domenica 24 giugno 2012

I classici – Rapporto sulle migrazioni di materiale didattico (A Report on the Migration of Educational Materials, 1968) di John Sladek (1937-2000)


E’ di gran lunga il racconto più antologizzato di questo, quanto meno in Italia, assai sottovalutato scrittore. L’ultima volta in Letture pericolose, deliziosa e un po’ carbonara antologia a tema, sul tema appunto della lettura e connessi; e sul “pericolo” rappresentato da un’attività tanto sovversiva, capace di distogliere l’individuo dal pensiero uniformato. In passato il racconto apparve anche in una delle antologie einaudiane dello snobbone Fruttero. Americano, John Sladek visse a lungo in Gran Bretagna; e non a caso il suo umorismo come il suo gusto per il surreale hanno una coloritura squisitamente british. E’ l’autore di un caposaldo della letteratura di fantascienza quale Il sistema riproduttivo (Mechasm), più volte proposto anche al pubblico italiano, da ultimo in Urania Collezione e, di nuovo non a caso, saggio pirotecnico di funambolismo surreale e di umorismo verbale. 

Giuseppe Lippi, il tizio che oggi da bravo soldatino mondadoriano propaganda come migliorativi gli orrendi tagli operati in sede di traduzione italiana a sconciare le opere originali presentate su Urania, lo definisce nella sua postfazione come il più visionario dei racconti raccolti nel piccolo volume. E una volta tanto ha perfettamente ragione: questo racconto è una visione. O anche meglio: una fantasmagoria. Della visione possiede certamente il rigore stilistico e contenutistico, ma la ridda di interpretazioni che possono affollare la mente del lettore appartiene più alla fantasmagoria. Non è certo un oggetto maneggevole questo racconto di Sladek. Privo com’è di una trama vera e propria o di personaggi che abbiano un ruolo più che di semplici presenze, si presta con difficoltà a essere a sua volta raccontato. E’ un racconto che molto meglio si presta a essere “sentito”. Toccato, forse; in qualche modo annusato. Non sono termini scelti a caso né incongrui. Sono un tentativo di esprimere la qualità principale di questa breve opera.  La sua irriducibilità, mi appare, a una lettura intellettuale. Può sembrare, di nuovo, incongruo; eppure questo racconto scritto che parla di libri è in primo luogo un oggetto sensuale. Che dona un’esperienza sensuale. Dei sensi, cioè. Non necessariamente dei sensi classici, anche se prima richiamavo tatto e olfatto. Sensi più sottili, magari. Come il piacere di una lettura dove la comprensione intellettuale è del tutto secondaria rispetto al semplice godimento dell’atto in sé: perché la lettura potrebbe essere priva di alcun senso a parte l’esercizio stesso del leggere. O come il piacere dell’immaginazione di una realtà a tal punto insensata da divenire prosaica, da ricostruire il reale entro nuove, aeree coordinate. Ma anche il piacere di poter rincorrere significati profondi al di sotto di un tessuto narrativo all’apparenza privo di qualsiasi logica. Perché anche letture rigorosamente sensate sono legittime per questo breve racconto.

