venerdì 4 giugno 2010

Il classico: Il grande cortile (The big front yard - 1958) - di Clifford D. Simak (1904-1988)


The big front  yard è uno dei capolavori di Clifford Simak, e probabilmente la sua più bella novella. Non lo rileggevo dalla prima volta, più di 25 anni fa, e non mi è apparso invecchiato per nulla. Se mai, alcuni suoi passaggi assumono un significato più completo e complesso dopo un ulteriore, abbondante quarto di secolo di letture alle mie spalle e dopo un ulteriore quarto di secolo di storia. Esso appare – insidiosamente - come una storia semplicistica al lettore di età post-cyberpunk (è un racconto del 1958), assuefatto alle danze dei bit nel cyberspazio, alle coscienze informatiche virtuali e a quelle umane digitalizzate; è probabilmente inevitabile, ma è un errore lasciarsi fuorviare dall'apparenza immediata dell'ambientazione rurale, dell'umanità spacciata per quasi contadina che è raccontata nelle pagine della novella, lasciandosi guidare all'errore di prospettiva di un'ingenuità affatto assente.

The big front yard è invece senza dubbio una storia raccontata con semplicità: la semplicità acuminata che deriva dalla eliminazione dei livelli di complessità privi di utilità, dalla riduzione della complessità al suo livello primario di funzionamento.

Simak narra di un primo contatto con una specie aliena, e per farlo elabora il suo racconto come un'architettura che si mostri in tutta linearità e trasparenza, parlando di vita quotidiana nell'America rurale eisenhoweriana: piccolo commercio, lo scemo del villaggio, un tessuto sociale e umano che seppure a fatica continuava a tenere il consumismo fuori della porta. Apparenza. Al di sotto, la storia rivela un trama fitta di riflessioni sulla condizione umana, sulla natura, sui rapporti secondo i quali si strutturano le relazioni di potere. Quasi un ipertesto; come ipertestuale ci appare la struttura del mondo con il quale entra in contatto il protagonista Hiram Taine: un portale di mondi, per mondi. Si dice che la fantascienza dei decenni passati non previde, né avrebbe potuto farlo, il fenomeno di internet; ma con solo un po' di immaginazione non è difficile rintracciare la struttura fondamentale della rete in quella dei varchi dimensionali presenti in questo romanzo breve. Ancora, The big front yard testimonia l'autonomia e l'anticonformismo propositivo del suo autore: in pieno decennio degli anni '50 Simak scrive una storia che si distacca completamente dal clima paranoico del periodo, esemplificato dagli Ultracorpi di Jack Finney, elaborando una piattaforma relazionale opposta e del tutto priva di contenuti utopistici, di ingenuità moralistiche: anzi radicata con solidità nella razionalità. E a farlo non è un angry young man che capti i primissimi prodromi della contestazione di Berkeley ancora di là da venire: no, a farlo è un compassato signore di mezza età che ha abbondantemente traguardato la cinquantina.

E' così che trova senso l'inizio in sordina, con la caratterizzazione  piana e distesa del protagonista, del suo cane e dello sparso ambiente umano che li circonda, per la quale Simak impiega un tempo che sembra eccessivo, ma serve in pieno a creare l'atmosfera della narrazione e il ritmo psicologico da assumere nella lettura; la piega iniziale della novella, quasi fiabesca, che suggerisce la reminiscenza dei Grimm e del calzolaio povero in canna che ogni mattina trovava sulla sua scrivania di lavoro le scarpe confezionategli
dagli gnomi; l'accento posto quasi con casualità eppure con chiarezza sulla resistenza dell'individuo alla pervasività dello stato - quasi un tratto heinleiniano! Tutto questo armamentario, come il tradizionalismo enfatizzato nel protagonista, l'attaccamento a una dimensione elementare del vivere e sentire umani, serve a Simak per nascondere, o meglio per lasciar affiorare lentamente, a disposizione di chi abbia occhi e pazienza per svelare il gioco, il suo interesse profondo e tutto centrato sulla relazionalità dei sentimenti umani. L'alieno, come il diverso, in Simak è lo straniero fuori della nostra porta. La relazione con lui implica la ricerca dei punti di contatto, ricerca programmaticamente complessa e laboriosa, e competitiva (il tortuoso modo di comunicare con gli alieni, attraverso un doppio filtro di traduttori esemplifica il fenomeno). Un percorso mai facile, ma sempre fruttuoso, a differenza della sua alternativa aggressiva. E nulla di ingenuo ha la figura dello scemo del villaggio, Beasly, che sembra mutuata da Sturgeon; Beasly, elemento cardine della catena di comunicazione con gli alieni è un memento del valore della diversità culturale e naturale; come un
memento della possibilità che ciascuno di noi si riveli poi il debole svantaggiato rispetto a un altro più forte.
Le Grandi storie della fantascienza, il volume dell'anno 1958 dove la novella ha avuto una delle sue innumerevoli antologizzazioni

