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Giovanni De Matteo |
Pirati
spaziali; profeti dementi; divinità misteriose, crudeli e remote; pianeti
sperduti agli estremi confini del Sistema Solare; antiche civiltà terrestri
nascoste dalle nebulose dei millenni trascorsi, e seducenti nel loro manto di
conoscenze arcane e leggendarie; esperienze visionarie; stati di coscienza
alterati (e alterabili); potenti, oscure, sibilline sostanze psicotrope; commistioni
tra piani temporali disparati; viaggi spaziali su astronavi guidate da Ragazze
Iperluminali, astronavi che paiono fuoriuscite da ingiallite pagine hamiltoniane;
mirabolanti viaggi temporali attraverso la mente e la coscienza; scambi mentali
e identitari tra siderali deità e umani, tra umani e metamorfici esseri-chimera
che provengono dritti dall’ibridarsi di mitologie esotiche e mitologie
immaginarie; il ’68, la contestazione, la Beat
Generation, l’estetica on the road,
sfiorando le marginalità a stelle e strisce. Poi la Consapevolezza Terminale;
la chimica della trascendenza; la morte della morte; il tempo che può finire; l’apocalisse-epifania
che tutto conclude e tutto riavvia. Lovecraft, inevitabilmente (e giustamente)
Lovecraft; e William Burroughs: citati e richiamati implicitamente ed esplicitamente.
Un’abbuffata,
in qualche modo: un coagularsi, precipitare, implodere e poi riesplodere di
mille e mille ingredienti disparati. Un’affastellarsi di suggestioni; immagini;
rimandi; citazioni; omaggi; idee; sensazioni; evocazioni; visioni;
allucinazioni. Lovecraft, inevitabilmente e giustamente: il racconto è apparso
sul numero 1 di Hypnos, il cui
sottotitolo recita: rivista di
letteratura weird e fantastica, e che del vate di Providence ospita, tanto
per stare sul pezzo, proprio il racconto del 1922 Hypnos. Ma inevitabilmente anche Burroughs, il poeta dei meandri
allucinati della mente. Un’abbuffata di colori e sapori; un’abbuffata di parole
usate come fini prima che come mezzi: usate per il loro suono; per il loro
concatenarsi le une con le altre; per la magia del loro richiamare immagini nella
mente del lettore dalla sua memoria. Un racconto che è una pietanza di mille e
mille sapori forti, fortemente speziati e spesso dissonanti; un pastiche la cui
degustazione impone di lasciarsi affascinare dal suono delle parole e di
lasciarsi indurre a richiamare le immagini sepolte nella propria memoria. Una
pietanza, un pastiche goticheggiante che opera consapevolmente la scelta della
ridondanza: di termini, di visioni, di rimandi e memorie. E con la ridondanza,
l’eccesso: Una trasfusione di Eternità:
per eseguirla, il solito ago. Nudo, sprofonda nella pelle improvvisamente
accogliente, si concede alla carne e disseta la vena. Di lì risale il flusso
circolatorio fino al cuore e riparte a velocità di curvatura in arterie
sussultanti – gallerie organiche dalle diramazioni frattali, senza fine –
sospingendo la forza delle parole, concludendo al termine di una scorribanda psichica
durata mille eoni e una pulsazione e mezza la sua Ultima Evocazione. Ecco,
per dire. Un intento ludico (anche ludico) emerge chiaramente, insieme al
piacere della scelta delle parole per l’effetto che avranno, per il
sovraccarico sensuale e sensoriale che produrranno nel lettore.
