martedì 13 luglio 2010

I contemporanei – Uno Zero (0 One 2003) di Chris Roberson (n.1970)


I racconti di storia alternativa hanno un fascino tanto sottile quanto intenso. Forse è dovuto alla loro natura intermedia, spuria. Fiabe, in certo qual modo: su mondi che non sono, ma potrebbero essere. Che il caso avrebbe potuto rendere concreti e invece sono (rimasti) pura creazione della fantasia. Ma anche, nelle mani dello scrittore abile, fiabe che innescano la riflessione sulla nostra storia e il nostro presente. Sui meccanismi sociali, psicologici e intellettuali lungo i binari dei quali la nostra storia si sviluppa, o non si sviluppa. O si sarebbe sviluppata se fosse accaduto qualcosa. A volte quei mondi assumono i contorni dell’incubo, e particolarmente fertile in questo senso è il filone di storie che parte dall’ipotesi della vittoria dell’Asse nella II Guerra Mondiale, o comunque manipola il destino dei protagonisti di quel periodo. Rare altre volte, il percorso alternativo della storia appare un’utopia realizzata – sempre che la fregatura non attenda in agguato dietro l’angolo. Ma più spesso la realtà altra non è migliore né peggiore: solo diversa – e in quanto tale bizzarra. Un motivo ulteriore del fascino di queste storie deve risiedere nell’esotismo delle loro ambientazioni – tanto più esotico per certi versi quanto più sentiamo che esse sono vicinissime alla nostra realtà e irrimediabilmente altre. Non c’è dubbio infine che le storie di questo tipo siano legate intimamente alla natura più autentica della fantascienza, quel nucleo speculativo che è il what if, una struttura così semplice e così in grado di ramificarsi. Cosa accadrebbe se: è la domanda cardine della letteratura fantascientifica (è in effetti la fantascienza stessa), la quale rappresenta il tentativo di rispondere a essa e alla doppia esigenza umana di conoscere e di costruire la propria conoscenza. Sono insomma seducenti e complessi giochi intellettuali, talvolta irresistibili.

Il racconto di Roberson non appartiene agli incubi, e ha davvero un sentore di fiaba. E’ un racconto pacato, riflessivo, all’apparenza perfino idilliaco. I gesti e i tempi della Città Proibita e della corte imperiale cinese dove egli ambienta la storia li possiamo immaginare solo lenti, ritualizzati. La scena che apre il racconto ci trasmette alla perfezione questa sensazione di calma e di pace. Un uomo è immerso nella quiete di un giardino, in contemplazione della vasca dove nuotano dei pesci: è il Capo Calcolatore di Corte Tsui, ai suoi ordini c’è un esercito di uomini chini sui propri abachi e impegnati calcolo su calcolo per la maggior gloria dell’Impero. Tsui non è un mero capo contabile, a lui e al suo ufficio sono demandati anche i calcoli matematici che dovranno realizzare il sogno imperiale di conquistare lo spazio. Un sogno commisurato a chi siede sul Trono del Drago intuitivamente intorno al primo quarto di quello che nella nostra linea temporale sarebbe il XX secolo e che domina sull’intero pianeta, eredità delle guerre dei suoi antenati vittoriosi da un capo all’altro della Terra. Non è detto dove la linea temporale abbia iniziato a divergere dalla nostra: il racconto a quanto si appura in rete fa parte di una serie di storie, il ciclo del Celestial Empire, ma ignoro se altrove Roberson affronti l’argomento. Sulla base unica di Uno Zero si potrebbe ipotizzare che alla metà del XIII secolo il Gran Khan dei Mongoli Ogodei sia sopravvissuto qualche anno in più permettendo in tal modo che l’esercito condotto dal generale Subotai e da Batu Khan completasse la conquista mongola dell’Europa; o più probabilmente che nel primo terzo del XV secolo, all’inizio dell’età Ming, gli imperatori non avessero posto bruscamente termine alle azioni commerciali, esplorative, diplomatiche e militari della grande flotta dell’ammiraglio Zheng He, dilapidando in breve tempo i notevoli risultati strategici e i vantaggi geopolitici conseguiti dal brillante eunuco: quella Cina, se avesse puntato sull’espansionismo commerciale e militare, avrebbe probabilmente avuto ragione delle potenze europee che cominciarono di lì a poco a creare i loro imperi commerciali e coloniali. Quale che sia il punto di distacco con la nostra linea temporale, Tsui vive nel cuore del potere planetario.
L'Ammiraglio Zheng He: che abbia avuto mano libera?

