domenica 27 giugno 2010

Biblioteca di fantascienza VII - Isaac Asimov (1920-1992)

Chissà quando nacque davvero Isaac Asimov; le discrepanze tra i vari calendari in uso in Russia ai tempi della sua nascita e la mancanza di registri ufficiali a seguito di tempi tanto turbolenti portano a credere che egli fosse nato tra i primi di ottobre del 1919 e la data poi ufficiale del 2 gennaio 1920. Isaac dovette nascere con il nome di Исаак Юдович Озимов, che a traslitterarlo ne esce fuori un qualcosa come Isaak Iudovich (o Iudich) Ozimov. Comunque, importante è quell'Isaac Asimov nato il 2 gennaio del 1920, che diverrà forse il più famoso scrittore di fantascienza, e che riceverà il nomignolo di Good Doctor, il Buon Dottore. Prolifico in modo prodigioso, Asimov fu un divulgatore scientifico infaticabile oltre che un narratore in grado di spaziare ben oltre quella science-fiction che era la sua passione primeva e che gli diede la fama iniziale che perdura solida a tutt'oggi. Alla base del suo successo vi è senza dubbio la chiarezza della sua scrittura. A volte è accusato di essere uno scrittore troppo semplice, perfino rozzo, e incapace di dar vita a personaggi realistici. Il mio consiglio è di leggere le sue opere con più attenzione, e non scambiare per sciatteria la sua naturale immediatezza di comunicazione e facilità di scrittura, le "armi" grazie alle quali favoriva la comprensione, una lettura fluida e creava personaggi che univano una perfetta funzionalità narrativa e caratteristiche umane di sobrio e misurato realismo.


Anche non volendo considerare, che è quel che farò, le opere scritte a far data dal 1982, quando a partire dal romanzo The Edge of Foundation egli cedette alle lusinghe e riprese e unificò le sue due serie maggiori (Fondazione e Robot), con una sequenza di romanzi anche di ragguardevole mole, la sua opera narrativa fantascientifica è comunque imponente. Asimov dette probabilmente il meglio di sé nella copiosa produzione novellistica, dove spiccano varie decine di ottimi racconti e novelle; ma anche sulla lunghezza del romanzo alcuni dei suoi risultati furono ottimi. Per comodità suddividerò i suoi libri in varie sezioni: le serie; i racconti; gli altri romanzi; le antologie realizzate in veste di curatore, altra sua attività quasi compulsiva :-). Sempre rammentando che negli ultimi anni di vita Isaac raccordò - a posteriori - in una onnicomprensiva Storia Futura praticamente tutto ciò che aveva scritto, aggiungendo ai cicli originari quei numerosi nuovi romanzi cui accennavo: non tutti trascurabili, però sicuramente tutti per appassionati dell'autore più che della sf tout court


Un Asimov poco più che adolescente


Le Serie


Ovvero i Robot e Fondazione. 


Nel corso degli anni '40 Asimov scrisse otto tra novelle e racconti che andavano a comporre una coerente Storia Futura della nostra galassia, interamente colonizzata dall'uomo in un lontano futuro. Influenzato dalla parabola dell'ascesa e declino dell'Impero Romano, Asimov scelse di narrare il declino dell'Impero Galattico e i tentativi di scampare a un lungo medioevo su scala galattica. La Storia Futura asimoviana è una delle creazioni più affascinanti e ricche di sense of wonder della fantascienza classica, e si può ben dire che quel suo ottimismo infine frustrato abbia di questi tempi un'attualità anche maggiore che non all'epoca in cui quelle storie vennero scritte. All'inizio degli anni '50 gli otto racconti e novelle vennero raccolti nei tre libri che compongono quella che ancora oggi è nota come la Trilogia (originaria) della Fondazione: First Foundation; Foundation and Empire; Second Foundation.Che in italiano diventeranno...




La struttura del ciclo dei Robot è decisamente più frastagliata. Sempre nel corso degli anni '40 Asimov scrisse una serie di racconti imperniati appunto sui robot, costruiti dalla immaginaria US Robots and Mechanical Men Corporation. Protagonisti umani di alcuni erano Powell e Donovan, due uomini d'azione al soldo della compagnia, e degli altri racconti, i migliori, la "robopsicologa" Susan Calvin, forse uno dei più realistici ritratti di scienziato nella storia della sf. Questi racconti furono riuniti negli anni '50 nell'antologia I, Robot (Io, Robot in Italia), con l'appendice data negli anni '60 da The Rest of Robots (Il secondo libro dei Robot). In seguito, altri e più miscellanei racconti robotici confluiranno insieme ai precedenti nella successiva antologia del 1982 The Complete Robot (Tutti i miei Robot). Asimov però continuerà a scrivere racconti sull'argomento fino alla fine.