La critica propaganda per solito la vulgata di un Simak cantore del buon tempo andato, del natio Wisconsin campagnolo elevato a paradigma culturale di un Paradiso perduto, di una civiltà primitiva, immobile, fondata su una sorta di primato di un amore acritico e lasciato ai sentimenti di buona volontà dell'uomo. The big front yard mostra una realtà diversa: Simak è il consapevole teorizzatore di un universo relazionale fondato sulla
cooperazione basata su obiettivi molto concreti (il protagonista Hiram è un Homo Faber e un mercante: sono le attività della moderna civiltà), su una solidarietà che non esclude la competizione ma la mitiga nell'ottica di non dispersione di forze utili.

La novella è stata variamente titolata in Italia: "Il grande cortile" nel volume Bompiani "Gli extraterrestri" in cui la lessi e l'ho riletta, ma la prima traduzione fu con il titolo "L'aia grande", poi ripreso più frequentemente, anche nelle raccolte dei premi Hugo (lo ebbe nel 1959). Infine, conta una traduzione anche come "Il lungo cortile".

8 commenti:

Nome: gg ha detto...

Uno dei più bei racconti di tutti i tempi. Un Simak veramente ispirato al meglio. Solo "City" e "La casa dalle finestre nere" sono, a mio avviso, superiori.

Vincenzo Oliva ha detto...

Eh sì, una novella del genere è sufficiente per entrare nella storia della letteratura. Qui lo sguardo di Simak raggiunge una finezza nell'analisi, sociale e psicologica, che lascia incantati.

V.

butchwalts ha detto...

Letto finalmente oggi. Recensione perfettamente centrata, come sempre :-) e pagine che ricordano da vicino il capolavoro "City" a partire dal nome del cane Towser. Davvero un'ottima lettura

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie :-)

E grazie a Simak che ha scritto tante cose che stimolano la riflessione. Sono sicuro che quando leggerai Infinito ti piacerà come City.

V.

Nome: gg ha detto...

A mio personalissimo parere "Anni senza fine" ("City") resta insuperato. La nostalgia che lo pervade, la scrittura piana ma ricca di suggestioni e il messaggio che tutte le forme di vita meritano lo rendono il più bel romanzo di sf di tutti i tempi. Quasi allo stesso livello è "La casa delle finestre nere". A chi è piaciuto "The big front yard" consiglio di leggerli assolutamente.

Vincenzo Oliva ha detto...

Simak ha scritto davvero tante splendide cose. Anche tra i romanzi "minori" ce ne sono che per toni e atmosfere rimandano a quella sua visione illuminata. Ricordo sempre con piacere, ad esempio, Il villaggio dei fiori purpurei.

V.

Nome: gg ha detto...

Vero. A me sembra, però, che "Il villaggio dei fiori purpurei" sia un pochino più "usuale" nel senso di "già letto". Parere personale, ovvio. Comunque questo "dialogo" a distanza mi ha fatto venir voglia di rileggere queste opere di Simak. Per "City" sarà la 9 o 10 volta!
Grazie a Omelas (Vincenzo).

Vincenzo Oliva ha detto...

Senza dubbio, per questo parlavo di romanzi minori. Il villaggio è un'opera di routine se vogliamo - del resto Simak ha scritto davvero tanto, pur senza essere uno stakanovista come Asimov o Silverberg.

Grazie a te per l'attenzione e gli interventi!

V.