Il Capo Calcolatore è immerso nelle sue sognanti riflessioni (si potrebbero anche definire delirii matematici: un numero infinito di operatori all’abaco che in un tempo istantaneo compiano le infinite operazioni necessarie a calcolare ogni cosa) quando è raggiunto, ai bordi del laghetto dei pesci, dal Regio Ispettore Bai. Il dialogo di due navigati cortigiani ha qualcosa del minuetto, della danza rituale. Ma sotto la pacatezza degli uomini e la placidità della natura si avverte il pericolo. Così, il Regio Ispettore sbocconcella un panino ripieno di carne di maiale - un’abitudine importata da una delle province più periferiche dell’Impero, l’Inghilterra - dividendolo equamente: il pane ai lenti pesci-abaco, frutto di un bizzarro esperimento per selezionare una specie di pesci che assumendo certe configurazioni nel nuoto aiutassero nelle operazioni di calcolo (siamo in Cina, dopo tutto); la carne a dei pesci innominati, ma che sono con ogni evidenza dei piranha.

La scena e l’insistenza di Roberson non sono gratuite: creano una forte immagine delle psicologie coinvolte e delle dinamiche che esse innescano, oltre a una chiara percezione delle tensioni che nascono in un ambiente siffatto. Altri dettagli similari innervano tutta la trama del racconto. Così Tsui è fatto chiamare dal Ciambellano alla presenza dell’Imperatore facendo in modo che egli giunga in ritardo e, prevedibilmente, ciò irriti costui e metta sotto grande pressione il Capo Calcolatore. Può apparire una sottolineatura ridondante che l’Imperatore esprima la propria irritazione, ma ancora una volta non è (o non lo è in modo decisivo) nei dettagli delle schermaglie verbali che Roberson elabora la trama né evidenzia i sottintesi ad uso del lettore distratto: sono le personalità, le psicologie dei personaggi ad emergere dalle parole dette. E quelle non dette, paradossalmente, pesano di meno: perché sono ovvie. E dei personaggi emergono le paure e le debolezze, che restano allo scoperto proprio quando essi vorrebbero nasconderle.

Al cospetto del monarca si svolgerà uno psicodramma umano e culturale. Da quella stessa lontana provincia inglese del panino dell’Ispettore Bai è giunto un inventore, tale Napier, in cerca di finanziamenti da parte del trono mondiale per le sue ricerche. Napier ha inventato un prototipo di computer (il titolo del racconto si basa infatti sul sistema numerico binario), ed è venuto a proporre la sua macchina, ovviamente da sviluppare e migliorare, quale elemento risolutivo per le ambizioni spaziali del sire planetario. L’ingenuo e incolpevole Napier sta portando un attacco mortale al cuore del potere e della posizione (ereditaria) di Tsui, e di tutta la struttura burocratica della corte. 
 La copertina di Live without a net, l'antologia dove il racconto di Roberson è apparso in origine nel 2003

Roberson risolve il confronto tra Napier e Tsui allestendo una ironica “cineseria”, sfoggiando nel mattatore della scena, il Lord Ciambellano, la perfidia e la sottigliezza che ci si aspettano dal potere e dall’intelligenza dietro un trono globale. Al di là della godibilità del gioco manipolatorio dell’alto dignitario e dei dialoghi misurati e insinuanti, il vero cuore della vicenda è nello spettacolo dell’impasse culturale che l’autore mostra al lettore. In sé il fatto è banalissimo, come si può osservare leggendo il racconto: l’impossibilità (o l’estrema difficoltà) di sviluppare una mentalità e una cultura aperte all’innovazione da parte di una società totalitaria, o comunque verticistica e dirigista, basata sullo strapotere di una organizzazione burocratica centralizzata con tutti i suoi intrighi, i veti incrociati, le rendite di posizione. L’onnipotente impero mondiale sembra giunto sulla soglia della replicazione di quella chiusura al mondo che il più piccolo impero dei Ming intraprese tra XV e XVI secolo e condusse alla marginalizzazione della Cina per i successivi quattro secoli e passa. Certo, assodato che lui è il solo ad avere le competenze per costruire l’infernale macchina calcolatrice, Napier finirà, molto elegantemente e di nascosto, ai piranha; non è però difficile immaginare che nella lontana provincia britannica o in qualche posto simile, prima o poi, qualcun altro riscoprirà l’informatica, e, sempre prima o poi, qualcuno manderà a gambe all’aria l’onnipotente imperatore.    

Americano del Texas, Chris Roberson ha esordito professionalmente proprio con questo racconto (disponibile online sul suo sito all’indirizzo: http://www.chrisroberson.net/O_One.html), vincendo nel 2004 il Sidewise Award, il premio dedicato a romanzi e racconti ucronici e di storia alternativa, che ha poi bissato sulla lunghezza del romanzo con un’altra storia del ciclo. Già da anni, tuttavia, andava pubblicando racconti e romanzi, tra l’altro con la formula del print on demand. Di suo in Italia si è visto un solo altro racconto oltre a Uno Zero che è stato pubblicato nel fascicolo n.47 della rivista Robot.

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