domenica 8 luglio 2012

I contemporanei – Meraviglie dell’Invisibile (Wonders of the Invisible Worlds, 1995) di Patricia A. McKillip (n.1948)


 Vi sono racconti che rappresentano un enigma e una sfida, e anche una sofferenza. Sofferenza perché vanno a toccare delle corde interiori, tese e sensibili, e toccandole, stuzzicandole, le attivano e ne attivano la carica ansiogena. A fine lettura si prova il disagio di essere appena entrati in contatto con un rovello irrisolto; o, con minor disagio, come in questo caso, con una questione lungamente analizzata e dibattuta al proprio interno senza venirne mai davvero a capo. Un enigma perché spesso in tali occasioni non è immediato riconoscere il rovello o la questione; e gli enigmi sono fatti per installarsi nella parte inquisitiva della nostra mente in modo da tormentarci perché li affrontiamo e li risolviamo. Infine una sfida per l’ovvio motivo che il racconto in grado di tormentarci a questo punto va aperto come un guscio di noce perché riveli quale sia l’elemento che sfugge alla nostra comprensione immediata.

 I am the angel sent to Cotton Mather. Così esordisce Wonders of the Invisible Worlds (che Patricia McKillip mutua dall’opera quasi dello stesso titolo del teologo e leader puritano Cotton Mather, figlio di Increase Mather, egli pure celebre leader puritano del New England coloniale). Siamo dalle parti, fantascientificamente assai e volentieri frequentate, dell’interpretazione/riscrittura in chiave fantastica dell’elemento religioso/trascendente? Da una scrittrice nata a Salem (benché l’altra, quella in Oregon J) sarebbe lecito attenderselo, ma è una lettura che si rivela povera e limitata. Nella brevità delle sue poche pagine, questo racconto è molto più ricco e sottile che non una divagazione sulla religione o sul DNA religioso degli Stati Uniti, e non stupisce minimamente che David Hartwell lo abbia incluso nel primo volume di quella che sarebbe divenuta la sua felice serie di antologie annuali del Best of the year. La figura storica di Cotton Mather appartiene di diritto ai miti fondanti della nazione e ne rappresenta alla perfezione la vocazione a un’ottusa fede, assolutista e rigorista; ma nell’economia del racconto di Patricia McKillip egli è un pretesto, seppure un pretesto esemplare. Come esemplare è per altro la descrizione che l’autrice dà dell’uomo e del suo ambiente familiare e sociale con una vividezza perfino sgradevole, sbalzandone con vigore la figura sulla pagina e illustrando con pochi tratti precisi ed energici, stilisticamente ricercati perfino, la scena del New England della fine del XVII secolo dove è ambientata la prima parte del racconto: "If your throat is no better tomorrow, we'll have Phillip pee in a cup for you to gargle." From the way the house smelled, Phillip didn't bother much with cups. Cotton Mather smelled of smoke and sweat and wetwool. Winter had come early. The sky was black, the ground was white, the wind pinched like a witch and whined like a starving dog. There was no color in the landscape and no mercy. Cotton Mather prayed to see the invisible world. Non esattamente il tipo di luogo e di gente che si sceglierebbe di visitare in prima battuta avendo la possibilità di spostarsi nel tempo. Non solo l’opprimente sentimento religioso dei Puritani e della loro Legge Divina ossessiva. La prima parte del racconto mostra un ambiente umano di immaginazione sovreccitata, una cultura il cui immaginario era tanto potente quanto morboso, e tanto ricco di barbarie barocca quanto fissato su un sovrannaturale sospeso tra un Bene spietato e cieco alla comprensione umana e un Male multiforme dai riflessi orrorifici profondi. Dalla padella alla brace. Ambiente perciò anche fecondo, letterariamente parlando. E’ facile vedere Lovecraft nel futuro di quell’immaginario.

Il Millemondi autunno del 1997 contenente il racconto tradotto
Già nell’incipit, una volta conclusa la lettura, è possibile riconoscere come il racconto non si fermi a una banale lettura futuribile del fenomeno religioso. I am the angel sent to Cotton Mather.  Qui è necessaria una digressione di cui mi scuso. La traduzione è: Sono l’angelo (che è stato) mandato a Cotton Mather. Nel volume italiano si legge invece: Sono l’angelo che è stato visto da Cotton Mather. Al di là di una certa goffaggine stilistica a fronte della secchezza della frase di Patricia McKillip si tratta di una semplice differenza nei termini scelti dall’autrice e da chi ha tradotto? Non direi proprio, in sede di traduzione si è operato uno stravolgimento di senso dell’originale. Che non a caso rende più difficoltoso individuare il nocciolo del discorso della scrittrice americana. “Sono l’angelo mandato a Cotton Mather” chiarisce immediatamente che l’uomo non è un allucinato; e non importa che l’angelo non gli sia inviato dal Dio che Mather prega, non importa che si tratti di una donna del futuro truccata da angelo stereotipato ai fini di una ricerca storica e sociologica sul campo. Ciò che rileva è che l’angelo non è un parto della mente malata e allucinata del leader puritano: Mather non è il creatore della visione ma il suo ricevitore, e l’angelo non è andato lì sua sponte, ma è stato mandato presso di lui. “Sono l’angelo che è stato visto da Cotton Mather” comporta una netta modificazione di senso, a partire dall’ambiguità sotterranea sul soggetto: l’angelo è stato visto per sua decisione, perché qualcun altro ha deciso in tal modo oppure perché Mather è in effetti un fanatico ai limiti della psicosi? Essendo Mather un puritano e dunque un protestante che appartiene a una cultura altra dalla nostra, essendo anche un noto cacciatore di streghe (o almeno sentito come tale) è per tale motivo che va presentato senza dubbio al lettore come un invasato? Quanto scrive in seguito l’autrice lo dipinge come tale, è vero, tuttavia l’ottica è diversa. Patricia McKillip offre una lettura laica e scientifica dell’uomo e del suo ambiente spirituale, sin da quella prima frase. La traduzione dell’incipit orienta invece l’interpretazione della figura di Mather non tanto sulla sua esaltazione mentale quanto sull’aspetto religioso di essa. In apparenza è una differenza sottilissima, e non vi è dubbio che Cotton Mather fosse un individuo la cui vita era dominata da una religiosità totalizzante. Ma questo è il Mather storico, non quello del racconto, che è un puro esemplare: un oggetto di studio per Nici, la ricercatrice addobbata da angelo e per il suo capo, nonché un personaggio scelto per il suo valore riassuntivo, iconico. Giuseppe Lippi, l’allora come oggi curatore di Urania e collegati, probabilmente ci direbbe che si tratta di uno di quegli interventi di “editing” (così vengono definiti… vabbe’) che migliorano la qualità delle opere tradotte e per i quali si deve ringraziare.
Cotton Mather da anziano