Almeno quattro i racconti memorabili contenuti nell'antologia: Bugiardo!; Il piccolo robot perduto; La prova; Il conflitto evitabile.


Memorabili sono qui almeno tre racconti: Esseri superiori; Soddisfazione garantita e Lenny.


Oltre quelli già citati, qui voglio segnalare diversi altri racconti: Sally, un racconto davvero bizzarro e malinconico con protagonista un'automobile-robot che non si scorda facilmente; Vittoria involontaria; Immagine speculare, dove Asimov riprende i personaggi di Elijah Baley e R.Daneel Olivaw di cui dico oltre; Intuito femminile; Luciscultura e la celebre, splendida novella L'uomo bicentenario, poi orrendamente massacrata nel penoso film interpretato da Robin Williams. 






Negli anni '50 Asimov scrisse due tra i suoi migliori romanzi: The Caves of Steel e The Naked Sun (Abissi d'acciaio e Il sole nudo in italiano). In essi si assisteva allo "scontro di civiltà" tra le due culture nelle quali si era suddivisa l'umanità: i terrestri, confinati su una sovrappopolatissima Terra, caratterizzati da vita breve (la nostra attuale...) e da vera e propria fobia per i robot, nonché relegati in mostruose megalopoli coperte da cupole di metallo e sotterranee; e gli Spaziali, discendenti di coloro che un tempo lasciarono la Terra per fondare su altri pianeti delle società caratterizzate dalla fondamentale presenza dei robot: essi vivono a lungo, fino a quattro secoli, vivono su pianeti scarsamente popolati e le loro (ai nostri occhi bizzarre) culture sono tutte assai più ricche di quella terrestre. Senza scendere nei dettagli dei due celebri romanzi, tra i migliori connubii di fantascienza e giallo, protagonisti di entrambi sono l'investigatore terrestre Elijah Baley, bellissima figura di deraciné asimoviano (nel quale, come nell'Andrew Harlan de La fine dell'Eternità non è difficile intravedere aspetti dell'autore), e il robot umanoide R.Daneel Olivaw (che nella ripresa produttiva degli anni '80 diverrà il cardine centrale attorno al quale Asimov unificherà i suoi cicli narrativi). Senza dubbio tra i migliori personaggi ideati dal Nostro. Nel secondo romanzo Asimov introdurrà un terzo e riuscito personaggio: Gladia Delmarre.



I Racconti


Oltre a quelli raccolti nelle già citate antologie robotiche, Asimov nel corso della sua carriera ha scritto decine, centinaia di racconti, moltissimi dei quali sono nella storia della fantascienza. La Mondadori ha pubblicato tre corposi volumi che raccolgono quasi l'intera produzione novellistica asimoviana (Tutti i racconti voll. 1-3 - The Complete Stories).
La copertina del terzo volume dei racconti completi.


E però le moltissime antologie personali di Asimov pubblicate in precedenza mantengono un loro fascino e un loro perché. Tra le molte mi piace segnalare e consigliare quelle che di seguito elenco.


Riunisce molti (dei moltissimi) racconti scritti nei primi anni di carriera. Inevitabilmente in parecchi casi una certa rozzezza è evidente, ma soprattutto verso la fine si incontrano già esempi pregevoli dell'inventiva asimoviana: Gatto temporale, Diritti d'autore e Vicolo cieco. E soprattutto quel fantasmagorico divertissement che è Le proprietà endocroniche della tiotimolina risublimata.







  
I tre volumi uraniani dell'Antologia Personale (Nightfall and other stories) e i due di Testi e Note (Buy Jupiter) saranno poi riuniti in cofanetto Oscar Mondadori suddiviso nelle due antologie originarie. Innumerevoli i racconti memorabili. Mi limito a segnalarne alcuni: Notturno (noto anche come Cade la notte), forse il racconto più celebre e senza dubbio tra i migliori di Asimov; Chiazze verdi; E se...?, fulminante racconto che è una vera e propria summa della sf; Condotto "C"; Una così bella giornata; Crumiro; Mio figlio il fisico; Occhi non soltanto per vedere; Biliardo darwiniano; Il giorno dei cacciatori; Pianeta comprasi; I Fondatori; La Tiotimolina fra le stelle.


Il cofanetto doppio Il meglio di Asimov (The Best of Isaac Asimov) riunisce i racconti che il Buon Dottore stesso riteneva i suoi migliori. Ovviamente all'atto della pubblicazione dell'antologia originale, nel 1973. Oltre a racconti già presenti nelle antologie in precedenza citate, vi si trovano gioielli come Chissà come si divertivano; L'ultima domanda; Il Cronoscopio; Anniversario.


