domenica 21 luglio 2013

I contemporanei – Nel Deserto delle Cadillac, con i morti (On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks, 1989) di Joe R. Lansdale (n.1951)


È il 2002, la meravigliosa collana AvantPop di Fanucci è tra noi e presenta un’antologia di racconti di Joe R. Lansdale, Maneggiare con cura, che porta il solleticante sottotitolo “I migliori racconti di Joe R. Lansdale”. L’antologia nasce per il mercato italiano e contiene una nutrita selezione di racconti lansdaliani degli anni ’80 e ’90, tra i quali la breve novella premio Stoker On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks, che risulta qui alla sua quinta pubblicazione italiana.

Credo che Lansdale non abbia bisogno di presentazioni: poliedrico e fin troppo prolifico, lo scrittore americano è una delle penne più note e attive della grande letteratura popolare da circa un trentennio; e la sua produzione copre praticamente ogni genere, con forse una qualche maggior propensione per l’horror, declinato e ibridato in ogni variante. Fin troppo prolifico perché la mastodontica mole di pagine scritte da Lansdale nella sua vita ha talvolta preteso il prezzo di una scrittura, pur sempre piacevole e accattivante, che si fa di maniera e tende a essere stilisticamente ripetitiva. Un difetto veniale a fronte di storie che non mancano quasi mai di coinvolgere il lettore e suscitarne sì il raccapriccio o il disgusto, ma conditi da una tale dose di ironia, grottesco e assurdo da suscitarne ancor più il divertimento: al suo meglio, Lansdale ha una scrittura oltraggiosa, ma troppo divertente e divertita.

Il vero rischio è di gigioneggiare in eccesso, ed è un fatto che in questa breve novella Lansdale corteggi costantemente tale pericolo. È un fatto anche che la sua scrittura sia così flamboyant e caricaturalizzata da far allargare il sorriso alla lettura dei più estremi dettagli splatter, dei ripetuti e insistiti riferimenti scatologici, delle coloriture verbali da dialoghi di z-movies (nel senso sia di zombie movies che di film di serie z), del sesso mostrato a piene mani e in ogni sua variante. È la maestria di Lansdale con le parole a rendere non solo divertente, ma letterariamente raffinato, un materiale che in altre mani farebbe venire la nausea – dettata da noia e sazietà - dopo una riga. Per dire: la storia racconta di un cacciatore di taglie, Wayne, che è sulle tracce di una specie di orco colpevole di quasi ogni possibile delitto di natura sessuale, Calhoun. Nella seconda sequenza della novella Lansdale ci inquadra così Calhoun: The last bounty hunter had been the famous Pink Lady McGuire–one mean mama–three hundred pounds of rolling, ugly meat that carried a twelve-gauge Remington pump and a bad attitude. Story was, Calhoun jumped her from behind, cut her throat, and as a joke, fucked her before she bled to death. This not only proved to Wayne that Calhoun was a dangerous sonofabitch, it also proved he had bad taste. Per fornire una descrizione di Pop, il tipo che è stato una specie di padre putativo per il protagonista Wayne, si lancia invece in questa edificante narrazione: And he wanted a chance to do right by Pop. Pop had been like a father to him. When he was a kid and his mama was screwing the Mexicans across the border for the rent money, Pop would let him hang out in the yard and climb on the rusted cars and watch him fix the better ones, tune those babies so fine they purred like dick-whipped women.

When he was older, Pop would haul him to Galveston for the whores and out to the beach to take potshots at all the ugly, fucked-up critters swimming around in the Gulf. Sometimes he’d take him to Oklahoma for the Dead Roundup. It sure seemed to do the old fart good to whack those dead fuckers with a tire iron, smash their diseased brains so they’d lay down for good. And it was a challenge. ‘Cause if one of those dead buddies bit you, you could put your head between your legs and kiss your rosy ass goodbye. E così via. Non è da tutti riuscire a rendere brioso, discorsivo e leggero un tono così, una scrittura tanto lavorata per essere programmaticamente estremizzata. Non è sempre neppure da Lansdale, ma in questa novella sì, di sicuro. E ne risulta una piccola gemma.

