton, arrivando anni dopo ad assumere
legalmente tale nome), oppure dietro l’ambiguità delle iniziali (Catherine
Lucille Moore si firma sempre C.L. Moore), o ancora la ventura di aver ricevuto
dai genitori un nome unisex (Leigh Brackett). Per altro, la profondità
concettuale di questo racconto è già molto oltre gli standard dell’epoca.
Pura
tempra campbelliana (e non meno heinleiniana) hanno i tre eroi del racconto: Cleone,
navigatore, scorridore, soldato ateniese dell’età di Alessandro; Sam Ward,
avventuriero (nel senso più nobile della parola) americano coevo di Schachner;
Beltan, membro della più alta aristocrazia della città di Hispan nel IIC
secolo. Il Passato, il Presente e il Futuro. Sebbene sia condotto con maestria
e sprizzi sense of wonder da ogni
riga, il racconto è scopertamente didascalico. Cleone, Sam e Beltan sono al
contempo lo stesso personaggio, e il foro dialettico necessario a Schachner per
esporre le sue tesi. Alti, belli, nobili: i tre rappresentano non a caso delle
manifestazioni dello spirito yankee,
sono lo stesso maschio wasp che si è
aperto la strada del continente americano da costa a costa con in pugno l’ascia
per disboscare, il fucile per cacciare (o far fuori qualche milione di indigeni
sulla via) e il dollaro per prosperare. Sono quell’uomo americano che si
preparava a combattere per la libertà del mondo (e affermare la supremazia
americana sullo stesso) di lì a poco. Tuttavia – e non a caso – l’americano al
100% Sam Ward è il solo tra questi yankee
ad avere il cuore del tutto giusto: non a caso, ricorderà a Cleone che la sua
nobiltà, la filosofia e la cultura prosperavano sulla schiavitù; e a Beltan che
i felici tecnici e lavoratori della sua Hispan non sono poi meno schiavi (per
la struttura gerarchica di Hispan Schachner appare chiaramente debitore di
Aldous Huxley e del suo Brave New World).
Schachner non era però autore inconsapevole o insincero, e Beltan farà a sua
volta notare a Sam che le condizioni degli operai del XX secolo non sembravano
poi tanto diverse da quelle dei lavoratori di Hispan. Questo aspetto
probabilmente sarebbe piaciuto meno a John Campbell ;-). Non è certo a un breve
racconto avventuroso che può essere demandata l’analisi accurata delle
strutture del lavoro dall’antichità classica ai tempi nostri, inoltrandosi poi
nei possibili sviluppi a venire; e però con poche parole l’autore enuncia con
assoluta chiarezza il problema centrale della sua epoca, della nostra, di
quelle precedenti e temiamo delle successive. La sperequazione nel godimento
dei frutti del lavoro stesso (oltre alla funzione liberticida del lavoro
organizzato e massificato). Gli Oligarchi di Hispan non appaiono semplicemente
dei parassiti inutili del corpo sociale e produttivo della città, lo sono senza
alcun dubbio, e in una misura che né l’antichità classica né l’America di Sam
Ward avevano sperimentato con le proprie èlite di potere; ed è quanto meno
inquietante la somiglianza che tale oligarchia Hispanica sembra avere con le classi apicali del finanzcapitalismo
oggi trionfante. Schachner non offre soluzioni, se non individuali e
individualiste. Al di là delle differenze ideali e ideologiche, Cleone, Sam e
Beltan si riconoscono quali uomini,
intendendo e sottintendendo uomini liberi. La risposta, individuale e individualista,
è la libertà. Le costrizioni delle società variamente irreggimentate od
oppresse da forme di pensiero dominante da cui provengono i tre sembrano
impedire l’elaborazione di un concetto di libertà che vada oltre il piano del
singolo. Non è la libertà sociale che desiderano i tre (Sam, vagamente…), né
per una tale libertà combatteranno (non in questo racconto, ignoro cosa accada
nei sequel). Fuggiranno da Hispan, per sottrarsi al probabile destino che li
attende per mano delle autorità della città, ed emergeranno – letteralmente –
dalle sue profondità sclerotiche, predatorie e artificiali a rivedere le stelle
di una Terra che appare ai loro occhi vergine e incontaminata. È una nascita,
un vero e proprio parto della Terra. E della mente. La risposta di Schachner
appare ed è senza meno parziale, ma senza la rinascita a una libertà
intellettuale individuale non vi può essere la base minima per un riscatto
sociale. Una società libera può essere edificata solo da spiriti liberi.
L’appassionato
di fantascienza ritrova in questo racconto mille suggestioni ad esso precedenti
e successive. L’iconografia sociale di Hispan rimanda variamente al Wells di The
Time Machine con i suoi Eloi e Morlock, ai citati Huxley di Brave New World e Lang di Metropolis e con essi ad altri – Anthem di Ayn Rand apparirà nel 1938.
Così come si riflette in opere successive: il pensiero corre al ciclo a fumetti
dell’Incal, scritto da Alejandro
Jodorowsky per i disegni di Moebius, per certi aspetti a uno dei migliori
romanzi di Robert Heinlein, Orphans of the
sky, non meno che ai romanzi asimoviani del ciclo di Elijah Baley e
R.Daneel Olivaw. E a molti altri. Il tema della città o della società
distopica, (rac)chiusa in sé stessa e nel proprio pensiero unico, uniformante e
livellante, il pensiero che diviene Verbo, è naturalmente così potente e in
qualche modo imposto dalla realtà e dalla riflessione storica da essere ormai
un cliché e un luogo comune. Ma non per questo da aver perduto valore di
riflessione e pregnanza. La fantascienza è per storia e struttura la forma
narrativa più adatta a tale riflessione, e infatti gli esempi abbondano. Il più
radicale e completo appare ancora oggi quello fornito da El Eternauta di Hector Germàn Oesterheld e Francisco Solano Lopez,
ma anche questo piccolo racconto fornisce il suo apporto.
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