sabato 11 settembre 2010

Il ghetto dentro la testa


Quando venne la libertà il Vecchio Padrone ci mandò a chiamare e disse: “Siete liberi, noi non abbiamo più nulla a che fare con voi. Andatevene via!”. Noi guardammo lui e la Vecchia Signora senza parlare. “Andatevene via – ripeterono – non ci appartenete più, siete liberi”. Noi ce ne andammo, ma non avevamo un posto dove andare, e niente da mangiare. Furono anni terribili. Molti di noi morirono. Ogni volta che tornavamo dal Vecchio Padrone, egli ci diceva: “Andatevene via. Siete liberi. Dovete badare a voi stessi, ora. Siete liberi”.

Purtroppo non trovo la fonte di questo apologo, attribuito a un ex schiavo liberato per effetto del Tredicesimo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti; non saprei neppure dire se non sia del tutto apocrifo. La questione è comunque di scarso rilievo; ciò che è più interessante è come l’apologo descriva alla perfezione i devastanti effetti psicologici della schiavitù. Cosa c’entra tutto questo con la fantascienza? Ecco, diciamo che la triste faccenda dei tagli ai romanzi pubblicati in Urania di cui scrivevo nel post precedente ha messo in luce qualcosa di molto simile tra i lettori di fantascienza. Non tutti, per carità (e per fortuna), ma pur sempre troppi: cioè almeno uno più di nessuno.

Lettori che non appaiono particolarmente scontenti della “simpatica” politica uraniana praticata alla chetichella. Se fossimo nel film di Frank Darabont Le ali della libertà (The Shawshank redempion, 1994) Red, interpretato da Morgan Freeman (nomen omen) potrebbe dirci che questi lettori sono ormai “istituzionalizzati” – sono cioè stati psicologicamente plasmati dalla situazione che hanno vissuto (nel nostro caso l’imprinting uraniano fortissimo di tanti lettori). Che è poi esattamente la situazione psicologica che ebbero ad affrontare gli schiavi dell’apologo, che si ritrovarono improvvisamente emancipati, scoprendo che erano sì liberi, ma che proprio per questo non c’era più qualcuno che gli passasse un pasto (magari anche magro, magari anche schifoso) e un tetto (magari anche cadente). Qualcuno che pensava e si preoccupava al loro posto. Magari li bastonava, è ovvio, però intanto… però intanto li sollevava dalla responsabilità. Quegli schiavi scoprirono che la libertà ha un prezzo. Che la libertà comporta responsabilità; la necessità di pensare a sé stessi, a come procurarsi il cibo e il luogo ove poter vivere. Forse furono in molti, soprattutto i primi tempi, a pensare che in fondo il prezzo della propria dignità e libertà non fosse troppo iniquo in cambio di un pasto sicuro (ancorché magro e schifoso) e di un tetto certo (ancorché pericolante e un po’ insalubre). Quegli schiavi dovettero ricostruire la propria anima, la propria personalità. Dovettero estirpare la schiavitù che era dentro la loro testa.

Ma non vorrei tirarla troppo in lungo con le metafore o farla più grande di quel che è e merita. Fatto sta, comunque, che da parte di più di un commentatore si sono lette cose francamente sconfortanti per adesione psicologica alla sudditanza e all’accettazione passiva di qualunque pratica offensiva nei confronti dei lettori (che poi sarebbero anche i tizi che li pagano i volumi di Urania, eh). Cose anche fantasiose. Cioè per aderire alla pratica dei tagli si dà fondo alle proprie risorse intellettuali.

Intanto, pare, dato che Urania costa poco allora è comprensibile che si taglino i romanzi: se ti fanno pagare poco in fondo non puoi pretendere anche che quei libri siano dignitosi (ricordate? un pasto, magari anche schifoso… un tetto, magari anche cadente). Poi, dato che i tagli non sono “strutturali” (alla faccia, ogni cento pagine se ne fanno fuori quindici, più di una ogni sette!) quasi quasi bisognerebbe ringraziare la redazione perché non ci fa leggere le lungaggini di tanti scrittori incapaci di scrivere. Che magari sono davvero incapaci di scrivere, ma vorrei essere io a giudicare le cose senza che ci pensi qualcun altro al posto mio. E invece è tanto bello che ci pensi mamma Urania (ricordate? assumersi le proprie responsabilità è dura, il padrone ti frusterà anche, però pensa al posto tuo: ti veste, ti sfama, la tua vera paura è che si incazzi perché gli rompi i coglioni). E infine, meglio stare zitti e potere comunque avere – tagliati – certi romanzi, perché almeno Urania li porta in Italia. Farsi sfiorare dall’idea di esigere di essere trattati da lettori – e clienti – consapevoli, non è proprio cosa invece. Ancora una volta è la psicologia servile a imporsi: il servo – il servo nella testa - si contenta di quello che il padrone gli passa. Con un’altra metafora, potremmo dire che in tal modo si applica alla sf la Legge di Gresham: La moneta cattiva scaccia la moneta buona. In questo modo, l’offerta di Urania non migliorerà MAI.

