mercoledì 16 giugno 2010

La miniatura – Corrida (id. 1968) di Roger Zelazny (1937-1995)


E’ il 14 giugno 1995 quando a neppure sessant’anni muore Roger Zelazny. L’autore americano è stato senza dubbio tra le voci più originali della fantascienza sin dal suo esordio al principio degli anni ’60 sulle pagine della più antica rivista specializzata, Amazing Stories, allora rivitalizzata dalla curatrice Cele Goldsmith. Zelazny si rivela subito uno scrittore letterariamente raffinato e attento alla cura stilistica delle sue opere, inscrivendosi perfettamente nella fantascienza dell’epoca che andava aggiornando le sue tematiche e ponendo sempre maggiore attenzione all’aspetto appunto più squisitamente letterario delle storie. Confesso un particolare affetto per Zelazny, autore che è stato fondamentale per rimodulare completamente il mio approccio alla fantascienza quando, lettore acritico di Urania, un amico mi prestò il fascicolo n.10 della a me allora sconosciuta rivista Robot dicendomi: “E per una lettura raffinata allora c’è Zelazny”; quel fascicolo conteneva la novella The Doors of His Face, the Lamps of His Mouth, assai pregevole rielaborazione del mito letterario di Achab e Moby Dick trasportato negli oceani di un mondo alieno, uno degli esempi più limpidi e vigorosi della narrativa del primo Zelazny.

La rielaborazione in chiave fantascientifica dei miti religiosi e sociali e degli archetipi narrativi e psicologici è il tema privilegiato della sua opera, particolarmente di quei primi romanzi e racconti che lo impongono all’attenzione e al cuore dei lettori. L’elegante, polita scrittura di Zelazny si rivela particolarmente adatta a esaltare la suggestività di questo materiale narrativo e la seduzione della lettura. Al contempo tale scrittura si modella sul proprio contenuto, facendosi veicolo di moderna mitopoiesi e attingendo il suo potere evocativo dalla forza dell’attrattiva propria di quei miti e del patrimonio mitico ancestrale. 

Corrida è una scheggia folgorante della sua capacità di risvegliare nel lettore questa memoria mitica e un saggio altrettanto incisivo della sua abilità di scrittore. Zelazny sapeva scrivere come se tessesse dei fili cristallo oppure facendo uso di ogni declinazione dell’ironia; poteva essere ricercato oppure battere le vie di uno sperimentalismo letterario che ancora appariva inconsueto nel pragmatico e rustico recinto della sf. Era versatile e metteva continuamente alla prova questa sua versatilità. In Corrida fa uso di una abrasività nella scrittura che si coniuga all’accuratezza con la quale fa emergere il mondo psicologico del protagonista, crea nel lettore un’atmosfera di angoscia e terrore crescenti e di profondo smarrimento, e giunge a un finale duro e perfino sgradevole nel suo lasciare apparentemente inconclusa la vicenda.      

La short short story è uno strumento molto più flessibile di quanto si possa credere, e particolarmente in ambito fantascientifico dove si presta nel migliore dei modi a quello slittamento del punto di vista e alla brusca rottura della normalità che sono pilastri fondamentali nella costruzione di una storia che funzioni e che avvinca e sono intimamente connessi alla natura stessa della sf. Accanto allo schema delle cosiddette “sentinelle”, dal titolo del brevissimo racconto Sentinel di Fredric Brown, con la battuta finale che demolisce il quadro mentale che il lettore è venuto formandosi nella lettura mettendone in crisi le certezze, vi sono altri e non meno efficaci registri stilistici. In Not with a bang (http://olivavincenzo.blogspot.com/2009/08/fantascienza-il-classico-la-mano-not.html) Howard Fast cala un accadimento straordinariamente surreale nella più ordinaria quotidianità immaginabile e lascia che i due elementi stridano beffardi con ironia fino al compassato finale dove l’understatement raggiunge il suo apice. In Chief, celebre racconto dell’inizio degli anni ’60, Henry Slesar, uno dei più fecondi scrittori di genere e maestro del racconto breve, mostrò tutto il potenziale satirico della brevità estrema. Corrida si presenta come una ulteriore strada e variazione sul tema. Zelazny mette il lettore quasi fosse davanti a uno schermo televisivo e lo fa assistere a una rappresentazione crudele. Lo “spettacolo” si apre sul risveglio repentino e disagevole dell’ancora ignoto protagonista, che si ritroverà subito sbalzato in quella che si rivela un’arena per corride. Frase dopo frase la soggettiva totale sul protagonista si definisce e montano le sue angoscia, frustrazione e rabbia, insieme con l’ansia del lettore. Lettore che vive nella soggettiva della narrazione il completo disorientamento del personaggio precipitato in una situazione assurda (“non sono un toro!”); il suo furore indotto dal dolore delle ferite che riceve (inferte da vere banderillas?) e dalla minaccia che incombe su di lui; il riaffiorare di brandelli di memoria che non chiariscono né chiariranno nulla; i meccanismi psicologici della paura e della rabbia cieca, che non si fatica a immaginare realistici dal punto di vista dell’oggetto della corrida. Soprattutto il lettore assiste alla lotta veemente di Michael Cassidy (che infine ricorda il suo nome) con la figura del suo tormentatore. Un’ombra nera e sfocata, che non proferisce parola né sembra fare alcunché, ma che ogni volta che si avvicina a Michael, o Michael si avvicina a lui, si palesa nel dolore che verrà inflitto.

Il nudo racconto “de paura” si colorisce in tal modo di significati che resteranno sfumati e non troveranno certezze neppure alla fine. Michael, e il lettore con lui, si interrogherà fino all’ultimo su chi sia o cosa rappresenti quell’ombra scura (forse Dio, o il Destino - o magari un alieno potrà pensare il lettore, ma sembra una soluzione così banale…). Zelazny procede su un doppio binario di sottigliezza nell’analisi minuziosa dei pensieri e delle reazioni di Michael e nell’elaborazione del meccanismo narrativo orrorifico, e di durezza nella descrizione spietata della corrida fino al suo ovvio epilogo. Al lettore non viene fornita una spiegazione, tutte le interpretazioni restano a sua disposizione. Al limite – chi può dirlo? – potrebbe davvero essere stato uno spettacolo televisivo, ma l’ipotesi appare riduttiva. Sta di fatto che questa scheggia narrativa affonda la sua ragion d’essere nella pura suggestione che le idee richiamate da Zelazny posseggono ai nostri occhi e per la nostra mente. Il violento sacrificio rituale allestito nella corrida e il terrore atavico del cacciatore di diventare preda si compenetrano in un meccanismo che è rafforzato dalla non riconoscibilità e inconoscibilità dell’ombra nera e silenziosa e dall’inesorabilità e apparente insensatezza delle sue azioni. L’uomo crea Dio per ordinare il cosmo e renderselo comprensibile; ma se Dio infine apparisse all’uomo nella sua realtà, il tentativo ordinatore dell’uomo fallirebbe perché non sarebbe più il suo pensiero creativo a costruire l’ordine cosmologico, ma il pensiero divino, dal quale l’uomo sarebbe escluso e la sua psiche andrebbe in pezzi. E’ una soluzione possibile per questo brevissimo capolavoro, che in tal modo viene a essere chiaramente omogeneo alle opere maggiori di Zelazny in quel periodo. Seppure ciò avviene non entrando nello specifico di un patrimonio religioso e psicologico particolare -  quelli induista e buddhista nel romanzo Lord of light; i miti egizi in Creatures of light and darkness; i miti cristiani nel racconto lungo A rose for Ecclesiastes, una delle opere più belle di Zelazny; i greci infine nel breve romanzo This immortal – ma operando su un piano più generale. E, verrebbe da dire, teoretico.

Corrida è stato pubblicato diverse volte in Italia, la prima nell’antologia personale di Zelazny La Montagna dell’Infinito (e altre storie) edita da Fanucci. In seguito anche nell’Urania n.815, 44 microstorie di fantascienza, prima parte di un’antologia curata dal terzetto Isaac Asimov, Martin H. Greenberg e Joseph D. Olander; quindi nello sfizioso volumino strenna 25 racconti che hanno fatto Urania.

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