venerdì 29 gennaio 2010

Caravan - spedizione verso l'ignoto quotidiano


In questi decenni più recenti una realtà editoriale ha dominato il fumetto in edicola: è la Sergio Bonelli Editore. Nulla di strano, in questo: l'editore di Tex, Dylan Dog, Martin Mystère e innumerevoli altre testate ha sempre mostrato un rispetto per il lettore spesso del tutto sconosciuto altrove e una eccellente cura del prodotto. Con tutte le eccezioni che si possono dare, naturalmente; ma nel complesso la qualità media dei fumetti bonelliani - come albi e contenuto degli albi - è raramente avvicinata da altre realtà del prodotto seriale e da edicola, e quanto al livello di cura editoriale forse da nessuno.

La SBE rappresenta non solo per questo un mondo a sé. L'impressione che filtra verso il lettore è di un colosso immobile dove vigono leggi tutte sue. La seconda parte della precedente affermazione è probabilmente vera; laddove l'immobilità bonelliana è un mito mentale di chi non ne conosce la storia editoriale né il presente. Appare vero, però, che gli autori e i disegnatori debbano conquistarsi la possibilità di variare le "regole" con fatica. E sprezzo del pericolo :-).

La fantascienza abita di rado in casa Bonelli, e a parte l'ormai classico Nathan Never in genere capita che si intrufoli di soppiatto nelle storie di testate istituzionalmente dedicate ad altro. E' capitato anche a Tex.

Lo scorso anno è giunta in edicola una miniserie che sta infrangendo diverse di quelle regole, e che lascerebbe assai spiazzato anche un lettore purista di fantascienza: Caravan. Che Caravan sia fantascienza è ovvio; non potrebbe essere altro con quelle nuvole misteriose che sconvolgono la vita di una cittadina americana e di tutta la sua popolazione, prelevata - anzi sostanzialmente rapita - dall'esercito e gettata sulla strada in una sorta di esodo biblico verso il nulla. Tuttavia, il realismo estremo con il quale Michele Medda, l'autore di Caravan, ne scrive poi gli episodi appare in contrasto (e disorienta i lettori meno attenti e più fissati su un'idea di prevedibilità di genere e del fumetto seriale bonelliano) con i canoni della fantascienza. Semplicemente, Caravan usa le possibilità dello scarto logico offerto dalla modalità narrativa fantascientifica per analizzare il nostro presente, la nostra quotidianità, la nostra umanità: ciò che la miglior fantascienza fa da decenni. Medda lo fa a bassa intensità fantascientifica, ma con finezza analitica. La serie è giunta al momento all'ottavo dei dodici albi previsti.

Quanto segue è stato pubblicato su uBC: http://www.ubcfumetti.com/bonelli/?19518

Michele Medda, a destra, premiato a Lucca per Caravan
Di albo in albo, sin qui, l'autore di Caravan è venuto tessendo e ritessendo il materiale narrativo di cui si compone la serie. Ciascun albo ha progressivamente messo e rimesso a fuoco, precisato e dettagliato il senso complessivo della mini meddiana e definito i contorni dei personaggi, sia lavorando su quelli ricorrenti che attraverso le "monografie" rappresentate dai personaggi, per così dire, ospiti dei singoli albi.Si è venuto così a comporre un unicum narrativo. Il tessuto connettivo che ha permesso di operare in tal modo è stata la rappresentazione realistica della quotidianità. Il realismo non è ovviamente un quid novi neppure in ambito bonelliano: Giancarlo Berardi ne fa ampio e grandioso uso in Julia, e sin dagli anni '70 lo stesso Berardi in Ken Parker e Gino D'Antonio in molti racconti della Storia del West hanno sfoggiato un sostanziale realismo nel loro lavoro (per tacere di quello, fino all'iperrealismo della caricatura, con il quale Rino Albertarelli ha illustrato il west con i suoi Protagonisti). Ciò che in Caravan è bonellianamente inedito è la completa rinuncia all'eroe istituzionale. In quasi ogni testata bonelliana vi sono momenti narrativi o anche albi interi - anche serie globalmente intese, si diceva di Julia - nei quali l'eroe è presentato nella sua dimensione più umana e naturale, quotidiana. Nathan Never non è solo un futuribile poliziotto, ma anche un padre sollecito (e un po' assente) di cui conosciamo l'amore per i libri antichi e il tempo che fu; Dylan Dog ci mostra le sue mille umane debolezze; Martin Mystère, un amabile logorroico come è bello conoscerne, è banalmente afflitto dai problemi di spazio che gli pone la sua biblioteca sterminata; in Volto Nascosto Gianfranco Manfredi ha compiuto uno sforzo in gran parte riuscito di ricostruire un ambiente storico verosimile e verosimili attori per la serie. Perfino Tex ci si mostra a volte nella sua più estrema normalità di padre in apprensione per suo figlio. Ma per contro, come dichiara da subito la sua stessa apparenza grafica, perfino la realistica Julia incarna uno status eroico - ribadito dalla sua funzione di solutrice di problemi.Come anticipavo, il di più introdotto da Caravan è la soppressione di questo elemento caratterizzante di tutta la tradizione bonelliana (e della narrativa popolare e seriale): l'eroe. L'esservi riuscito mantenendo il senso complessivo di epos popolare è il merito della serie e del suo autore. Nel classico fumetto bonelliano ci viene mostrato il personaggio-eroe che vive momenti della propria quotidianità; in Caravan persone del tutto comuni vengono poste in condizioni estreme - vengono anzi sottoposte a situazioni estreme, senza trasformarsi per questo in eroi, introducendo dunque un topos ormai tradizionale, ma sin qui assente in casa SBE. Nella sua quotidianità l'eroe bonelliano (re)agisce in base alla propria "programmazione"; e così l'eroismo fragile ma infrangibile di Dylan Dog non viene mai meno e si riflette nei rari squarci di realismo puro della serie, nelle poche storie d'amore autentiche da lui vissute; né Tex deflette dal titanismo della sua figura se anche ci si mostra - genuinamente - come un padre accorato per il figlio o l'amico fraterno in pericolo. I personaggi di Caravan - che siano i Donati, Jolene, il sindaco Banks o un qualunque altro, come il motociclista finto-Easy Rider o l'anziano nativo del settimo episodio - non hanno nulla di istituzionalmente eroico, e le loro (re)azioni, nella quotidianità come anche nell'eccezionalità, coprono l'intera gamma di quelle contemplate dalla umana diversità. Da chi ci aspetteremmo virtù eroiche osserviamo mostrare una certa codardia (e poi la volta seguente comportarsi diversamente sorprendendoci di nuovo) e viceversa. Oppure, ancor più semplicemente tenere un atteggiamento che non si risolve né in un senso né nell'altro. Scopriamo che chi dovrebbe, sempre istituzionalmente, ricoprire un ruolo esemplare, di guida - chi sarebbe l'eroe classico - è invece una persona qualunque, come quelle che ci circondano in ufficio o sull'autobus. Che le sue debolezze non hanno nulla di grandioso e che quando cade, cade abbastanza meschinamente. O meglio: umanamente. Scopriamo che è come noi, ha le nostre piccole paure e compie i piccoli atti di vigliaccheria che anche per noi sono a volte inevitabili; ma come noi si riscatta in piccoli e meno piccoli gesti di generosità o coraggio. Padri e madri, mariti e mogli, sbagliano in modi che sono naturalmente drammatici ma non hanno nulla di narrativamente drammatico come siamo stati abituati a vedere per esempio in Nathan Never. Davanti ai nostri occhi, disposti in osservazione riflessiva, si dispiega insomma quanto nel normale fluire della nostra esistenza osserviamo inavvertitamente. Compreso il fatto che in giro ci sono anche bastardi autentici.