 Earth is room enough è una bella antologia miscellanea che raccoglie diversi ottimi racconti asimoviani. Oltre ad alcuni già presenti nelle precedenti antologie segnalate, vale la pena ricordare Diritto di voto; La tromba del giudizio; Sognare è una faccenda privata.


 Asimov's Misteries riunisce prevedibilmente una serie di racconti gialli di fantascienza del Nostro, che ne fu un vero specialista. Oltre al mini-ciclo incentrato sul professor Wendell Urth, peculiare figura di investigatore, e ad alcuni già visti, merita segnalare almeno due altri racconti: Paté de fois gras e A Marsport senza Hilda.


In The Winds of Change vale la pena citare Persuasione e Le idee sono dure a morire, oltre alle prime apparizioni del piccolo demone Azazel, protagonista negli ultimi anni della vita di Asimov di una serie di brevi racconti umoristici, al peggio gradevoli e al loro meglio davvero deliziosi, soprattutto per la vena di crudeltà e sadismo che Isaac vi riversava sotto il velo dell'umorismo.


... E naturalmente l'antologia che raccoglie una buona selezione dei brevi racconti con protagonista il diavoletto. 















Mi permetto infine di consigliare, al di fuori però della science fiction, i cinque volumi dei racconti giallo-umoristici imperniati sul gruppo di amici riuniti nel club dei Vedovi Neri, testimonianza del talento umoristico del Buon Dottore e tra i suoi migliori risultati narrativi.


Gli altri romanzi

Oltre ai due romanzi-capolavoro robotici degli anni '50, e a quelli scritti a partire dal 1982, Asimov ha al suo attivo un certo numero di altri romanzi. Ugualmente negli anni '50 scrisse La fine dell'Eternità (The End of Eternity), che insieme a un altro di cui dirò tra poco considero il suo miglior risultato sulla distanza lunga. Nel romanzo è narrata la storia dell'Eternità, il corpo di ingeneri temporali che, sostanzialmente, bloccano la storia umana controllando l'intera linea temporale occupata dall'umanità e impedendo ogni vero e libero sviluppo culturale della nostra specie. La storia e la fine degli Eterni. E' in questo romanzo che agisce Andrew Harlan, l'altro sradicato asimoviano oltre a Elijah Baley, e figura in cui è sicuramente possibile scorgere dei riflessi autobiografici. Sempre agli anni '50 risale il cosiddetto Ciclo dell'Impero. In realtà si tratta di tre romanzi indipendenti, concettualmente unificati dall'essere ambientati tutti e tre in vari periodi della formazione di quell'Impero Galattico di cui Asimov narrerà la caduta nel Ciclo della Fondazione. Dei tre, Paria dei cieli (Pebble in the sky) e Le correnti dello spazio (The currents of space) sono tra i migliori di Isaac, mentre Stelle come polvere/Il Tiranno dei Mondi (The Stars like dust/Tyrann), pur dignitoso, ha una trama leggerina e a tratti non esattamente impeccabile. Nel 1972 Asimov pubblicò poi Neanche gli dei (The Gods themselves) che personalmente colloco sullo stesso piano de La fine dell'Eternità. Il romanzo, cosa rara per la narrativa asimoviana, presenta degli alieni, ma è soprattutto una matura riflessione sulla natura della scienza e sulla figura (le figure) dell'uomo di scienza.






Il curatore di antologie



Il pletorico scrittore fu anche un infaticabile curatore di volumi antologici. Di fantascienza in primo luogo, ma anche in questa attività Asimov spaziò in quasi ogni campo della narrativa. Da solo o più spesso in qualità di co-curatore insieme ad altri (in particolare l'amico Martin H. Greenberg, cui talvolta si aggiungevano ulteriori apporti) Isaac ha raccolto e presentato ai lettori in innumerevoli antologie una sceltissima selezione del patrimonio novellistico della sf angloamericana. Scelta ovviamente secondo i criteri suoi e degli altri curatori, ma l'eccellenza media delle loro scelte può essere facilmente verificata.


Il miglior risultato conseguito in questo campo resta, a mio giudizio, la serie delle antologie Le Grandi Storie della Fantascienza, curata insieme a Greenberg. Si tratta di venticinque volumi che, con criterio annuale, raccolgono i migliori racconti del periodo 1939-1963. Estrapolare un elenco di titoli migliori sarebbe comunque riduttivo; inoltre, perfino più dell'indubbio valore della gran parte dei testi, è la ricostruzione storica complessiva che emerge dai volumi a farne uno strumento indispensabile di conoscenza e apprezzamento della fantascienza classica.
Le copertine del primo e dell'ultimo volume de Le Grandi Storie della Fantascienza




Asimov fu il curatore delle prime raccolte dei racconti e novelle che ricevettero il Premio Hugo, il primo e ancor oggi il principale in ambito fantascientifico. Il volume qui a fianco in realtà è incompleto (stendiamo un velo pietoso sulle politiche editoriali italiane) mancandovi Il mondo della foresta di Ursula Le Guin (reperibile per esempio nel volume dei Classici Urania che presenta i Premi Hugo del biennio 1972-73).  