La non-trama è presto riassunta: i libri prendono il volo. Letteralmente: le biblioteche, le librerie, le case, tutti i luoghi dove sono ammassati i libri, se ne svuotano; i volumi prendono il volo, a  milioni, come stormi di uccelli. Null’altro ci dice Sladek. Dove essi vadano o perché si mettano in volo, come uccelli migratori. A ciascuno la lettura che gli è più congeniale. L’autore vuole narrarci (ammonirci, magari?) del venir meno della cultura? O dell’intera struttura alfabetizzata della nostra civiltà, perché non sono soltanto preziosi codici miniati trecenteschi o ponderosi tomi enciclopedici a spiccare il volo: anche gli elenchi telefonici e i libretti degli assegni sfidano gli spazi del cielo verso l’ignoto. Il racconto è del 1968, Sladek ci offre forse uno squarcio profetico sulla smaterializzazione della cultura che stiamo cominciando a vivere in questi tempi? O ancora è possibile vedervi – è sempre il 1968 – una ribellione verso una cultura librescamente istituzionalizzata? Quegli stessi libri che furono strumento e veicolo di libertà nei tempi passati, e che troppo spesso si mutano in oggetti inanimati e privi di vita nelle mani dei custodi acritici della tradizione riconquistano la propria vitalità, riprendono letteralmente vita e lasciano un mondo e una civiltà umani ancorati alla pesantezza della terra, ai vincoli di un reale che ha dimenticato il potere del sogno e della fantasia, il potere creativo dell’immaginazione. Del volo di fantasia. Forse questa è un’interpretazione più seducente di altre: quando Sankey e Preston, i due per così dire protagonisti del racconto, decidono di affidare al suo destino di libertà anche il rapporto che stavano stilando sul fenomeno migratorio dei libri, si potrebbe vedere nella decisione proprio una ribellione all’imposizione di un pensiero standardizzato, scandito da modelli preconfezionati di comportamento e di cultura. Ci si potrebbe anche spingere più in là, vedere nel fenomeno migratorio dei libri la manifestazione della forza delle idee, della loro vitalità espansiva oltre i confini (auto)imposti dall’uomo; come oltre le conoscenze contingenti del qui e ora: quando Dante, per dire, scrive la Commedia non può immaginare quale sia il destino della sua opera, in certo qual modo la affida a un volo verso l’ignoto; come è (stato) per ciascuno prima e dopo di lui. O è possibile perfino intravedervi una sorta di processo di formazione di un (in)conscio collettivo, dove ciascuno partecipa con il suo contributo con pari dignità, che esso sia il Tractatus logico-philosophicus (citato nel racconto) oppure un libro mastro di contabilità. O ancora, chissà, si può farne la lettura del venir meno di una coscienza, individuale o dell’intera civiltà umana: erano tempi magmatici quelli in cui scriveva Sladek, anche se i nostri ci sembrano pure più labili e insicuri.

Ciascuna delle interpretazioni suggerite è possibile, e sicuramente ve ne sono altre che sfuggono alla mia immaginazione. Tuttavia la mia preferenza continua ad andare alla lettura puramente sensuale del racconto cui accennavo prima. Senza ricercarvi significati ulteriori (o sottesi) altri dal piacere del gioco verbale e intellettuale dell’immaginazione sbrigliata. Della fantasia non costretta da altre maglie che quelle dell’istinto ludico dello scrittore e del suo desiderio di stupire il lettore, stupendosi a sua volta, con l’invenzione più folle.

La fantascienza abbonda di maestri, o anche solo artigiani di talento, semi-dimenticati o del tutto dimenticati. Maestri o artigiani abilissimi anche nello sconfinamento oltre i territori (pretesi) rigorosi della science-fiction. Come appunto John Sladek, capace di tessere il surreale e farne a un tempo esercizio di gioco puro e stimolo per la fantasia e la mente.         

7 commenti:

MCP ha detto...

dele pagine facemmo ali al folle volo! :)

Vincenzo Oliva ha detto...

Il raffinato chiosatore :-)

V.

Iguana Jo ha detto...

Ottima cosa ricordare e sottolineare il lavoro di Sladek.
Ottima cosa soprattutto perché io questo racconto non l'ho mai letto (mannaggia a me!) e ora me lo voglio proprio godere.

marco ha detto...

La fantascienza abbonda di maestri, o anche solo artigiani di talento, semi-dimenticati o del tutto dimenticati.

E Tik Tok? e Roderick?
Sladek era meglio di Sheckley, Vonnegut, Adams...
Sarò cattivo ma tutte le cose migliori della fantascienza sono sempre cresciute ai margini, raramente riconosciute dai premi, dal fandom, dal successo commerciale. La stessa Joanna Russ, mi sono accorto leggendo molte discussioni in seguito alla morte, è molto più citata che letta.

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie, giorgio :-)

@Marco: dei nomi che citi il solo che anche a me pare sopravvalutato è Adams: più genialoide che geniale. Ma Sheckley ha scritto cataste di racconti incredibili, e Vonnegut era un talento universale. Sladek è, purtroppo, un maestro dimenticato; però qualcuno giustamente ricordato c'è, per fortuna.

V-

Massimo Citi ha detto...

Grazie di cuore per avermi ricordato alcune letture davvero importanti. Di quando l'SF era - tra le altre cose - una vera letteratura.

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie, Max :-)