domenica 13 aprile 2014

I contemporanei – Soluzione infernale (Hell of a fix - 2009) di Matthew Hughes (n.1949)

Il percorso in autobus fino al lavoro fu placido in maniera surreale. Nessuno che si spintonasse per essere il primo nella fila, e Chesney vide addirittura un adolescente cedere il suo posto a una vecchia signora. Il traffico era pacato, i taxi davano la precedenza e nessuno passava con il rosso. Ed è così che capiamo di essere in una storia di fantascienza – anzi: fantasy tout court.

Scherzi a parte.

Il fascicolo n.7 dell’edizione italiana di Fantasy&ScienceFiction, operazione a dir poco meritoria e azzardata mandata in edicola dall’editrice Elara (e meritoria quanto azzardata, cioè tantissimo), si era aperto con un racconto agghiacciante di Ken Liu: Letteromante. Agghiacciante per la durezza e crudezza del suo contenuto, per lo sguardo totalmente disincantato dell’autore cinese naturalizzato americano sulla realtà della nostra umanità. Un racconto splendido, ma il cui contenuto fantastico è testimoniato unicamente dalla sua pubblicazione su una delle più antiche e belle riviste che hanno elaborato l’immaginario fantastico e fantascientifico dello scorso secolo.

Sull’appartenenza del racconto di Hughes al campo del fantastico, più che uno specifico fantascientifico, non vi è invece dubbio alcuno. E, volendo spaccare il capello in quattro e mettersi a fare i tristi etichettatori di storie, la trattazione satirica e laica che egli fa della mitologia angelica e demoniaca (per tacere dell’innominata divinità del racconto e della speculazione sul libero arbitrio) è tuttavia più inclinata verso la fantascienza che non la fantasy.

Tono e registro sono quanto di più lontano da quelli di Liu, alla cui liricità (nella prima parte di Letteromante) e scabrosa tragicità (nella seconda) Hughes sostituisce l’aerea leggerezza della sua sferza satirica e un cinismo divertito e sornione. Lo sguardo di Hughes non è tuttavia meno ampio di quello di Liu, né meno profonde le sue riflessioni sull’uomo. E sebbene tali riflessioni appaiano più banali, più scontate e a buon mercato, le parole di Hughes pizzicano in realtà con grande sapienza i nervi più scoperti delle male abitudini, dei malvezzi, delle piccole e grandi meschinità che trapuntano di fragile umanità le vite e i comportamenti di noi esseri umani. Le parole di Hughes penetrano altrettanto in profondità sotto la pelle dell’uomo

Le parole di Hughes hanno la sapidità di quelle dei grandi moralisti del passato. Ché oggi moralista è un termine di pessima stampa, ma un tempo (e nel suo più autentico significato) soleva indicare chi con la sua acutezza nell’analizzare la società e riflettere sui comportamenti umani sapeva indicare quelli migliori per una convivenza umana serena e solidale. Con i preti (di ogni genere) che oggi se ne arrogano il monopolio, per la morale e il moralismo sono tempi francamente grami. Vabbe’.

Un giovane Jack Vance, autore
prossimo alla sensibilità di Hughes
Se Hughes è variamente descritto e indicato, ivi compreso il suo profilo su Wikipedia, come un erede tutt’altro che indegno di Jack Vance (e il suo romanzo Guth Bandar Esploratore della Noosfera, apparso in Italia per Delos Books può testimoniare la fondatezza dell’assunto); non di meno nel suo editoriale al settimo fascicolo di F&SF, Armando Corridore definisce swiftiana questa ispirazione satirica del racconto di Hughes (e appunto Swift fu certamente tra i grandi moralisti del passato).

