domenica 7 novembre 2010

Il Classico – Biip (Beep 1954) di James Blish (1921-1975)


James Blish è stato uno dei Grandi; e, tra loro, uno dei meno fortunati. Il suo esordio avvenne nel 1940, in quel torno di tempo che vide l’inizio delle carriere di tutti i Futurians, il gruppo di giovani fan newyorkesi rapidamente trasformatisi in scrittori, editors e addetti ai lavori vari nel campo della sf, e di cui facevano parte, oltre a Blish, Isaac Asimov, Fred Pohl, Cyril Kornbluth, Damon Knight, Don Wollheim. Per citare i più noti. Tra la fine degli anni ’40 e quella del decennio successivo Blish visse la sua stagione creativa più felice, in special modo per l’alta qualità raggiunta dalla sua narrativa; stagione che culminò nel 1958 con la pubblicazione del suo romanzo giustamente più noto e reputato: A case of conscience (tradotto in italiano con il titolo idiota di Guerra al Grande Nulla, il romanzo è l’espansione di una novella scritta in precedenza). Il romanzo ricevette il premio Hugo l’anno successivo ed è spesso citato come uno dei migliori esempi di fantascienza religiosa. Ciò che è vero ma non esaurisce i motivi di interesse di un’opera che esplora ugualmente con i migliori risultati le tematiche della conoscenza, argomento tra i più cari all’autore, e mette in scena quel caso di coscienza richiamato dal titolo originale con forte tensione morale. A case of conscience è anche il primo tassello di una tri/quadrilogia incentrata sui temi della conoscenza e svolta attraverso i generi letterari: Doctor Mirabilis, il romanzo successivo è infatti un romanzo storico sulla vita di Roger Bacon, mentre i due ulteriori romanzi, Black Easter e The Day after Judgment, che Blish considerava un’opera unica, sono sostanzialmente fantasy.

All’epoca felice della carriera e della vita di Blish risale anche Galactic Cluster, l’antologia del 1959 che raccoglie la sua miglior narrativa breve del decennio e nella quale è presente la novelletta Beep. L’antologia è stata tradotta in Italia nel 1977 da Fanucci con il titolo Prigione senza sbarre, presentando la terza (e a tutt’oggi mi risulta ultima) pubblicazione di Beep nel nostro paese, per la prima volta con il titolo mutato in un più italico Biip.

Con gli anni ’60 la carriera di Blish prese a declinare sebbene occasionalmente abbia continuato a produrre quella sua narrativa così rigorosa, stilisticamente e intellettualmente, quelle sue storie così ardite e inesorabilmente accurate e logiche. E abbia continuato a riscrivere ciò che aveva già scritto, in uno sforzo maniacale di precisione e perfezione: Blish, che come William Atheling jr. è stato uno dei critici più implacabili del campo, riservò sempre anche a sé stesso (anzi in primo luogo a sé stesso) tale implacabilità. Il cancro che lo colpì, prima alla gola e poi ai polmoni, e lo avrebbe portato alla morte e la propensione all’alcool resero molto più amari del dovuto quei suoi ultimi anni.

Beep è uno splendido esempio della fantascienza blishiana, ancorché risenta degli stilemi dell’epoca e in modo non brillantissimo di certa narrativa hard-boiled (il racconto è strutturato come una spy-story). Seppure i personaggi della novelletta siano poco più che manichini, meri agenti della trama viene da dire, nel complesso la novelletta non ne patisce. Essa infatti dà conto come meglio non si potrebbe della definizione della fantascienza quale narrativa di idee. E un’idea, di grande forza intellettuale sebbene non sia certo una novità, è al centro della storia. Nonché della Storia. In El dìa que hicimos la Transiciòn, il racconto di cui scrivevo nel post precedente, la scoperta del viaggio nel tempo crea la moltiplicazione all’infinito delle linee temporali; in Beep, Blish fa invece seguire alla scoperta della possibilità di conoscere il futuro il sigillo della certezza che il tempo è immutabile, il futuro già tutto scritto e svolto fino alla fine del tempo. Un tempo che a questo punto ci appare non lineare, sincronico. La presenza (anzi è qui che avviene la scoperta) del Trasmettitore Dirac, grazie al quale è possibile ricevere comunicazioni dal futuro, assegna Beep a quella serie di storie, tra le quali molte delle migliori dell’autore, che vanno a comporre una tenuemente connessa storia futura dell’umanità, un tratto che accomuna Blish a moltissimi altri grandi autori della sua generazione, in particolare Heinlein, Asimov e Anderson.
Illustrazione di Ed Emshwiller per la prima pubblicazione di Beep (Galaxy del febbraio 1954)