Alba del domani è un corposo volumone che raccoglie una selezione di racconti dei veri primordi (gli anni '30, in effetti...) della fantascienza delle riviste. Inevitabilmente anche i migliori esempi di quei tempi pionieristici sono spesso grezzi; la loro rozzezza è però compensata dalla gestazione evidente di quel patrimonio di idee e concetti che in seguito si disperderà nei mille fertili rivoli della fantascienza che giungono  fino a noi. Tra i racconti più notevoli, a mio parere, vi sono L'uomo che si evolse e Devoluzione di Edmond Hamilton; Tumithak dei corridoi e Tumithak a Shawm di Charles Tanner; Colossus di Donald Wandrei; Bivi nel tempo e Proxima Centauri di Murray Leinster; Il pianeta dei parassiti di Stanley G. Weinbaum; Passato, presente e futuro di Nat Schachner.  




Insieme a Greenberg e a Charles G. Waugh, altro frequente collega curatore, Isaac editò poi una serie di tre volumi antologici (Il Grande Libro della Fantascienza) ciascuno dedicato specificamente ai migliori romanzi brevi di un decennio (anni '30, '40 e '50). Nel primo volume vorrei ricordare, oltre a Bivi nel tempo già citato di Leinster, Questione di forma di Horace L. Gold; Chi va là? di John W. Campbell jr.; Dividi e domina di L. Sprague de Camp e Lupi dalle tenebre di Jack Williamson. Nel secondo, oltre a un'altra novella di Williamson, Le mani incrociate (poi espansa nel romanzo Gli Umanoidi), meritano particolare attenzione Nervi di Lester Del Rey (che diverrà il romanzo Incidente nucleare); Fra tutte le donne nate di Catherine L. Moore; Il Negozio delle Armi di Alfred E. van Vogt (punto di partenza di una serie di romanzi) e Killdozer! di Theodore Sturgeon. Nel terzo volume, infine, vorrei segnalare... di leggervi tutte le novelle :-)




Due delle più belle e interessanti antologie cui Asimov mise mano come curatore sono poi l'Antologia Scolastica (in seguito più correttamente rititolata Dove da qui?) che editò da solo, e Catastrofi! per la quale lavorò insieme a Greenberg e Waugh. Vale la pena sicuramente leggere tutti i racconti contenutivi, senza eccezioni.
  


Decisamente sfiziosa è l'antologia curata da Asimov insieme al solito Greenberg e a Joseph D. Olander il cui titolo originale è 100 Great Science Fiction Short Short Stories e che venne divisa in due volumi su Urania: 44 microstorie di fantascienza e Microfantascienza: altre 44 microstorie (vabbe'...). Alcuni dei brevissimi racconti sono davvero dei folgoranti gioiellini, e si tratta in ogni caso di una lettura allo stesso tempo rilassante e stimolante.



Una delle antologie più inaspettate che Asimov curò, insieme a Greenberg e Waugh, è certamente Hallucination Orbit - La psicologia nella fantascienza. Tra i racconti più interessanti del volume citerei La macchina del suono di Roald Dahl; Una rosa con un altro nome di Christopher Anvil; Girotondo dello stesso Isaac; Assalonne dei coniugi Henry Kuttner e Catherine L. Moore e L'uomo che non sapeva dimenticare di Robert Silverberg.


Vorrei chiudere questa rassegna asimoviana con un'eccezione, un volume che non è di Asimov né curato da lui. Ma a lui dedicato. In genere le antologie celebrative in cui dei colleghi incensano lo scrittore di turno con racconti ambientati nell'universo narrativo creato dal festeggiato lasciano il tempo che trovano. Questa antologia, curata da Sheila Finch in occasione del cinquantenario della carriera letteraria del Buon Dottore, è però una sorprendente smentita, e più di un racconto è valido di per sé. Vorrei citare almeno l'intenso L'ultima sfida di Pamela Sargent che apre il libro; La caduta di Trantor, di Harry Turtledove e Il presente eterno di Barry Malzberg, acutissima chiosa del racconto asimoviano E se...?.