Ci manca solo di sottoscrivere l’affermazione del curatore secondo la quale segnalare quelle traduzioni che non fossero integrali si qualificherebbe come un velleitario, anti-professionale e, in ultima analisi, menzognero bollino di anti-qualità che solo la mente di un fanatico poteva concepire. Sia chiaro che Urania è nel pieno diritto di pubblicare romanzi anche tagliandone la metà, ma l’integrità degli stessi è un criterio fondamentale per deciderne l’acquisto o meno. Tipo: un romanzo decurtato del 15% del suo contenuto a me non pare che valga l’acquisto in ragione del fatto che costi poco, visto che non si tratta dell’opera pubblicata in origine per quel che mi riguarda il suo valore è zero. Valutazione mia, sia chiaro, ma è mio diritto poterla fare sulla base delle informazioni che l’editore dà di quanto offre in vendita. Che l’editore deve darmi. Segnalare quando l’opera messa in vendita non è integrale è il minimo della professionalità che ci si debba aspettare da (e si debba chiedere a) un editore. Il minimo, non il massimo.

Insomma, siete davvero contenti di essere schiavi? Non crediate che la “comoda” schiavitù non abbia un prezzo, però.

Riguardatevi il prezzo che esige Vaal in un memorabile episodio di Star Trek (il primo ST, quello con Spock e Jim Kirk): The Apple.





6 commenti:

MCP ha detto...

Un plauso.

Sono cambiati i tempi, forse e' questo che sfugge agli editori.

Figurati che una volta, in USA e UK, si sottolineava quando il libro NON era condensato: le famose diciture "complete and unabridged" erano una garanzia del fatto che non stavi leggendo un'opera tagliata o ridotta per i piu' svariati motivi (edizioni per ragazzi, semplificate per chi stava imparando a leggere, censurate, tagliate per motivi economici, modificate per serializzazione sui quotidiani, eccetera). E sempre che la riduzione non fosse invece un punto di forza dell'edizione, come nel caso del Reader's Digest.

Ma implicitamente, in mancanza del bollino, il lettore abbastanza avveduto poteva aspettarsi di avere per le mani un'opera incompleta.

Ma erano altri tempi. Oggi questa enfasi del tipo "amico, guarda che ti sto dando il libro VERO! Wow!" ci sembrerebbe semplicemente assurda...

Vincenzo Oliva ha detto...

Tnx, mon ami.

Quello che (mi) sconforta ulteriormente è che sotto sotto credo proprio che ci sia ancora e anche la vecchia-nuovissima idea che con la fantascienza si può anche fare. Dopo tutto mica staremo parlando di Pynchon, no? O di Orwell, Wells, Huxley, Atwood, Lessing...

V.

MCP ha detto...

Certo. Anzi, da quel che sto leggendo, se fanno una vesione condensata di un autore qualunque (perlomeno in USA e UK) CE LO SCRIVONO! - anche per venderlo meglio, eh, non solo per buon samaritanesimo.

Occhio, questo romanzo e' "abridged" perche', chesso', destinato a ragazzi che imparano a leggere, oppure perche' e' un audiobook, oppure perche' e' la collana "quickbooks" per manager rampanti che non hanno tempo da perdere.

E penso che ora anche in Italia, per gli autori famosi, sia cosi': se fanno un Promessi Sposi di 200 pagine per ragazzi ce lo scrivono sopra, o lo fanno capire in qualche modo.

Per autori famosi e rispettati, appunto, la chiave e' qui: Letteratura di Serie A.

Vincenzo Oliva ha detto...

Sì, gratta gratta resto convinto che è una pura questione di considerazione: di un romanzo di fantascienza (e dei suoi lettori) si può fare qualunque cosa. Tuttavia al fondo resta comunque una certa consapevolezza, chiamiamola coda di paglia, che la cosa non è esattamente il massimo dell'eleganza e della professionalità. Viceversa non ci si incazzerebbe così tanto quando si viene beccati a farla sporca ;-).

V.

MCP ha detto...

Ah, se solo Lovecraft avesse scritto un romanzo di 500 pagine... sarebbe davvero curioso vedere come si sarebbe comportato un curatore in un caso del genere ;-)

"Senti, c'e' da scorciarlo, vedi un po' tu, taglia un mostro o due, leva un po' di fuffa, quel diario deve proprio aggiornarlo tutti i giorni?"

Vincenzo Oliva ha detto...

Madò, HPL è già stato abbastanza vittima così com'è ;-)

V.