Il Trasmettitore Dirac, permettendo di ricevere comunicazioni dal più lontano futuro pare realizzare il sogno dell’onniscienza. Ma essa continua a sfuggire tra le dita dell’uomo (ed è un bene, immaginiamo, per quanto in tale situazione possa risultare frustrante): non è ovviamente possibile, infatti, conoscere ciò che non viene registrato dal Trasmettitore. Tanto l’idea di questa onniscienza frustrata quanto il ferreo determinismo di un tempo che altro non è se non un destino immutabile sono concettualmente affascinanti. Un determinismo, per altro, che spezza una delle nostre coordinate mentali più decisive: il rapporto di causa-effetto; quantunque un determinismo apparentemente (o realmente?) incompleto, poiché ciò che non è registrato dal Dirac resta sconosciuto e perciò apparentemente (o realmente?) demandato alla libera volontà umana. Se il tempo è già determinato una volta per tutte, non esistono cause né effetti, ma soltanto eventi: sui quali la volontà umana non ha potere (ma quelli che restano ignoti?), mentre invece la nostra coscienza osserva e compulsa gli eventi elaborando le giustificazioni razionali ad essi in foggia di cause (ed effetti). Come afferma Dana Lje, la scopritrice del modo di utilizzare il Trasmettitore Dirac quale occhio sul futuro, si possono “inventare” tante giustificazioni sul perché sia stata lei a scoprirne il meccanismo e non il Servizio (segreto), ma la sola vera è che ella l’ha scoperto… perché l’ha scoperto. E il Servizio non l’ha scoperto perché non l’ha scoperto. Anche in Beep, però, come nel racconto di Romero e de la Casa, è la scoperta a determinare in qualche modo il futuro. Se nel racconto dei due autori spagnoli essa comporta lo sfarinarsi del tempo futuro in una infinità di possibilità e la necessità di salvaguardare l’unico passato dalla sua riscrittura, nella novelletta di Blish essa non soltanto apre il futuro (una parte del futuro) alla conoscenza, ma instaura la necessità (nel senso di inesorabilità) della continua esplorazione del futuro poiché esso, essendo già determinato, non può che essere attuato dagli uomini attraverso la conoscenza che essi acquisiscono dal Trasmettitore Dirac. Dana Lje consegna al Servizio le sue conoscenze il giorno e l’ora in cui era previsto che ciò accadesse, e il Servizio diventerà l’apparente custode dell’umanità, della sua espansione nello spazio e del suo successo: in una delle scene iniziali della storia il Servizio respinge una poderosa invasione aliena della Galassia con facilità irrisoria: nulla di strano se si pensi che erano al corrente da secoli di tale evento. In realtà il Servizio non svolge altro che un attività notarile certificando l’esattezza di quanto è già scritto nel futuro. Un notaio apprensivo che si fa scrupolo di verificare l’esatto svolgersi di ogni minimo evento registrato nel Trasmettitore Dirac, non importa quanto triviale esso sia. Perché, come dice uno dei personaggi, Krasna: Our interests as a government depend upon the future. We operate as if the future is as real as the past, and so far we haven't been disappointed: the Service is 100 per cent successful. But that very success isn't without its warnings. What would happen if we stopped supervising events? We don't know, and we don't dare take the chance. Despite the evidence that the future is fixed, we have to take on the role of the caretaker of inevitability. We believe that nothing can possibly go wrong . . . but we have to act on the philosophy that history helps only those who help themselves. E’ davvero così deterministicamente certo il futuro? ;-)

La prosa di Blish, laddove non concede alla moda hard-boiled dipingendo personaggi glamour come l’improbabile Dana Lje e mettendo loro in bocca parole e frasi che suonano oggi abbastanza insulse, è accurata, misurata e a tratti solenne. Gli inserti scientifici si leggono scorrevolmente sebbene necessitino della debita attenzione. Blish era di formazione un biologo specializzato in zoologia, ma a suo agio con le scienze in generale; e come scrittore abilissimo a trarne storie che coniugavano un talento visionario fuori del comune con il rigore dell’uomo di scienza. Ne è una splendida testimonianza il volume The seedling stars che raccoglie alcune storie di esplorazione e adattamento umani in ambienti tra i più diversi, tra le quali vi è il racconto Surface tension, uno dei migliori risultati della carriera di James Benjamin Blish.



4 commenti:

Muasie ha detto...

Autore, James Blish, che per il momento conosco solo per l'intrigante lettura de "Il seme tra le stelle". Conoscenza da approfondire, sì.

Vincenzo Oliva ha detto...

E dunque varie delizie da scoprire ;-)

V.

Muasie ha detto...

Pare di sì, anche ... per me è un po' "pericoloso", quest'autore ;-) Fu leggendo proprio "Il seme tra le stelle" che persi una fermata del treno e finii .... in tutt'altro luogo. :-PPPP

Vincenzo Oliva ha detto...

Be', ma ora sai che Blish va letto nella tranquillità casalinga ;-)

V.