Infine, una buona risorsa online su Isaac:
http://www.asimovonline.com/asimov_home_page.html


venerdì 25 giugno 2010

I contemporanei – Increspature nel Mare di Dirac (Ripples in the Dirac Sea 1988) di Geoffrey A. Landis (n.1955)


Il “Mare di Dirac” (http://it.wikipedia.org/wiki/Mare_di_Dirac) è senza dubbio una delle più affascinanti costruzioni teoriche della fisica del XX secolo – e non lo è meno il “Neutrino di Majorana” (http://it.wikipedia.org/wiki/Fermione_di_Majorana) che il fisico italiano ipotizzò nella sua teoria volta a confutare quella dell’inglese. L’argomento è insomma saporito assai, e non stupisce che si presti bene a una rielaborazione fantascientifica. Del resto, i viaggi temporali sono a loro volta uno dei temi più ricchi di fascino della narrativa di fantascienza.  Se mai, può stupire che sia stato usato meno di quanto sarebbe lecito attendersi. Forse perché non è facile padroneggiare la teoria per utilizzarla poi con naturalezza, e il rischio di fare del puro sci-bubble diviene eccessivo.

Geoffrey A. Landis ha credenziali impeccabili per addentrarsi nella teoria evitando il pericolo della fiorita fuffa scientifica di tanta mediocre fantascienza. E’ un fisico professionista: lavora alla NASA, dove si è occupato, tra le altre cose, di esplorazione planetaria (ha collaborato al progetto del Pathfinder per l’esplorazione del suolo marziano), come anche dello sviluppo di celle solari e impianti fotovoltaici. Ed è anche apprezzato poeta. Tanto la sua preparazione scientifica quanto l’attitudine poetica si riversano in modo evidente nei suoi lavori di fantascienza, che uniscono a chiarezza e precisione teoriche una cura attenta del dettaglio umano e psicologico.

La produzione breve di Landis non è strabordante, ma neppure rarefatta: circa una settantina di racconti a oggi.  Ai quali si aggiunge un solo romanzo.

Ripples in the Dirac Sea fu pubblicato nel 1988 sulle pagine della Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine, e l’anno successivo ricevette un meritato premio Nebula per il miglior racconto breve. La storia è semplice quanto intensa. Un grande successo scientifico apre la porta a un dramma umano e personale, e innesca per il lettore una serie di riflessioni sul valore che attribuiamo al nostro tempo, alla vita e alla morte. Che a dirla così, me ne rendo conto, sembra di minacciare di tedio disumano il lettore che abbia il fegato di leggersi una tal filippica affogata nella retorica. E invece no. La scrittura di Landis è tanto leggera quanto capace di arrivare al cuore delle cose con facilità e coinvolgendolo, il lettore. Non c’è nulla che venga spiegato o imposto dall’autore, che si limita a evocare con pochi tratti le figure dei due personaggi che riempiono le pagine del racconto per fissarsi nella nostra memoria. L’uno con i suoi sogni dolorosamente infranti, e poi ricomposti nella consapevolezza dell’illusorietà della trama stessa del tempo e dell’esistenza; l’altro che nell’abbandono al ritmo naturale della vita pare giungere a decostruire il senso stesso del tempo, pura coincidenza dell’esistere. L’uno, scienziato fino all’ultimo, viene da dire; l’altro, poeta istintivo.

Diverranno amici, l’uno e l’altro, più e più volte…

L’uno è il giovane scienziato anonimo che sperimenta la macchina costruita per sfruttare le “Increspature nel  Mare di Dirac” e viaggiare nel tempo – cliché assoluto, e fascino assicurato per lo scrittore cui non difettino coraggio e talento. Viaggio che per le caratteristiche della teoria è possibile solo nel passato. L’esperimento è un successo, ma quando il giovane è in procinto di presentarne i risultati a un congresso rimarrà coinvolto in un incidente: intrappolato nella sua camera di albergo nel pieno di un incendio, è condannato a morte. E condannato a fuggire continuamente e continuamente all’indietro nel tempo senza poter fare nulla per salvarsi, perché non ci sono paradossi nel cronoviaggio diraciano: qualunque cosa si faccia nel passato non è possibile mutare il presente da cui si è partiti. Le “Increspature nel Mare di Dirac”, una volta che si torni al presente, cancellano dal nastro del tempo quello che il viaggiatore vi ha inciso: solo la sua memoria conserva il ricordo di quell’illusorio passato. Degli innumerevoli illusorii passati, sempre diversi e sempre uguali. Ogni volta che il giovane deve tornare a quella stanza d’albergo in fiamme, perché costrettovi dagli eventi o perché la linea temporale che sta vivendo si è approcciata al momento di partenza in modo tale da rendere il ritorno inevitabile, egli è costretto a perdere qualche attimo o secondo prima di potersi rituffare nel passato. Ci sarà un giorno che non potrà più scampare alla morte, arso vivo o soffocato dal fumo. Ha lottato contro l’inevitabile e poi è sceso a patti con esso. Con il puntiglio e la caparbietà dello scienziato ormai sa che il tempo non è illimitato, ma la sua quantità, tanta o poca che sia, va vissuta fino in fondo, imparando ad accettare i drammi e le gioie e imparando a farlo con equanimità (I live on borrowed time. So do we all, perhaps. But I know when and where my debt will fall due. E aggiungerà: Every time I return, I use up a little bit of time. One day I will have no time left.)
L'antologia dei migliori racconti dell'anno 1988 che ospitava "Increspature nel Mare di Dirac"