Non c'è l'epica ciclopica degli eroi, in Caravan, ma molto più dimessamente il racconto dell'epopea di una (e di ogni?) comunità, analizzata allo sguardo ravvicinato su gruppi o individui di essa. Momenti apicali di questa strategia stilistica sono quelle sequenze legate a episodi della memoria dei personaggi, o della loro memoria familiare (si vedano in particolare, fino a ora, il sesto e l'ottavo albo), in grado di assumere un respiro narrativo ampio, storico. Ciò che rende particolarmente riuscito il ricordo della strage dei bambini di Gorla nell'ottavo albo non è la cruda e nuda forza del fatto in sé, ma la naturalezza con la quale Michele Medda lo ha incastonato nella storia della famiglia Donati; e l'altrettanta naturalezza con la quale lo ha fatto emergere nel racconto di Massimo Donati.
Il registro stilistico di Michele Medda non è naturalmente estraneo all'edificazione di questo impianto concettuale e alla sua traduzione in schema narrativo. Registro stilistico affinatosi nel tempo sulle pagine di Nathan Never e Dylan Dog in un progressivo lavoro di sempre più accentuato sfrondamento degli elementi di maggior effetto drammatico immediato in favore dell'individuazione di quelli che diano corpo a una narrazione dove la drammaticità emerge in tutta spontaneità dal piano svolgersi degli eventi. Con Caravan siamo apparentemente all'episodio estremo di questa ricerca, seppure ciò è avvenuto in modo inizialmente ambiguo.
Lo scatenamento dell'azione in puro ossequio alla tradizione, è infatti servito da innesco per uno sviluppo narrativo che subito dopo ha preso ben altra strada. Il mistero delle nuvole, quale che poi ne sarà lo scioglimento, ha messo in moto non tanto l'esodo odisseico di una cittadina americana e di tutti i suoi abitanti, quanto l'occhio della cinepresa che riprende per noi le accelerazioni e i rallentamenti della vita di una comunità umana, fino al dettaglio dei suoi singoli componenti, sottoposta a stress. Quello stress che sempre più è il pane quotidiano della nostra esistenza. A volte preciso nei suoi contorni, e materialmente: come può esserlo un soldato che imbraccia un mitra; oppure più vago e indistinto: ma ancora individuabile come una campagna che appare senza fine e senza presenze umane; o infine ignoto e incombente: come quello di fenomeni troppo lontani dalla nostra capacità di controllo (e conoscenza) quali delle bizzarre nuvole che appaiono in cielo e bloccano le comunicazioni (e quale terrore è più nostro, di noi inurbati e internettizzati uomini del XXI secolo, di quello di restare tagliati fuori dal magma comunicativo del nostro tempo?). I dialoghi, la ricerca delle inquadrature, la definizione psicologica dei personaggi sono tesi alla resa ottimale di questa tonalità media, soffusa nella coloritura e fittissima di senso nella trama, che l'autore lascia da decodificare al lettore che si faccia parte attiva e diligente: la letteratura di eroi impatta l'attenzione del lettore; quella che ne è priva necessita della volontà del lettore di entrare nei suoi meccanismi.


Questa temperie narrativa è precisamente riflessa nella composizione e nella "filosofia" delle copertine, realizzate con ariosa eleganza da un Emiliano Mammucari fin qui in stato di grazia; dove l'assenza di elementi che evocano l'azione eroica e di un protagonista che coaguli su di sé l'attenzione del lettore (le armi, la presenza quasi ineludibile dell'eroe, la rappresentazione della minaccia all'eroe o del nemico che lo minaccia) chiarifica l'architettura narrativa di Caravan sin da questo nitido biglietto di presentazione che il disegnatore va componendo.

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