Pur senza voler troppo oltre scomodare il grande irlandese o il C.S.Lewis delle Lettere di Berlicche non vi è dubbio che Hell of a fix risenta, beneficamente, dell’opera di Swift. O che quanto meno sia accostabile a un altro divertissement “diavolesco” di un grande autore di fantascienza del passato: Isaac Asimov con il suo Azazel. I fulminanti racconti che Asimov dedicò al suo demonio in formato tascabile abitano molto di più il versante puramente umoristico e i territori del funambolismo logico e linguistico; laddove la riflessione che Hughes propone nelle due direzioni della natura umana e dei meccanismi della creazione narrativa è senza dubbio molto più analitica e approfondita. Con Azazel Asimov dava libera voce e libero sfogo alle immaginifiche profondità dell’Homo ludens (dell’Asimov ludens…) senza proporsi di scendere in profondità; in questo racconto Hughes si sofferma sui meccanismi psichici profondi di quell’uomo che gioca (e narra), e sulle regole e i percorsi della sua creatività. Oltre a scatenare una nobile vena moralista.

Isaac Asimov sui vent'anni
La trama è presto riassunta: Chesney Arnstruther fa una cavolata e all’Inferno entrano in sciopero; con conseguenze devastanti sulle attività dell’umano consorzio civile. Per essere più giusti e precisi, Chesney si trova coinvolto suo malgrado in un quasi kafkiano cul-de-sac originato dalla stolidità della burocrazia infernale – stolida come ogni burocrazia compiuta che si rispetti: ciò che è molto più in sintonia con il tono del racconto e i suoi intenti. Si noti en passant come il nome del protagonista suoni molto asimoviano: chiaramente dell’Asimov dei racconti di Azazel.

Chesney è un protagonista assolutamente tipico di certa letteratura popolare, certo cinema, certa televisione americana e più in generale anglosassone. È tutt’altro che uno stupido, Chesney, e sebbene sia il primo ad essere cosciente del fatto che gli manchi quell’elemento fondamentale di visionaria creatività atta a trasformare un matematico che si guadagna la pagnotta come attuario in una società assicurativa in un Gauss o un Peano, il suo è un cervello fino e abituato a ragionare in termini quantitativi, di costi e benefici. È però anche il prototipo del nerd, infatuato di Batman e con un universo psichico di fantasie che sostituiscono l’assenza di una vita reale. Ed è questo a renderlo il protagonista tanto tipico di una storia del genere. Il protagonista perfetto, che salverà la baracca – non senza l’aiuto di un altro personaggio non meno tipico, il self made man dai mille talenti, anche e soprattutto truffaldini, perfettamente rappresentato dal “reverendo” William “Billy” Lee Hardacre, che nell’economia del racconto funge da deus ex machina non meno che da specchio privilegiato di tante nostre piccole e grandi meschinità e infingardaggini. Oltre a fornire il destro per un altro topos da novanta della narrativa popolare: il ravvedimento operoso del peccatore. Tutto questo va immaginato inserito nella tramatura fortemente ironica della narrazione, nel gusto divertito e insistito con il quale Hughes procede all’esposizione degli eventi e in seguito alla soluzione del dilemma: qui basti vedere con quanta levità e al contempo accurata e spassionata lucidità l’autore analizzi la diade fondamentale della civiltà umana attraverso la descrizione che fa del rapporto madre/figlio che intercorre tra Letitia e Chesney Arnstruther.