L’altro è Dancer. E’ un perfetto contraltare al giovane scienziato, e la perfetta chiave perché quest’uomo che sognava di domare il tempo impari ad accettarne l’indifferente dominio sulle cose umane. Dancer è quello che si definisce un “prodotto della controcultura giovanile degli anni ‘60”. Nessuna coloritura romantica in questo da parte di Landis, che mette anzi una cura particolare nel non andare mai sopra le righe nell’abbozzarne la figura. Dancer è, se mai ve n’è stato uno, un uomo pacificato. Non nel senso di una torpidità di spirito o tanto meno di una pedissequa adesione a mode “alternative”, ma di una istintiva comprensione del ritmo naturale della vita, del senso profondo del tempo. Non in relazione alla vita umana, verrebbe da dire, ma proprio della vita dell’universo. Di puro istinto, Dancer pare comprendere la natura fisica del tempo molto meglio dell’amico che ne conosce a menadito la complessa matematica: "They're trapped in the illusion of time," says Dancer. He lies on his back and blows a soap bubble, his hair flopping back long and brown in a time when "long" hair meant anything below the ear. A puff of breeze takes the bubble down the hill and into the stream of pedestrians. They uniformly ignore it. "They're caught in the belief that what they do is important to some future goal.". In un giorno di primavera del 1965 Dancer pronuncia queste parole osservando le persone intorno a lui e al suo amico, il quale considererà che He was right, more right than he could have possibly imagined. Quella di Dancer è la serenità di chi sa che il proprio posto nella vita è semplicemente vivere, accettare il flusso del tempo fino a quando la vita individuale vi si scioglierà dentro. Dancer muore invariabilmente la mattina del 9 febbraio 1969, qualunque cosa il suo amico possa fare questo non cambia, e avverrà ogni volta che egli tornerà per far nascere quell’amicizia, e viverla con nuova e immutata intensità. Perché un uomo che abbia a disposizione una quasi eternità di tempo e di tempi, ed effettivamente sia stato a vedere i dinosauri nel Cretaceo o la Palestina del tempo di Cristo, debba tornare sulle proprie volatili e illusorie orme è forse riassumibile in quel che accade in uno di quei 9 febbraio 1965: He died with a secret smile on his face. I've never understood that smile. Lo scienziato non può accettare di non capire, ma è probabile che l’amico – lo scienziato a sua volta pacificato dal contatto con Dancer – possa farlo. E ne comprenda il valore, in uno con il senso più vero dell’amicizia: il reciproco scoprirsi. Ed è senza dubbio un privilegio poterlo fare più e più volte: Dancer, too, will never die. I won't let him. Every time I get to that final February morning, the day he died, I return to 1965, to that perfect day in June. He doesn't know me, he never knows me. But we meet on that hill, the only two willing to enjoy the day doing nothing.
Paul Adrian Maurice Dirac (1902-1984), premio Nobel per la fisica nel 1933

Le figure dei due protagonisti e il racconto nella sua interezza mostrano davvero il vigore di uno spirito poetico indagatore, deciso a penetrare il senso della nostra vita e il mistero della natura. Il solido impianto scientifico non solo non è in contrasto con questo linguaggio narrativo, né aspetto secondario, ma ne è anzi la radice creativa. Il genio visionario di Paul Dirac, la sua teorizzazione di un mondo dove l’energia può essere negativa – o l’idea di Majorana che il neutrino esista contemporaneamente come la propria antiparticella, contemporaneamente coesistendo in ogni istante nelle due direzioni dell’asse temporale – questo e quel genio sono della stessa qualità umana del poeta-veggente che con la parola dà forma all’universo plasmato dalla sua visione profetica. Cambia la forma esteriore, perché gli uni fanno uso del simbolo matematico e l’altro del potere simbolico della parola, ma l’essenza dell’uno e l’altro atto è nell’(onni)potenza dell’Homo Faber. Landis ci rammenta che la conoscenza nasce dalla volontà creativa dell’uomo, e che il poeta-veggente precede lo scienziato che decodifica (o tenta di decodificare) la natura. Egli è (anche) poeta-veggente, un creatore di mondi e loro ordinatore: è colui che muta il Χάος in Kόσμος. Egli è l’uno e l’altro…   

