sabato 25 luglio 2009

[fantascienza] Il classico - Ritorno su Terra (Earthscape 1982) di Robert F. Young (1915-1986)


Non c'è nulla di più sfuggente della fantascienza. Per il profano è un cumulo di scemenze che si occupa di alieni verdi, robot impazziti ed effetti speciali cinematografici; alcuni profani si spingono, quando gli si propongono esempi di cosa possa essere, al rifiuto caratterizzato dal classico "Vabbe', ma questa NON è fantascienza!". Non lo sarebbe perché l'elemento fantascientifico sarebbe puramente accessorio laddove la storia tratterebbe essenzialmente di altro, ad esempio di riflessione sociologica (Il mondo nuovo o Il Signore delle Mosche); oppure perché sotto una sottilissima patinatura fantascientifica l'impianto sarebbe realistico (Preludio allo spazio). Per il fan è un Santuario caratterizzato da Sacre Regole; ogni fan ha le sue, ma entro certi limiti vi è una flebile, ma non troppo, comunanza di visioni: che sia il mitizzato sense of wonder o altro, la fantascienza deve differenziarsi nettamente dalla letteratura realistica. Il che pare ovvio (ma forse non è così vero, chissà).

L'intemerata qui sopra me l'ha ispirata la lettura del racconto di Young. Probabilmente metterebbe d'accordo tanto il profano che il fan: entrambi non lo considererebbero fantascienza, per eccesso di realismo. Realismo ad onta del fatto che il protagonista sia un reduce da un lungo periodo di lavoro alla costruzione della prima colonia umana stabile su Marte. Potrebbero aver ragione. Apparentemente. Il breve racconto, infatti, date per poste dette premesse, si dipana tra il racconto di costume e quello psicologico e d'amore. In realtà esso tocca il cuore, il punto nevralgico della fantascienza. Il suo nucleo: il sogno. La natura del sogno. E cos'altro è, cos'altro può essere la fantascienza se non la risposta più profonda al bisogno dell'uomo di sognare, di immaginare, di concepire una vita altra dalla propria? Una traduzione letteraria della propria inquietudine, e della sua curiosità per l'incognito. In modo schematico, data anche la brevità del racconto, Young pone il suo protagonista nella necessità di scendere davvero dentro sé stesso e comprendere quali siano i propri sogni, le proprie aspirazioni: in ultima analisi la propria identità. Protagonista che era andato su Marte perché i dieci lunghi anni della grama e dura permanenza gli avrebbero permesso una nutrita serie di privilegi una volta tornato sulla Terra. Nientemeno che di "sistemarsi": impiego statale garantito, magari in un comodo ufficio postale come auspica suo padre, e uno status di quasi-eroe abbastanza matto da essere stato su un sasso nello spazio al cui confronto la vecchia frontiera americana sarebbe un agriturismo perfettamente organizzato. Neil, il protagonista appunto, ora desidera la prospettiva apaticamente; come in modo apatico torna a frequentare Judy, un'ex fidanzata dei tempi della scuola ritrovata divorziata con tre figli, e desiderosa di ritentare la vita familiare e costruire un'esistenza perfettamente borghese, perfettamente prevedibile, sicura. Un'esistenza americana da sit-com viene da dire. Un'esistenza che egli accoglie con progressiva freddezza, quella stessa freddezza che percepisce quando ha a che fare con Judy e i suoi marmocchi, che pure lo adorano, e sono una vera cartolina dagli Stati Uniti. E' questo il sogno per cui ha lavorato per anni su Marte come una bestia da soma? Pat, ex spogliarellista, spirito libero, incontrata al bar dove lo porta il padre al suo ritorno da Marte e che lì lavora come barista, è forse l'innesco della riflessione sulle proprie aspirazioni, su ciò che egli davvero vuole, su quale sia la vita di cui ha bisogno. Se risponde alla schematicità di cui dicevo il fatto che i due si innamorino e decidano di tornare/andare su Marte, non vi è nulla di schematico nella maturità con cui Young presenta narrativamente l'evento, conducendo l'uomo e la donna a una decisione del tutto consapevole, e del tutto indipendente l'uno dall'altra: non è il loro innamorarsi a spingerli verso Marte e la dimensione "avventurosa" che esso rappresenta, ma è la coscienza infine chiara dei loro desideri, progetti e aspettative che li conduce a trovarsi e innamorarsi. E se Pat ha certamente stimolato la riflessione dell'uomo sui suoi bisogni reali, è indubbio che egli abbia canalizzato in una direzione infine netta e chiara la nebulosa dei sentimenti e la vita vagabonda della donna.