Book of the Dead, dove fu pubbliacata in origine la novella
Premiato racconto horror, la novella è però indubbiamente anche fantascienza. Un purista all’estremo probabilmente la disconoscerebbe; tuttavia il panorama, fisico e spirituale, di un’America totalmente distopica, di uno scenario post-apocalittico (e della cui apocalisse oltre l’essenziale ben poco ci è detto), è quello di un futuro più o meno prossimo basato sulla caricatura estrema dei guasti della società coeva al racconto. È un panorama nel quale si agitano, con i suoi animali mutanti, i segni fisici di una scienza disumanizzata e fuoriuscita dal controllo dell’uomo; i fantasmi spirituali di questa scienza, tradottisi nella follia e nel distacco psicotico dall’umanità di Fratello Lazzaro, uno degli scienziati che hanno indubbiamente avuto parte nello scatenamento dell’apocalisse; gli individui umani che la scienza disumanizzata ha prodotto: i morti dementi che tornano in vita, per divorare i viventi – o per essere carne morta da irreggimentare da parte del primo messia pazzo e carismatico, come è appunto Fratello Lazzaro. Lansdale non darà un finale ottimistico o consolatorio: non ci sarà amore a redimere la ribellione contro il disordine costituito di Fratello Lazzaro, ci sarà solo morte. Del resto un mondo simile, un’umanità del genere, individui come Calhoun e anche lo stesso Wayne e la sfortunata Sorella Worth, la non morta che si ribellerà all’ordine costituito, non sono redimibili più di quanto lo siano Lazzaro e il suo ordine religioso di pazzoidi: Calhoun per motivi evidenti; Sorella Worth perché non è più un individuo autonomo, senza i frutti avvelenati di quel (dis)ordine al quale si è ribellata non potrebbe vivere: solo morire, conquistando una morte da donna libera. E Wayne perché, a ben vedere, è indifferente all’ordine e al disordine. È parte di quel genere di umanità che scivola nell’indifferenza e vi sguazza, Wayne, e si adatta a ogni nefandezza, contentandosi di essere – o reputarsi – migliore dei peggiori. Dei Calhoun. Non a caso Lansdale pone questa frase come introduzione della novella: a story of the Bad Guys and the Bad Guys: che è una frase a effetto, ma è anche una dichiarazione di intenti che rispetterà.

Horror Story n.3 della Garden Editoriale, prima pubblicazione italiana
Al di là della lettura metaforica, pienamente legittima, questa storia è pure, e forse di più, un’avventura avvincente. Un western futuribile, racconto di una desolazione prossima, quando l’apocalisse sarà avvenuta e gli uomini e le donne tenteranno ancora di dare una parvenza di ordine alle rovine del loro mondo. La storia di una caccia all’uomo, raccontata mille volte e popolata dai personaggi classici del genere: individui spregevoli che sanno però mantenere la parola data; il cacciatore di taglie, ambiguo e sfuggente, improvvisamente tenero e dal cuore tanto marcio quanto dolce; la pupa traviata, destinata inevitabilmente a una brutta fine. È una storia on the road, tipicamente a stelle e strisce, ambientata nei paesaggi più estremi di un’America dimenticata; soprattutto: di un’America futura dimenticata che è lo specchio e la profezia di quella attuale. Un’avventura che è un fuoco di fila: di situazioni bizzarre e adrenaliniche; di dialoghi scoppiettanti; di descrizioni esagerate e barocche. Lansdale ha una penna fiammeggiante, intrisa a prima vista del peggior maschilismo e di un gusto morboso per ogni dettaglio sgradevole. Ma è il primo a divertirsi per le sue esagerazioni, e tanto iperrealismo sarcastico contribuisce puntualmente a definire la natura letteraria di quanto scrive, a dare corpo a quella che, pur nerissima e attraversata da una beffarda coprolalia, è anche una fiaba. Della fiaba ha appunto la lettura metaforica e la natura avventurosa. Della fiaba moderna ha gli zombie.