L’intera storia corre su un doppio binario: da una parte la riflessione sui meccanismi creativi della narrazione, su come i personaggi prendano in qualche modo vita propria e finiscano per prendere la mano al loro autore; dall’altro, e specularmente, il libero arbitrio umano che sembra il modello – o la mimesi – di tale meccanismo. Nulla di inedito, ma il vero punto di forza e la giustificazione del racconto restano la soave impudenza e la benevolente cattiveria con la quale Hughes mette, o meglio omette in scena la sua divinità che va a tentoni, servendosi della storia umana per apprendere il senso profondo dell’etica, scrivendo e riscrivendo la trama del suo “romanzo” rappresentato da quell’intera storia, correggendone passo passo gli errori e le dimenticanze. Attorno a Chesney, Billy Lee e all’apprendista dio ignaro dei termini dell’etica si affolla una pittoresca galleria di dèmoni, angeli e più o meno improbabili personaggi umani. Nel seguire questo suo doppio binario, con altrettanta negligente noncuranza l’autore mette alla berlina i capisaldi della civilizzazione umana (la competizione, la gerarchizzazione sociale, la famiglia, la libidine, la necessità di trascendenza), senza nascondersi quanto essi siano anche necessari a una evolutiva civiltà umana – e ovviamente necessari alla creazione narrativa: senza il conflitto, senza la grandi passioni negative o quelle estreme, senza gli orrori dell’umanità, la letteratura diverrebbe molto noiosa. Senza il pungolo del desiderio la vita sarebbe piatta e priva di attrattive. In tal senso, Chesney appare quasi come una possibile soluzione di compromesso tra le due eterne polarità del Bene e del Male. O, anche meglio, della passione e dell’apatia.

Il romanzo di Hughes pubblicato
da Delos Books in Odissea Fantascienza,
oggi come oggi probabilmente la miglior
collana di sf in Italia.
La fantascienza ha usato innumerevoli volte del concetto di una umanità trastullo di entità (o divinità) infinitamente superiori a essa, o semplici pedine di esperimenti di tali entità o divinità. Questo aspetto appare però secondario nella breve novella di Matthew Hughes, e l’autore si serve soltanto dell’escamotage, per riflettere beffardamente su quanto su detto. In questo Hughes si allontana in qualche modo da un’ortodossia fantascientifica per addentrarsi piuttosto nella narrativa speculativa. Tuttavia la miglior fantascienza ad argomento religioso ha sempre fatto null’altro che questo: per citarne che pochissimi, dal Miller di Un Cantico per Leibowitz al Blish di A case of conscience, dal Del Rey di For I am a Jealous People! (http://olivavincenzo.blogspot.it/2012/10/i-classici-non-avrai-altro-popolo-for-i.html) al Chiang di L’inferno è l’assenza di Dio i migliori risultati fantascientifici sono stati ottenuti in apparenza allontanandosi da una fantascienza pienamente riconoscibile come tale. Il Satana afflitto dalle rivendicazioni sindacali della manovalanza demoniaca e i noiosissimi angeli di Hughes sono il sogghignante e perfetto specchio degli spietati alieni senza peccato di Lester Del Rey; i fratelli minori degli iperuranici angeli di Ted Chiang e del loro distruttivo e noncurante manifestarsi nella realtà umana. 

Matthew Hughes non è un giovane di primo pelo, e di primo pelo non era neppure vent’anni fa quando iniziò la sua carriera letteraria nel campo della narrativa. Britannico di nascita ma emigrato ancora bambino in Canada, come racconta nel suo sito, oltre a scrivere da alcuni anni si dedica all’attività di housesitter, in tal modo vivendo spesato un po’ qui e un po’ là e dedicandosi così alla scrittura con maggiore comodità.


Un’ultima notazione sulla traduzione del titolo, quell’insipido e burocraticamente (ecco…) preciso Soluzione infernale che non rende giustizia al titolo originale, che suonerebbe meglio come qualcosa tipo Un diavolo di soluzione! Ma non si può avere tutto dalla vita J

4 commenti:

cooksappe ha detto...

infernale!

James ha detto...

Caro Vincenzo, non scrivi più!?
Ciao,
J

Vincenzo Oliva ha detto...

È soltanto una pausa, sebbene (molto) prolungata. La vita ci propone fasi, anche belle come quella che sto vivendo, molto impegnative, che assorbono le nostre energie. Ma spero di rimettermi a scrivere tra qualche tempo.

Un sincero grazie per avermi scritto!

V.

James ha detto...

Oohh, molto bene. Spero solo ti sia rimasto un po’ di tempo per la lettura… che quella aiuta sempre!

Ciao, alla prossima,
J