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Andrea "Jarok" Vaccaro |
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Hypnos rivista n.1 |
L’opera
letteraria in generale, e un breve racconto in particolare, non ha bisogno di
altro che la propria bellezza per giustificare stesura e lettura; e ciascuna
opera fonderà la propria bellezza (se la fonderà…) su basi diverse - che esse
abbiano fondamento nella preziosità linguistica, nella profondità dell’analisi
psicologica dei caratteri, nell’arditezza della speculazione sul futuro, nella
puntualità dell’analisi sociologica o politica del presente. O qualunque altro
sia il fondamento della bellezza dell’opera, quel quid che la rende meritevole di memoria, anche soltanto una fugace
memoria. Al di là del gioco, della lingua lussureggiante che ne costruisce l’impianto
gotico e l’identità di omaggio ai capisaldi della fantascienza weird; al di là della piacevolezza
estetica che con la sua rincorsa all’eccesso e all’ipertrofia verbale e
fantastica solletica il gusto della lettura; al di là del puro gusto di leggere
parole e ascoltarne il suono nella propria mente, il racconto di De Matteo e
Jarok si lascia ricordare volentieri anche per il suo finale. Forse
principalmente per il suo finale. Un finale che è al contempo disperato e aperto
alla speranza; che pare perduto nella contemplazione di stilemi e visioni di
una letteratura fantastica slegata da ogni realtà e al contempo disvela, e narra,
la realtà del mondo di oggi attraverso i bagliori di un’allegoria fantastica ma
dai risvolti assai concreti. Nell’epifania e poi apocalisse finale del Capitano
Nero, nato dall’uovo nero che aveva attirato a sé Cumhu, il Ragazzo-iguana e
Xolotl, il Ragazzo-salamandra, imperfetti custodi e profeti di saggezza, è possibile
scorgere l’immagine di quel consumismo che impera e che tutto divora: le
risorse della Terra, il piacere e il gusto della bellezza, il tempo della vita
e le risorse spirituali e fisiche degli esseri umani. Finanche l’anima stessa degli
esseri umani. Sono saggi Cumhu e Xolotl. Sono sagge le parole di Cumhu: La vostra morte è un organismo che voi
stessi create. Se lo temete o vi prostrate davanti a lui, l’organismo diventa
il vostro padrone; sono sagge le parole di Xolotl: La morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola
per parola. Poco prima, l’abominio evocato dal Capitano Nero aveva
apportato una prima ondata di morte e distruzione. Ma come tutta la saggezza
che la nostra civiltà ha prodotto almeno dai tempi di Omero in poi ci appare imperfetta
se non riesce, come non riesce, a renderci davvero consapevoli della spirale di
distruzione a cui va conducendoci la foia consumistica, così le parole di Cumhu
e Xolotl non evitano la distruzione finale operata dal Capitano Nero. Così come
oggi la sola risposta rimasta, sempre più spesso, appare quella individuale e
individualistica di rifiuto e ripulsa della spirale consumistica; allo stesso
modo la fuga individuale di Cumhu e Xolotl verso il pianeta Yuggoth, là dove il
nastro del tempo tornerà ad avvolgersi e svolgersi circolarmente, riavviando il
ciclo degli eventi, appare una via di salvezza autistica.
Eppure proprio
laddove il Fato, inevitabile, sembra il vero vincitore è forse opportuno
rammentare meglio le parole di Xolotl: La
morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola per parola.
Ciò che è stato, non necessariamente sarà. E questa è una lezione che vale la
pena ricordare quando ci sentiamo sconfortati e scavalcati dagli eventi che
accadono attorno a noi; è una lezione valida anche, e soprattutto, per la Storia
con la “S” maiuscola e non solo per una storia narrata su una rivista. A un
breve racconto si chiede di divertirci, di avvincerci con le parole, di
fornirci uno stimolo per la mente. Si chiede di aprirci una piccola finestra su
noi stessi o sul mondo. Oppure sull’arte. Il racconto di De Matteo e Jarok ci
riesce.
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Hypnos rivista n.2 |
Antichi
e malvagi dei di dimenticate cosmologie arcane; visioni ai confini e oltre i
confini del misticismo; esperienze e percezioni allucinatorie; mostri la cui
deformità è spirituale prima che fisica; esseri proteiformi e mutaforme; uomini
che si trasformano in dei; sentenze criptiche ed esoteriche; civiltà antiche e
civiltà fantastiche: è ancora fantascienza? Lo è certamente, una fantascienza
pura sebbene ibridata, pura perché ibridata. Sin dalle origini la fantascienza
si è bagnata anche nei mari della letteratura dell’orrore come della
letteratura fantastica in generale.
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Hypnos fanzine n.9 |
Da Mary Shelley in poi, a partire dai
precursori e i primi esponenti di quella modalità letteraria che avrebbe preso
il nome di fantascienza, semplicemente si è fatta letteratura, con ogni
materiale a disposizione di uno scrittore. Come sarà per i dichiarati numi
tutelari di questo racconto. Lovecraft, le cui opere più fantascientifiche sono
capisaldi di una fantascienza dal respiro cosmologico e dall’anima piantata
nelle profondità delle pulsioni e paure e aspirazioni umane: fantascienza
appunto. Burroughs, tra i primi a coniugare lo sperimentalismo letterario e i topoi della fantascienza di genere,
esplorando quello spazio interno che poi Ballard avrebbe introdotto come
concetto in fantascienza (http://it.wikipedia.org/wiki/James_Graham_Ballard)
e di cui, con lo stesso Ballard e con Philip K. Dick fu il principale
esploratore.
Ancor
giovane, Giovanni De Matteo, oltre a essere tra i fondatori della corrente
letteraria italiana del Connettivismo (http://it.wikipedia.org/wiki/Connettivismo_(letteratura)
è già un veterano della fantascienza italiana, con all’attivo svariati racconti
e un romanzo che diversi anni fa gli fece vincere il Premio Urania. Andrea
Jarok è a sua volta attivo da moltissimo tempo in campo fantascientifico,
principalmente come saggista e in ambito editoriale. Hypnos, la rivista, è la diretta filiazione dell’omonima fanzine
attraverso l’omonima casa editrice (http://www.edizionihypnos.com/index.htm).