Vent’anni fa, quando la lessi la prima volta, questa storia mi piacque, forse per quel fondo di malinconia, e per l’immaginifico contenuto (fanta)scientifico. Ma è stato ora, rileggendola, che l’ho apprezzata davvero in ogni sfumatura. Ne ho apprezzato un’acutezza che può scivolare inavvertita sotto il velo delle suggestioni, narrative e concettuali, che Landis ha sparso a piene mani. E si apprezzano di più anche quelle suggestioni stesse, le possibilità per l’immaginazione che si aprono riflettendoci sopra.

Increspature nel Mare di Dirac è stato pubblicato nel fascicolo n.1142 di Urania, che presentava l’antologia, curata da Don Wollheim, dei migliori racconti di sf del 1988.

 Si può leggere il racconto in inglese a questo url:

mercoledì 16 giugno 2010

La miniatura – Corrida (id. 1968) di Roger Zelazny (1937-1995)


E’ il 14 giugno 1995 quando a neppure sessant’anni muore Roger Zelazny. L’autore americano è stato senza dubbio tra le voci più originali della fantascienza sin dal suo esordio al principio degli anni ’60 sulle pagine della più antica rivista specializzata, Amazing Stories, allora rivitalizzata dalla curatrice Cele Goldsmith. Zelazny si rivela subito uno scrittore letterariamente raffinato e attento alla cura stilistica delle sue opere, inscrivendosi perfettamente nella fantascienza dell’epoca che andava aggiornando le sue tematiche e ponendo sempre maggiore attenzione all’aspetto appunto più squisitamente letterario delle storie. Confesso un particolare affetto per Zelazny, autore che è stato fondamentale per rimodulare completamente il mio approccio alla fantascienza quando, lettore acritico di Urania, un amico mi prestò il fascicolo n.10 della a me allora sconosciuta rivista Robot dicendomi: “E per una lettura raffinata allora c’è Zelazny”; quel fascicolo conteneva la novella The Doors of His Face, the Lamps of His Mouth, assai pregevole rielaborazione del mito letterario di Achab e Moby Dick trasportato negli oceani di un mondo alieno, uno degli esempi più limpidi e vigorosi della narrativa del primo Zelazny.

La rielaborazione in chiave fantascientifica dei miti religiosi e sociali e degli archetipi narrativi e psicologici è il tema privilegiato della sua opera, particolarmente di quei primi romanzi e racconti che lo impongono all’attenzione e al cuore dei lettori. L’elegante, polita scrittura di Zelazny si rivela particolarmente adatta a esaltare la suggestività di questo materiale narrativo e la seduzione della lettura. Al contempo tale scrittura si modella sul proprio contenuto, facendosi veicolo di moderna mitopoiesi e attingendo il suo potere evocativo dalla forza dell’attrattiva propria di quei miti e del patrimonio mitico ancestrale. 

Corrida è una scheggia folgorante della sua capacità di risvegliare nel lettore questa memoria mitica e un saggio altrettanto incisivo della sua abilità di scrittore. Zelazny sapeva scrivere come se tessesse dei fili cristallo oppure facendo uso di ogni declinazione dell’ironia; poteva essere ricercato oppure battere le vie di uno sperimentalismo letterario che ancora appariva inconsueto nel pragmatico e rustico recinto della sf. Era versatile e metteva continuamente alla prova questa sua versatilità. In Corrida fa uso di una abrasività nella scrittura che si coniuga all’accuratezza con la quale fa emergere il mondo psicologico del protagonista, crea nel lettore un’atmosfera di angoscia e terrore crescenti e di profondo smarrimento, e giunge a un finale duro e perfino sgradevole nel suo lasciare apparentemente inconclusa la vicenda.      