La storia potrebbe funzionare benissimo allo stesso modo se fosse un racconto su un emigrante di ritorno al paese natale da una terra lontana e avvolta quasi nel mito, potremmo immaginare un italiano di ritorno dalla Terra del Fuoco alla fine del XIX secolo: apparentemente nulla cambia, e il profano e il fan hanno ragione. Eppure a me pare che cambi la prospettiva: storicizzando, si sottrae quello che è l'elemento più caratteristico della letteratura del possibile, l'idea appunto della possibilità. Dell'ipotesi. Introdurre Marte invece della Terra del Fuoco introduce da subito l'elemento ipotetico, predispone psicologicamente a riflettere su qualcosa che non è ricordo, dato storico e realtà, ma al converso rappresenta una proiezione e quindi un'elemento speculativo sull'ignoto. Naturalmente, storicizzando si ha invece il vantaggio di individuare entro coordinate culturali e temporali precise la vicenda. Sono due strategie diverse ed entrambe stimolanti e ricche di implicazioni. Young è abile nel costruire una storia intimamente fantastica e di fantascienza, rivestendola di un realismo autentico nel delineare i caratteri umani. Un realismo a-storico, direi, rappresentando le due eterne tensioni dell'uomo tra sicurezza e irrequietezza.

L'abilità di Young nasce dal suo stile e dalla misura controllata della sua scrittura, che in genere viene definita come "poetica" e "romantica". Definizioni che quasi sempre non definiscono un emerito fico secco ;-), o peggio fanno pensare a sdolcinatezze e svenevolezze varie. Ecco, no. Il vero romanticismo e la vera poesia possono essere duri e scabri, come venati di un lirismo che nulla ha di fievole e zuccherino ed è invece ardore e se necessario dolore. C'è un breve frammento di Saffo che credo renda chiaro a perfezione cosa siano un genuino afflato romantico e la poesia autentica:
E' tramontata la luna
insieme alle Pleiadi
la notte è al suo mezzo
il tempo passa
io dormo sola

Young non è ovviamente Saffo, ma anche egli sa come toccare le corde delle emozioni del lettore senza alcuna concessione alla corrività di queste: lavora in profondità, Young, non in superficie.

Robert F. Young è un nome pressoché dimenticato in patria e pochissimo conosciuto da noi. Non identificabile con dei cicli, e autore in un trentennio abbondante di carriera di una gran messe di racconti ma di solo un pugno di romanzi, le modalità della sua produzione e il suo essere scrittore appartato dal milieu letterario lo hanno predisposto in modo quasi naturale all'oblio; il che è un peccato. In Italia sono stati tradotti e pubblicati un certo numero di racconti sparsi qui e là in antiche antologie collettanee su Urania e più raramente altrove, oltre a due antologie personali edite in tempi eroici da Galassia. Che io sappia, non è stato tradotto nessuno dei pochi romanzi, che dalle date di pubblicazione negli USA debbono essere stati scritti dopo che Young andò in pensione dal suo lavoro "istituzionale" di bidello in una scuola pubblica. Compromesso tra sicurezza e irrequietezza, tra l'ufficio postale e il Marte del protagonista di Earthscape.

Il racconto fu pubblicato nel 1982 sulla Isaac Asimov's Science Fiction Magazine, e lo stesso anno è arrivato in Italia, sul n.11 della seconda incarnazione italiana della rivista, quella diretta da Vittorio Curtoni reduce dal fallimento (in senso editoriale...) di Aliens.

V.

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