mercoledì 24 giugno 2009

[fantascienza] I contemporanei - Anatomia umana (Anatomia humana, 1993), di Carlos Chernov (1953- )



Scritto tempo fa, doveva apparire sul Corriere della Fantascienza ma poi ebbero non ricordo quali problemi e perdettero tutti i dati. Io non rimandai l'articolo. Viene buono ora :-).

La defunta collana AvantPop della Fanucci non ha presentato solo fantascienza; rappresentando il primo tentativo della casa editrice di allargare il proprio orizzonte oltre il campo in cui era nata. Non solo fantascienza, si diceva, ma sempre e comunque libri flippatissimi, dove flippato è un complimento: libri visionari.

Anatomia umana è l'una e l'altra cosa, comunque: flippato romanzo visionario e storia di fantascienza, pur senza un grammo di scienza o una minima spiegazione scientifica.

Carlos Chernov è argentino e psichiatra, queste le sole notizie che si ricavano dal libro; la rete soccorre facendo scoprire che è nato nel 1953 a Buenos Aires.

Anatomia umana è una storia di fantascienza molto classica, per certi versi, e sempre per certi versi la sua struttura e i suoi sviluppi sono altrettanto classici. Per altri versi è quanto meno bizzarra.

E' la storia di una catastrofe su scala planetaria (molto classico), la morte improvvisa e senza motivo - senza un motivo che il romanzo spieghi né prima né dopo - della quasi totalità degli uomini: intesi come sesso maschile e non come genere umano (appena un po' meno classico).



E' una storia con più di un piano di lettura, e tutti variamente inquietanti. Il primo e più ovvio è quello della pura finzione narrativa, dove incontriamo questo classico racconto catastrofico che si fa disturbante nell'insistita ossessione per il corpo: in ossequio al titolo il corpo umano è putrefatto, dissezionato, disperso, squartato, mutato, offeso, vilipeso e di converso conservato, glorificato, adorato; in tutto e ancor più nelle sue parti. Odissea stracciona, racconto picaresco di follie e di esperimenti biologici che non hanno nulla di scientifico e sono pura magia mitologica: una teoria di “visioni pericolose”, come potrebbe dire Harlan Ellison, di un tipo molto materiale e concreto, ma non per questo meno in grado di suscitare un disagio sottile, tanto sottile da scavarsi una strada in grande profondità nella sensibilità del lettore. Feticismo delle carni.

Una seconda lettura la dà l'affresco sociale, o meglio a-sociale, che emerge. E' una società malata quella che collassa, ma non appaiono certo più sane le società che provano a nascere in seno a questa nuova umanità (e certo Chernov non è molto femminista) e sembrano più una crescita tumorale, una proliferazione che sopravvive per follia, inerzia o semplicemente perché non c'è alternativa. Ritratto della catastrofe in una porzione di Argentina, Anatomia umana assume con naturalezza respiro universale, e riconoscere tutto il genere umano come fosse racchiuso nel suo fazzoletto di pianeta è inevitabile ancor prima che facile. E se certo non è femminista, Chernov, nel suo mostrare la follia alla quale si abbandonano le donne abbandonate, il venir meno della razionalità e l'affiorare dell'istintualità più grezza, ancor meno è tenero con i maschi sopravvissuti, che naufragano miseramente posti di fronte alla necessità di ripensare e ridefinire la propria identità all'atto del grande scompaginarsi dei generi e dei ruoli.

Un ulteriore livello, ancor più affascinante, visionario e pericoloso, si nasconde in questo romanzo. In parallelo con il disfacimento dei corpi e delle strutture umane, ma anche in intima congiunzione e comunque mai in contrapposizione con esso, possiamo leggervi il progressivo venir meno della mente umana di fronte a una catastrofe che la costringe a confrontarsi con la propria identità oltre ogni possibilità di riconoscersi; un distaccarsi dalla realtà, dall'esistenza e infine da sé fino al collasso: attraverso il cervello la mente è parte integrante e sovraordinata dell'anatomia umana. L'allegoria è da sempre pane quotidiano della fantascienza, fin da quell'atto di nascita che fu Frankenstein, e circa 150 anni più tardi James G. Ballard aprì alla speculazione fantascientifica le porte della psiche proprio attraverso lo strumento estremo della catastrofe. Chernov padroneggia la materia perfettamente, senza lasciare angoli nascosti e senza aver timore di mostrare cosa si nasconde in quelli più bui.

L'assimilazione di questa complessa architettura è possibile - e appassionante, anche se appassionante non è forse un termine che molti utilizzerebbero - grazie a uno stile di scrittura che è al tempo stesso più e meno che oggettivo. Meno perché l'accumulo dei dettagli spietati, desolanti e disperati finisce per provocare raccapriccio e pena ad onta del distacco sovrano della scrittura; più, perché quello stesso accumulo raggiunge comunque, infine, il suo effetto anestetizzante, permettendo di osservare tutto attraverso la lente di una lontananza emotiva sempre maggiore dalla materia narrata, e un sempre maggiore interesse scientifico.

martedì 9 giugno 2009

Soldati (mio raccontino di fantascienza, scritto qualche mese fa)

Soldati

Colpì con rapidità, efficacia, violenza. Quattro volte. Senza crudeltà. Era un marine, un Soldato; era stato addestrato a uccidere, non aveva sentimenti al riguardo. Né si poneva interrogativi. Uccidere era colpire con rapidità, efficacia, violenza. Era stato addestrato a riconoscere il bersaglio e rimuovere l'ostacolo che rappresentava, le questioni di filosofia non appartenevano al suo orizzonte mentale. Osservò i quattro cadaveri inturbantati con equanimità, senza curiosità. Prese una cartina e del tabacco, si arrotolò una sigaretta e l'accese con lo Zippo. Fumò con calma, attento all'ambiente circostante. Sabbia e aridità, sole a picco, calore. Terminò di fumare, risalì sulla Jeep, la mise in moto e partì.