La short short story è uno strumento molto più flessibile di quanto si possa credere, e particolarmente in ambito fantascientifico dove si presta nel migliore dei modi a quello slittamento del punto di vista e alla brusca rottura della normalità che sono pilastri fondamentali nella costruzione di una storia che funzioni e che avvinca e sono intimamente connessi alla natura stessa della sf. Accanto allo schema delle cosiddette “sentinelle”, dal titolo del brevissimo racconto Sentinel di Fredric Brown, con la battuta finale che demolisce il quadro mentale che il lettore è venuto formandosi nella lettura mettendone in crisi le certezze, vi sono altri e non meno efficaci registri stilistici. In Not with a bang (http://olivavincenzo.blogspot.com/2009/08/fantascienza-il-classico-la-mano-not.html) Howard Fast cala un accadimento straordinariamente surreale nella più ordinaria quotidianità immaginabile e lascia che i due elementi stridano beffardi con ironia fino al compassato finale dove l’understatement raggiunge il suo apice. In Chief, celebre racconto dell’inizio degli anni ’60, Henry Slesar, uno dei più fecondi scrittori di genere e maestro del racconto breve, mostrò tutto il potenziale satirico della brevità estrema. Corrida si presenta come una ulteriore strada e variazione sul tema. Zelazny mette il lettore quasi fosse davanti a uno schermo televisivo e lo fa assistere a una rappresentazione crudele. Lo “spettacolo” si apre sul risveglio repentino e disagevole dell’ancora ignoto protagonista, che si ritroverà subito sbalzato in quella che si rivela un’arena per corride. Frase dopo frase la soggettiva totale sul protagonista si definisce e montano le sue angoscia, frustrazione e rabbia, insieme con l’ansia del lettore. Lettore che vive nella soggettiva della narrazione il completo disorientamento del personaggio precipitato in una situazione assurda (“non sono un toro!”); il suo furore indotto dal dolore delle ferite che riceve (inferte da vere banderillas?) e dalla minaccia che incombe su di lui; il riaffiorare di brandelli di memoria che non chiariscono né chiariranno nulla; i meccanismi psicologici della paura e della rabbia cieca, che non si fatica a immaginare realistici dal punto di vista dell’oggetto della corrida. Soprattutto il lettore assiste alla lotta veemente di Michael Cassidy (che infine ricorda il suo nome) con la figura del suo tormentatore. Un’ombra nera e sfocata, che non proferisce parola né sembra fare alcunché, ma che ogni volta che si avvicina a Michael, o Michael si avvicina a lui, si palesa nel dolore che verrà inflitto.

Il nudo racconto “de paura” si colorisce in tal modo di significati che resteranno sfumati e non troveranno certezze neppure alla fine. Michael, e il lettore con lui, si interrogherà fino all’ultimo su chi sia o cosa rappresenti quell’ombra scura (forse Dio, o il Destino - o magari un alieno potrà pensare il lettore, ma sembra una soluzione così banale…). Zelazny procede su un doppio binario di sottigliezza nell’analisi minuziosa dei pensieri e delle reazioni di Michael e nell’elaborazione del meccanismo narrativo orrorifico, e di durezza nella descrizione spietata della corrida fino al suo ovvio epilogo. Al lettore non viene fornita una spiegazione, tutte le interpretazioni restano a sua disposizione. Al limite – chi può dirlo? – potrebbe davvero essere stato uno spettacolo televisivo, ma l’ipotesi appare riduttiva. Sta di fatto che questa scheggia narrativa affonda la sua ragion d’essere nella pura suggestione che le idee richiamate da Zelazny posseggono ai nostri occhi e per la nostra mente. Il violento sacrificio rituale allestito nella corrida e il terrore atavico del cacciatore di diventare preda si compenetrano in un meccanismo che è rafforzato dalla non riconoscibilità e inconoscibilità dell’ombra nera e silenziosa e dall’inesorabilità e apparente insensatezza delle sue azioni. L’uomo crea Dio per ordinare il cosmo e renderselo comprensibile; ma se Dio infine apparisse all’uomo nella sua realtà, il tentativo ordinatore dell’uomo fallirebbe perché non sarebbe più il suo pensiero creativo a costruire l’ordine cosmologico, ma il pensiero divino, dal quale l’uomo sarebbe escluso e la sua psiche andrebbe in pezzi. E’ una soluzione possibile per questo brevissimo capolavoro, che in tal modo viene a essere chiaramente omogeneo alle opere maggiori di Zelazny in quel periodo. Seppure ciò avviene non entrando nello specifico di un patrimonio religioso e psicologico particolare -  quelli induista e buddhista nel romanzo Lord of light; i miti egizi in Creatures of light and darkness; i miti cristiani nel racconto lungo A rose for Ecclesiastes, una delle opere più belle di Zelazny; i greci infine nel breve romanzo This immortal – ma operando su un piano più generale. E, verrebbe da dire, teoretico.

Corrida è stato pubblicato diverse volte in Italia, la prima nell’antologia personale di Zelazny La Montagna dell’Infinito (e altre storie) edita da Fanucci. In seguito anche nell’Urania n.815, 44 microstorie di fantascienza, prima parte di un’antologia curata dal terzetto Isaac Asimov, Martin H. Greenberg e Joseph D. Olander; quindi nello sfizioso volumino strenna 25 racconti che hanno fatto Urania.