La seconda pubblicazione italiana, presso Mondadori
Zombie e vampiri sono da anni moneta corrente in letteratura, fumetti, cinematografia – e moneta ormai fin troppo deteriorata dalle varianti fighettose che inquinano appunto schermi e librerie; al tempo in cui Lansdale scrisse On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks non era ancora avvenuta l’alluvione, tuttavia i morti viventi erano già saldi nell’immaginario - e nell’industria del divertimento. Nella nostra Italia, pochi anni prima, il genio visionario di Tiziano Sclavi aveva dato vita, nella profonda diversità delle personalità dei due autori, a qualcosa di molto simile nel primo albo di Dylan Dog, a oggi l’ultimo fumetto che sia diventato in Italia vero e proprio fenomeno di costume. Sclavi e Lansdale sono scrittori – e appaiono uomini – molto diversi, ma Xabaras (il nemico/padre di Dylan Dog) e Fratello Lazzaro hanno i loro punti di contatto e somiglianza.

On the Far Side of the Cadillac Desert with Dead Folks è dunque una storia ben inserita nello spirito dei suoi tempi. Elabora con consapevolezza e con distacco ironico un materiale contaminato e ibridato; pesca a piene mani nei generi della cultura popolare per trovarvi i personaggi tipici, farli muovere secondo schemi consolidati ma in scenari narrativi “moderni” e accattivanti; usa il linguaggio per giocare a scandalizzare il lettore e per conferire al racconto una dimensione grottesca e caricaturale che ne mitighi il contenuto di disperazione. Ed è un bel saggio di talento e virtuosismo, oltre che di smaliziata furbizia.

La breve novella è leggibile in inglese a questo indirizzo: http://web.archive.org/web/20020803155914/http://joerlansdale.com/stories.shtml

10 commenti:

James ha detto...

E’ sempre un gran piacere leggerti, una scrittura notevole. Ammirato!

Venendo al tema, devo dire che l’horror non rientra esattamente tra i miei generi preferiti, talché di recente, tanto per capire, per vagliare se questo fosse solo un mio preconcetto, ho fatto qualche rapida incursione nella materia… che francamente mi ha confermato nell’idea che avevo. Vabbè, fin qui de gustibus. Ma infatti non era su questo che volevo soffermarmi, quanto su un convincimento che ormai mi sono fatto e che colgo adesso l’occasione di condividere, e cioè che l’horror, più che altri generi, abbia INTRINSECAMENTE bisogno di suoni e immagini per essere reso appieno (atmosfere, suspense, splatter, ecc.) e che quindi la sua sede più congeniale, c’è poco da fare, sia quella cinematografica piuttosto che la pagina di un libro.

Poi, per carità, non ho letto Lansdale né tanti altri, quindi non vorrei essere categorico, ma intanto condivido molto questa mia opinione :-)

Ciao,
J

Iguana Jo ha detto...

Beh… J, Landale è INTRINSECAMENTE pieno di suoni e immagini, e il suo è un horror definitivamente borderline (nemmeno io apprezzo l'horror, ma davvero, Lansdale è altra cosa).

Bel post, Vincenzo. E sempre viva Lansdale! :-)

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie James, grazie Giorgio ;-)

Lansdale è di fatto uno scrittore molto "visivo" e "sonoro", non c'è dubbio che sappia rendere le scene che descrive come se fosse possibile ascoltare e vedere vividamente quanto avviene. Ed è altrettanto vero che il suo horror è molto sui generis, estremamente ibridato. Una storia come questa qui può tranquillamente essere considerata fantascienza. E così anche io, che mi aggiungo a voi nell'essere poco amante della letteraura orrorifica, una storia come questa posso goderla appieno.

Per un approccio a Lansdale, James, ti potrebbe essere più congeniale uno dei romanzi del ciclo di Hap e Leonard. Forse :)

V.

Vincenzo Oliva ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
James ha detto...