Al di là della sciatteria della traduzione che fa perdere la bellezza essenziale di quella frase introduttiva, qui si finisce però con il manipolare la lettura, sottolineando all’attenzione del lettore un aspetto che nell’architettura del racconto è accessorio; e mutando il soggetto attivo della visione si viene a perdere la circolarità del racconto e dunque il suo senso profondo, il gioco di specchi tra Nici e Cotton Mather. Nella frase di Patricia McKillip il puritano non è in grado di creare la propria visione senza un intervento esterno; che tale intervento sia di Dio o degli uomini del futuro come detto non è così importante. Esattamente come alla fine del racconto Nici e suo figlio Brock (e intuitivamente tutti gli uomini del futuro) non sono in grado di creare materialmente il proprio immaginario visivo senza un intervento esterno, in questo caso di un prodotto della tecnologia umana, un computer. Senza il computer Nici non avrebbe visualizzato i propri sentimenti nella figura dell’angelo ingabbiato, impossibilitato a prendere la sua libertà e volare (e a mutare la Storia). Viceversa nella frase tradotta Mather appare ambiguamente come il possibile creatore di una visione allucinata e il soggetto attivo della visione, invece che il suo oggetto e un oggetto di studio.

L'antologia dove venne originariamente pubblicato il racconto
 Ma questo non è un racconto di argomento religioso o una descrizione razionalistica del fanatismo religioso. Neppure mostra una contrapposizione tra ragione e fede. E’ invece una storia sui meccanismi e i percorsi creativi della mente umana, sulla fantasia e su come essa opera. Senza dubbio il sentimento religioso è un generatore potente del nostro immaginario, ma come lo è anche la scienza e la tecnologia che ne deriva. Sia Cotton Mather che Nici sembrano accomunati della impossibilità di dare corpo materiale alla loro visione angelica, e l’uno e l’altra ci appaiono vittime di un immaginario che li condiziona dall’esterno e che li manipola: Nici appare a Mather sotto le spoglie di un angelo da manuale confermando quelle che sono le sue illusioni, e l’illusorio angelo dà forma ai sentimenti di impotenza di Nici riguardo alla Storia e alla sua immutabilità. Sembra una conclusione sconfortante: da una parte la fede frutto di illusioni e dall’altra la ragione che non può cambiare né creare la realtà – compresa l’illusorietà della fede. 

 C’è qualcos’altro? Forse sì. Questa è una storia sulla fantasia e la creatività umane, dicevo: Nici è l’Autore e Cotton Mather è il Lettore. Il Lettore si attende che il racconto abbia certe caratteristiche, che la creazione letteraria venga incontro al suo immaginario incardinato nelle immagini stereotipate della tradizione e introiettate nella sua coscienza. L’Autore si sente ingabbiato dalla tradizione ed è incapace di liberarsi dalla struttura della realtà (realtà editoriale, realtà degli schemi della scrittura). Di nuovo una conclusione mesta? Il racconto termina con questa frase di Nici: When I opened my eyes, the angel had disappeared. Sembra una resa, l’accettazione di una realtà che l’uomo non può mutare. Ma non è Nici che apre gli occhi sulla realtà, è l’autrice che li apre sulla propria fantasia. Se si aprono gli occhi sul proprio mondo interiore e la sua fantasia, gli angeli della tradizione scompaiono, se si vuole e se ne è capaci. E si dà la stura alle risorse del proprio immaginario. Che si nutre della tradizione, si nutre dei sentimenti, si nutre della scienza. Si nutre del passato e del futuro. Così come Nici ha nutrito le visioni di Cotton Mather e questi ha contribuito a strutturare la fantasia di lei. Così nasce una storia, magari una gemma come questo racconto: dai mille rivoli dei quali si nutre la fantasia umana, e dal catalizzatore del talento di un individuo. Patricia McKillip aveva scritto prima del puritano che: Cotton Mather prayed to see the invisible world. Nici glielo mostrerà esattamente come egli aspettava che fosse, ma con questo racconto la scrittrice americana fornisce invece a noi lettori una chiave per non desiderare che gli angeli siano tutti biondi, boccoluti, intunicati di bianco e aureolati d’oro. Una chiave per cercare nella ricchezza proteiforme dei mondi di fantasia, per crearli da lettori insieme agli scrittori.

 Forse poco nota in Italia (e un po’ dimenticata), Patricia McKillip è non solo una prolifica scrittrice principalmente di fantasy, ma soprattutto una delle protagoniste contemporanee della letteratura fantastica. 

link dove è possibile scaricare il file .pdf del racconto in inglese: