giovedì 29 ottobre 2009

[fantascienza] I contemporanei - Soli offuscati, lune morenti (In Fading Suns and Dying Moons - 2003) di John Varley (n.1947)


E' difficile immaginare la fantascienza senza il rapporto con l'Alieno. Non inteso (non necessariamente) come l'omino verde di Marte o comunque come l'essere di altri pianeti, ma come la dimensione di ciò che è altro dalla nostra realtà sensibile, dal senso comune, dall'esperienza quotidiana, dalla conoscenza attuale. Dalla realtà priva di estrapolazione. In questo racconto gli alieni però ci sono: un'invasione di alieni. E benché l'Alieno tanto remoto e diverso dall'uomo da essergli del tutto indifferente non sia una completa novità, quelli (o quello?) presenti nel racconto di Varley sono tra i più alieni che ricordi.


Americano, affermatosi nella seconda metà degli anni '70, John Varley, uno degli anticipatori del rilancio della fantascienza avventurosa centrata con rigore sulla speculazione scientifica e suo profondo innovatore, è stato fin verso la metà degli anni '80 uno degli autori di maggior spicco dell'epoca; parecchio prolifico sino a lì, in seguito ha rarefatto all'estremo la sua produzione, ma decisamente non la qualità di essa: resta, la sua, una delle voci di maggior rilievo nella storia della sf.


Varley è stato spesso accostato e paragonato a Heinlein, forse per la somiglianza con molti protagonisti heinleiniani, in realtà più superficiale che altro, del suo personaggio più famoso, la Cirocco Jones del romanzo Titano e seguito. Ma che Varley non sia (stato) una sorta di ultimo dei classici lo mostra bene questo racconto, che mette in scena una situazione che sarebbe assai garbata a John Campbell, "fondatore" della fantascienza classica degli Asimov e Heinlein, ma scioglie il dramma in un modo che avrebbe fatto volare Varley fuori dallo studio di Campbell assieme al suo racconto se avesse provato a venderglielo per la sua rivista. In questo racconto l'umanità perde, e perde senza neppure avere la possibilità di sedersi al tavolo da gioco; un concetto che Campbell rifiutava in partenza: l'Uomo (americano) riusciva sempre a trionfare contro ogni pronostico, contro ogni logica; soprattutto contro ogni pronostico e ogni logica. Ma gli innominati alieni di Varley neppure si accorgono dell'Uomo, nonostante la gentilezza con cui cercano di soddisfare le domande dei vari esseri umani e la noncuranza con cui eliminano quelli che interferiscano con i loro compiti. Come gli alieni indicano agli uomini, Varley mette l'umanità nella stessa condizione degli esseri bidimensionali della Flatlandia di Edwin A. Abbot quando vengono invasi dalla tridimensionale Sfera. Moventi, azioni, scopi, percorsi mentali di esseri multidimensionali sono semplicemente al di là della comprensione, e tentare di colpire esseri per i quali il tempo è un qualcosa come alto o basso, destra o sinistra per noi, è impossibile. I Profeti che esistono all'interno del tunnel spaziale in Star Trek: Deep Space 9 presentano molte somiglianze con quelli di Varley, ma questi ultimi sono molto più "realistici", agiscono in modo autenticamente non umano.


Se il tempo è la stessa cosa che alto o basso, allora impiegare cinque miliardi di anni per creare il sistema solare e farvi crescere le farfalle non è più impegnativo né "dura" più che attraversare la cucina per prendere il sale da aggiungere alla minestra. Gli alieni setacciano a pettine fitto l'intera superficie planetaria per raccogliere tutte le farfalle; perché sono "la cosa più bella della Terra". Ma nel sistema solare esistono - o potranno esistere - altre cose che interessano loro. L'Uomo, non riveste interesse alcuno. Non è dato sapere se fosse un prodotto inevitabile o accidentale, necessario o eventuale, utile o inutile del processo messo in atto cinque miliardi di anni prima; di certo si sa che è superfluo ai loro ignoti scopi.


Ciò porta a conseguenze.


Varley non pone fine all'umanità - quanto meno si ferma un attimo prima, e in fondo gli esseri umani sono talmente adattabili che in un qualche modo potrebbero perfino sopravvivere; si limita anche lui a disinteressarsi del destino ultimo dell'Uomo. Con pacatezza, con un pathos depurato di ogni eccesso di drammaticità, ma con tutta la forza e grandiosità delle metafore su scala cosmica, egli pone in scena i meccanismi nudi del funzionamento della natura: la natura esiste; la natura accade; la natura muta. L'Uomo vi è inserito: esiste, accade e muta con essa, e all'interno di essa. Come ogni particella, nasce e decade. L'uomo della fantascienza di Campbell, l'uomo risolutore, è qui semplice spettatore dell'accadere e dell'esserci dei fatti. L'entomologo Andy Lewis, il protagonista, e il matematico Ward sono lontani dagli ingegneri heinleiniani. Possono solo osservare, senza neppure realmente formulare ipotesi, solo andare a tentoni. La natura (gli alieni) opera su una scala inattingibile all'operare umano, seppure con il tempo forse sarebbe conoscibile; ma è proprio il tempo a essere, pienamente, ininfluente: a perdere senso come coordinata del reagire umano.


Il racconto, uscito in origine direttamente in una delle tante antologie che affollano il mercato americano, è stato pubblicato in Italia su Venti galassie, l'Urania Millemondi edito nel luglio 2007 e che presentava l'abituale antologia dei migliori racconti dell'anno (il 2003 in questo caso) curata da David Hartwell e Cathryn Cramer.


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