Nel campo, tecnologia, in ogni forma. Armi, strumenti di comunicazione, mezzi di trasporto. La loro lucentezza abbagliava. Incutevano timore gli armamenti; inorgogliva la modernità, la potenza, l'efficienza di quegli apparati. Il Soldato osservò quello schieramento di ricchezza, quell'esibizione di forza, quella manifestazione di progresso. Se ne compiacè quietamente.

- E' successo qualcosa mentre ero in missione?
- Nulla, signor capitano.
- I prigionieri?
- Sono tranquilli.
- Non hanno detto nulla.
- Nulla?
- Non una parola, Signore. E del resto credo parlino solo arabo, chi li capisce i biascichii di quei beduini!
- Non possiamo aspettare che ci mandino un fottuto interprete, dobbiamo fargli schizzare fuori tutta la merda che hanno dentro, non importa come.

- Sissignore.
- In libertà, Sergente.
- Ah, Signore, dimenticavo: un messaggio radio ha comunicato che è segnalato un oggetto oltre l'orbita di Marte. Ipotizzano un piccolo asteroide, o forse una piccola cometa nomade, ma non sono sicuri.

- Questo ci dovrebbe forse riguardare?
- No, Signore, ma è la sola cosa accaduta durante la sua missione.


Il Capitano grugnì, si voltò e si diresse alla sua tenda. Entratovi, si sdraiò sulla branda e arrotolò una sigaretta. I prigionieri erano importanti per la sua missione, e per quella di tutta la Compagnia al suo comando. Le informazioni in possesso dei prigionieri.

"Non è possibile ritardare oltre la missione", pensò. "Se i due beduini non parlano entro domani mattina, la missione proseguirà comunque. Darò ordine di fucilarli".

"Oggetto volante non identificato oltre l'orbita marziana. Bah."

Il Capitano consumava una cena frugale portatagli dal suo attendente. Era stato addestrato a nutrirsi, non a mangiare. Nell'ingerire il cibo, i gesti erano improntati a meccanica efficienza, come se montasse o smontasse una pistola. I pensieri si soffermavano sui dettagli della missione, sulle azioni da intraprendere all'indomani. "In primo luogo far svolgere l'esecuzione dei prigionieri, poi disporre i veicoli per la partenza…"; un pensiero balenò incongruo, rivolto all'oggetto volante non identificato. Il Sergente gli aveva comunicato prima di cena che era dato tra Marte e l'orbita terrestre. Scosse la testa, ingerì l'ultimo boccone, depose le posate e si pulì la bocca.

Il Capitano dormì di un sonno di piombo, risvegliandosi alle 05.00 in punto. Si vestì, schiuse l'apertura della tenda e uscì. Il Sergente lo notò, e si diresse alla sua volta. Appariva agitato. Il Capitano lo prevenne:

- Dopo, Sergente. E' necessario far svolgere subito l'esecuzione dei prigionieri.
- Signore, l'oggetto volante non è stato più rintracciabile dopo il suo ingresso nell'atmosfera terrestre, un'ora fa.
- L'attrito dell'atmosfera lo avrà consumato. Non c'è tempo da perdere, Sergente.
- Ma…
- Non c'è tempo da perdere.


Il Sergente chiamo tre soldati e si diresse alle carceri improvvisate.

I due prigionieri caddero, colpiti con precisione.

I preparativi per smontare l'accampamento fervevano tutt'intorno; il Capitano, immobile, voltava il capo da una parte all'altra. Sole, sabbia, calore. Vuoto ovunque.

Cinquecento metri circa davanti a lui, l'aria sfarfallò. Effetti del deserto. Poi sembrò sintonizzarsi, e acquistò corporeità. Un oggetto apparve, lungo non meno di un kilometro. Nero, metallico, estraneo. Totalmente estraneo. Un'intera gigantesca parete del manufatto si sollevò; apparve una fila continua di esseri bipedi, incapsulati in tute dai riflessi argentati. Avanzarono. In mano avevano oggetti che apparivano come armi.

La sorpresa aveva bloccato il Capitano e gli uomini della Compagnia. Gli esseri giunsero a poco più di cinquanta metri. Erano alieni.

Erano soldati. Erano stati addestrati a individuare il bersaglio e rimuovere l'ostacolo da esso rappresentato. Non si ponevano interrogativi né avevano sentimenti al riguardo.

Ed erano più potenti, più rapidi, più efficienti del Capitano e dei suoi uomini.