Vi sono racconti che rappresentano un enigma e una sfida,
e anche una sofferenza. Sofferenza perché vanno a toccare delle corde interiori,
tese e sensibili, e toccandole, stuzzicandole, le attivano e ne attivano la
carica ansiogena. A fine lettura si prova il disagio di essere appena entrati
in contatto con un rovello irrisolto; o, con minor disagio, come in questo
caso, con una questione lungamente analizzata e dibattuta al proprio interno
senza venirne mai davvero a capo. Un enigma perché spesso in tali occasioni non
è immediato riconoscere il rovello o la questione; e gli enigmi sono fatti per
installarsi nella parte inquisitiva della nostra mente in modo da tormentarci
perché li affrontiamo e li risolviamo. Infine una sfida per l’ovvio motivo che
il racconto in grado di tormentarci a questo punto va aperto come un guscio di
noce perché riveli quale sia l’elemento che sfugge alla nostra comprensione
immediata.
I am the angel sent to Cotton Mather. Così esordisce Wonders of the Invisible Worlds (che Patricia McKillip mutua dall’opera
quasi dello stesso titolo del teologo e leader puritano Cotton Mather, figlio di
Increase Mather, egli pure celebre leader puritano del New England coloniale). Siamo dalle parti,
fantascientificamente assai e volentieri frequentate,
dell’interpretazione/riscrittura in chiave fantastica dell’elemento
religioso/trascendente? Da una scrittrice nata a Salem (benché l’altra, quella
in Oregon J) sarebbe lecito
attenderselo, ma è una lettura che si rivela povera e limitata. Nella brevità
delle sue poche pagine, questo racconto è molto più ricco e sottile che non una
divagazione sulla religione o sul DNA religioso degli Stati Uniti, e non
stupisce minimamente che David Hartwell lo abbia incluso nel primo volume di
quella che sarebbe divenuta la sua felice serie di antologie annuali del Best of the year. La figura storica di
Cotton Mather appartiene di diritto ai miti fondanti della nazione e ne
rappresenta alla perfezione la vocazione a un’ottusa fede, assolutista e
rigorista; ma nell’economia del racconto di Patricia McKillip egli è un
pretesto, seppure un pretesto esemplare. Come esemplare è per altro la
descrizione che l’autrice dà dell’uomo e del suo ambiente familiare e sociale
con una vividezza perfino sgradevole, sbalzandone con vigore la figura sulla
pagina e illustrando con pochi tratti precisi ed energici, stilisticamente
ricercati perfino, la scena del New England della fine del XVII secolo dove è
ambientata la prima parte del racconto: "If
your throat is no better tomorrow, we'll have Phillip pee in a cup for you to
gargle." From the way the house smelled, Phillip didn't bother
much with cups. Cotton Mather smelled of smoke and sweat and wetwool. Winter
had come early. The sky was black, the ground was white, the wind pinched like
a witch and whined like a starving dog. There was no color in the landscape and
no mercy. Cotton
Mather prayed to see the invisible world. Non esattamente il tipo di
luogo e di gente che si sceglierebbe di visitare in prima battuta avendo la
possibilità di spostarsi nel tempo. Non solo l’opprimente sentimento religioso
dei Puritani e della loro Legge Divina ossessiva. La prima parte del racconto
mostra un ambiente umano di immaginazione sovreccitata, una cultura il cui
immaginario era tanto potente quanto morboso, e tanto ricco di barbarie barocca
quanto fissato su un sovrannaturale sospeso tra un Bene spietato e cieco alla
comprensione umana e un Male multiforme dai riflessi orrorifici profondi. Dalla
padella alla brace. Ambiente perciò anche fecondo, letterariamente parlando. E’
facile vedere Lovecraft nel futuro di quell’immaginario.
Il Millemondi autunno del 1997 contenente il racconto tradotto |
Già nell’incipit,
una volta conclusa la lettura, è possibile riconoscere come il racconto non si
fermi a una banale lettura futuribile del fenomeno religioso. I am the angel sent to Cotton Mather. Qui è necessaria una digressione di cui mi
scuso. La traduzione è: Sono l’angelo
(che è stato) mandato a Cotton Mather. Nel volume italiano si legge invece:
Sono l’angelo che è stato visto da Cotton
Mather. Al di là di una certa goffaggine stilistica a fronte della
secchezza della frase di Patricia McKillip si tratta di una semplice differenza
nei termini scelti dall’autrice e da chi ha tradotto? Non direi proprio, in
sede di traduzione si è operato uno stravolgimento di senso dell’originale. Che
non a caso rende più difficoltoso individuare il nocciolo del discorso della
scrittrice americana. “Sono l’angelo mandato a Cotton Mather” chiarisce
immediatamente che l’uomo non è un allucinato; e non importa che l’angelo non
gli sia inviato dal Dio che Mather prega, non importa che si tratti di una
donna del futuro truccata da angelo stereotipato ai fini di una ricerca storica
e sociologica sul campo. Ciò che rileva è che l’angelo non è un parto della
mente malata e allucinata del leader puritano: Mather non è il creatore della
visione ma il suo ricevitore, e l’angelo non è andato lì sua sponte, ma è stato mandato presso di lui. “Sono l’angelo che è
stato visto da Cotton Mather” comporta una netta modificazione di senso, a
partire dall’ambiguità sotterranea sul soggetto: l’angelo è stato visto per sua
decisione, perché qualcun altro ha deciso in tal modo oppure perché Mather è in
effetti un fanatico ai limiti della psicosi? Essendo Mather un puritano e
dunque un protestante che appartiene a una cultura altra dalla nostra, essendo
anche un noto cacciatore di streghe (o almeno sentito come tale) è per tale
motivo che va presentato senza dubbio al lettore come un invasato? Quanto
scrive in seguito l’autrice lo dipinge come tale, è vero, tuttavia l’ottica è
diversa. Patricia McKillip offre una lettura laica e scientifica dell’uomo e
del suo ambiente spirituale, sin da quella prima frase. La traduzione dell’incipit orienta invece l’interpretazione
della figura di Mather non tanto sulla sua esaltazione mentale quanto
sull’aspetto religioso di essa. In apparenza è una differenza sottilissima, e
non vi è dubbio che Cotton Mather fosse un individuo la cui vita era dominata
da una religiosità totalizzante. Ma questo è il Mather storico, non quello del
racconto, che è un puro esemplare: un oggetto di studio per Nici, la
ricercatrice addobbata da angelo e per il suo capo, nonché un personaggio
scelto per il suo valore riassuntivo, iconico. Giuseppe Lippi, l’allora come
oggi curatore di Urania e collegati, probabilmente ci direbbe che si tratta di
uno di quegli interventi di “editing” (così vengono definiti… vabbe’) che
migliorano la qualità delle opere tradotte e per i quali si deve ringraziare.
Cotton Mather da anziano |
Al di là della sciatteria della traduzione che fa perdere
la bellezza essenziale di quella frase introduttiva, qui si finisce però con il
manipolare la lettura, sottolineando all’attenzione del lettore un aspetto che
nell’architettura del racconto è accessorio; e mutando il soggetto attivo della
visione si viene a perdere la circolarità del racconto e dunque il suo senso
profondo, il gioco di specchi tra Nici e Cotton Mather. Nella frase di Patricia
McKillip il puritano non è in grado di creare la propria visione senza un
intervento esterno; che tale intervento sia di Dio o degli uomini del futuro
come detto non è così importante. Esattamente come alla fine del racconto Nici
e suo figlio Brock (e intuitivamente tutti gli uomini del futuro) non sono in
grado di creare materialmente il proprio immaginario visivo senza un intervento
esterno, in questo caso di un prodotto della tecnologia umana, un computer.