Grande curiosità per quest’autore che non conosco. Grazie, Vincenzo, per il suggerimento. Preso nota.

Iguana, che piacere!, ti leggo sempre.

Chiaro il concetto di ibrido, borderline nella produzione di Lansdale; e non ho dubbi sulla sua capacità di “rendere” su carta persino particolari effetti visivi o sonori (e questi sono i grandi scrittori, ne conosco alcuni).

Ma infatti nella mia riflessione non a lui mi riferivo. Forse sono stato io borderline nella mia prosa stringata :-) Mi sono semplicemente preso la libertà di aprire una parentesi a parte sull’horror vero e proprio, quello che noi non amiamo (personalmente nemmeno quello cinematografico, per intenderci).

[E l’idea, più che altro un sospetto, è che in altri termini per questo, e specificamente per questo, genere di narrativa - che fa dell’impatto visivo e uditivo il suo punto caratterizzante - forse davvero la pagina scritta non è più sufficiente, PER QUANTO BRILLANTE POSSA ESSERE L’AUTORE; esattamente nello stesso senso in cui possiamo certamente affermare che neppure la più vivida delle descrizioni in un libro di storia dell’arte o nel catalogo di una pinacoteca possa “replicare” un dipinto, in quanto fatto di tela e colori, e non di parole.

Certo, mi direte, se la si mette su questo piano allora la stessa obiezione, di impotenza della pagina scritta, si potrebbe sollevare anche per altri generi, es. il thriller - nelle sue varie declinazioni - o la fantascienza stessa che pure vivono di suspense e di effetti speciali, ma, come ben sappiamo, qui l’obiezione non regge per tutta l’esperienza che noi stessi abbiamo di immaginari invero estremamente efficaci che i grandi narratori di questi generi hanno saputo produrci nella lettura. Mentre secondo me nel caso dell’horror puro, ripeto, c’è qualcosa che di norma non funziona sulla pagina: per dire, il tuffo al cuore per una porta sbattuta nel buio credo che solo il grande, o piccolo, schermo lo possa dare.

Comunque, mi rendo conto, non c’entra con Lansdale. Chiudo la parentesi.]

Ciao,
J

Vincenzo Oliva ha detto...

Non so, James, la tua è sicuramente un'interpretazione - o meglio una sensibilità - possibile e più che legittima. Quanto meno per certi tipi di storie horror (lo splatter, direi, soprattutto). Per altre atmosfere, e in particolare per l'orrore più metafisico, io credo che la carta stampata e le suggestioni che la parola scritta crea nella mente del lettore possano lavorare anche meglio dell'immagine e del suono veicolati da un film. Tempo addietro ho scritto a proposito di una celebre ghost story di Oliver Onions, non so se hai avuto occasione di leggerla (la storia di Onions più che la mia recensione :D); ecco, credo che quella novella, La bella adescatrice, sia semplicemente perfetta come storia da leggere.

V.

James ha detto...

Concordo e oscillo al tempo stesso :-))) Mille pensieri.
Comunque proverò con Onions, grazie anche in questo caso per il suggerimento.

E poi un giorno dovremo pur affrontare il grande tema se l’esercizio della critica in materia letteraria sia o meno una scienza esatta :-)

Ciao, grazie
J

Vincenzo Oliva ha detto...

Eh, saperlo! :)

V.

Iguana Jo ha detto...

@ James che scrive: E poi un giorno dovremo pur affrontare il grande tema se l’esercizio della critica in materia letteraria sia o meno una scienza esatta :-)

Non lo è. Mai. Punto. :-)

(troppo categorico?)

James ha detto...

:-))) eh già!

E’ affascinante che non abbia soluzione il problema di stabilire chi tra A e B nell’esprimere un giudizio su un libro o su autore abbia ragione e perché. Immagino frotte di peripatetici consumarsi le suole alla ricerca del bandolo… e io tra loro che a un certo punto, con la manina a mezz’aria: “Be’, signori, s’è fatta ‘na certa” :-)))