Senza il computer Nici non avrebbe visualizzato i propri sentimenti nella
figura dell’angelo ingabbiato, impossibilitato a prendere la sua libertà e
volare (e a mutare la Storia). Viceversa nella frase tradotta Mather appare
ambiguamente come il possibile creatore di una visione allucinata e il soggetto
attivo della visione, invece che il suo oggetto e un oggetto di studio.
L'antologia dove venne originariamente pubblicato il racconto |
Ma questo non è un racconto di argomento religioso o una
descrizione razionalistica del fanatismo religioso. Neppure mostra una
contrapposizione tra ragione e fede. E’ invece una storia sui meccanismi e i
percorsi creativi della mente umana, sulla fantasia e su come essa opera. Senza
dubbio il sentimento religioso è un generatore potente del nostro immaginario,
ma come lo è anche la scienza e la tecnologia che ne deriva. Sia Cotton Mather
che Nici sembrano accomunati della impossibilità di dare corpo materiale alla
loro visione angelica, e l’uno e l’altra ci appaiono vittime di un immaginario
che li condiziona dall’esterno e che li manipola: Nici appare a Mather sotto le
spoglie di un angelo da manuale confermando quelle che sono le sue illusioni, e
l’illusorio angelo dà forma ai sentimenti di impotenza di Nici riguardo alla Storia
e alla sua immutabilità. Sembra una conclusione sconfortante: da una parte la
fede frutto di illusioni e dall’altra la ragione che non può cambiare né creare
la realtà – compresa l’illusorietà della fede.
C’è qualcos’altro? Forse sì. Questa
è una storia sulla fantasia e la creatività umane, dicevo: Nici è l’Autore e
Cotton Mather è il Lettore. Il Lettore si attende che il racconto abbia certe
caratteristiche, che la creazione letteraria venga incontro al suo immaginario
incardinato nelle immagini stereotipate della tradizione e introiettate nella
sua coscienza. L’Autore si sente ingabbiato dalla tradizione ed è incapace di
liberarsi dalla struttura della realtà (realtà editoriale, realtà degli schemi
della scrittura). Di nuovo una conclusione mesta? Il racconto termina con questa
frase di Nici: When I opened my eyes, the
angel had disappeared. Sembra una resa, l’accettazione di una realtà che
l’uomo non può mutare. Ma non è Nici che apre gli occhi sulla realtà, è
l’autrice che li apre sulla propria fantasia. Se si aprono gli occhi sul
proprio mondo interiore e la sua fantasia, gli angeli della tradizione
scompaiono, se si vuole e se ne è capaci. E si dà la stura alle risorse del
proprio immaginario. Che si nutre della tradizione, si nutre dei sentimenti, si
nutre della scienza. Si nutre del passato e del futuro. Così come Nici ha
nutrito le visioni di Cotton Mather e questi ha contribuito a strutturare la
fantasia di lei. Così nasce una storia, magari una gemma come questo racconto:
dai mille rivoli dei quali si nutre la fantasia umana, e dal catalizzatore del
talento di un individuo. Patricia McKillip aveva scritto prima del puritano
che: Cotton Mather prayed to see the
invisible world. Nici glielo mostrerà esattamente come egli aspettava che
fosse, ma con questo racconto la scrittrice americana fornisce invece a noi
lettori una chiave per non desiderare che gli angeli siano tutti biondi,
boccoluti, intunicati di bianco e aureolati d’oro. Una chiave per cercare nella
ricchezza proteiforme dei mondi di fantasia, per crearli da lettori insieme
agli scrittori.
Forse poco nota in Italia (e un po’ dimenticata), Patricia
McKillip è non solo una prolifica scrittrice principalmente di fantasy, ma soprattutto
una delle protagoniste contemporanee della letteratura fantastica.
link dove è possibile scaricare il file .pdf del racconto in inglese:
2 commenti:
Grazie, magnifica recensione. Tutto quello che viene da "The best of ..."è sempre materiale di prima scelta.
Grazie :).
Hai assolutamente ragione, Hartwell si dimostra sempre un curatore d'eccezione, a partire da questa prima antologia.
V.
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