sabato 1 maggio 2010

[fantascienza] Precursori – Il parassita (The parasite - 1894) di Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930)


Ho sempre avuto l’impressione che, appiattito sulla sua fama di “padre” di Sherlock Holmes, e schiacciato tra i nomi di Jules Verne ed Herbert G. Wells, Doyle sia poco considerato quale anticipatore della fantascienza del XX secolo. Il suo notorio interesse per l’occulto probabilmente fa il resto. Eppure con i romanzi dedicati al personaggio del Professor Challenger, primo tra tutti quel seminale Il mondo perduto i cui riverberi arrivano a noi attraverso Jurassic Park, e con il più tardo romanzo L’abisso di Maracot Doyle occupa un posto di rilievo quale precursore di quella letteratura che diverrà poi la fantascienza.  Né il suo apporto si esaurisce con esso. The parasite, breve novella pubblicata in origine a puntate sulla rivista Harper’s Weekly, è in genere rubricato alla voce “horror”, ma si tratta di un’opera che appartiene senza dubbio alla fantascienza. Anche alla fantascienza: le atmosfere, le suggestioni e lo stile emotivo sono certamente quelle del racconto dell’orrore; ma l’argomento, il carattere di estrapolazione e ragionamento sui confini della conoscenza, nonché le caratteristiche del suo protagonista sono agevolmente ascrivibili al campo della di là da venire science fiction.

Austin Gilroy, il protagonista della novella, è un giovane ricercatore e professore universitario, un fisiologo dal brillante presente e ancor più luminoso avvenire. E’ un campione del razionalismo e dello scetticismo ottocentesco. O quanto meno è ciò che egli ritiene di essere. A Doyle sfugge infatti un po’ la penna, e il desiderio “indecente” di Gilroy, perfino ardente a tratti, di credere a certi fenomeni preternaturali, assume a volte concretezza ed evidenza. Non che la cosa si traduca in un difetto: forse senza che lo scrittore ne avesse l’intenzione, questo tratto della personalità del personaggio che egli gli attribuisce si rivela infatti un sottile elemento di verosimiglianza e complessità psicologica. Gilroy si sforza continuamente di stabilire la dimensione perfettamente materiale, fisica, razionale dei fenomeni nei quali va incorrendo, ma è appunto il profilo psicologico stesso che Doyle gli conferisce, con indubitabile maestria, a confutare la sua filosofia.

Il grande interesse di Doyle per il sovrannaturale è evidente in tutta la novella, come il fatto che in questo stadio della sua vita egli ne è affascinato e coinvolto, ma non ancora al livello estremo dei suoi ultimi anni di vita. Traspare, da queste pagine, l’interesse dello studioso e non la propaganda del fedele.
Illustrazione originale da Harper's Weekly (Howard Pyle)

Nella novella si respira una robustissima aria di fine ‘800, un registro stilistico che, quanto ai contenuti, oggi sarebbe probabilmente impensabile. Un registro stilistico per molti versi più sincero di quanto oggi è comunemente ritenuto accettabile. Gilroy è un personaggio per molti versi prototipico, il classico eroe-scienziato che di lì a poco la narrativa popolare canonizzerà (almeno per qualche tempo). Gli si affiancano l’inevitabile fidanzata dell’eroe – inevitabilmente sfocata e apposta a guarnizione, salvaguardia, e preoccupazione dell’eroe – e il villain di turno. Se nel personaggio di Agatha, la fidanzata di Gilroy, Doyle non fa nulla per uscire dal prodotto in serie, con il professore come già detto svolge ben altro lavoro. E forse ancor più con l’antagonista. La antagonista.  E già la scelta di contrapporre all’eroe una donna è interessante. Per rendere accettabile la cosa lo scrittore scozzese dota Helen Penclosa degli attributi morali – e fisici – del mostro. Attributi che oggi ne farebbero più una vittima, forse perfino del giovane professore stesso. Ma questo è un racconto ottocentesco: quindi è statutariamente un mostro una donna, menomata da zoppia, esteticamente comune fino all’insignificanza, più anziana dell’eroe, consapevole del suo impegno con una giovane e bella ragazza – è un mostro - per principio - una donna siffatta che osi innamorarsi dell’eroe. E che tenti di carpirne l’amore con l’inganno, e, respinta nonostante tutto, si trasformi in una Erinni assetata di vendetta. Doyle non nasconde il disgusto fisico ed il rifiuto estetico, anche crudeli, del giovane scienziato.

E la fantascienza? Helen Penclosa è una medium dai poteri enormi. Mesmerizzatrice, ipnotizzatrice, diviene l’oggetto degli studi scientifici di Austin, che incautamente si sottopone ai suoi poteri per verificarli e poter compiere le sue brave riprove sperimentali. Doyle è molto attento, fiscale perfino nel presentare le parti del racconto dove svolge il suo ragionamento più speculativo. Come non fa prendere una parte definitiva al suo personaggio, non sembra prenderne neppure lui.  I poteri della donna esistono: ella si dimostra davvero in grado di prendere il completo controllo della volontà altrui come affermava di poter fare; però il giovane scienziato, tra un’angoscia e l’altra per ciò che viene costretto a fare dalla medium, continua lucidamente a cercare o quanto meno aggrapparsi all’idea che essi poteri siano perfettamente naturali e in quanto tali investigabili. Trasformato suo malgrado in burattino, reagisce con vera ferocia in una poderosa escalation di emozioni e sentimenti di risentimento e odio, speculari a quelli della sua controparte.
Harper's Weekly, nov.1894

Il solido scheletro (fanta)scientifico viene così rivestito di calda carne romantica, venata da una cifra orrorifica intensa ma costruita con abilità e sapienza. E un certo gusto per stupire, forse anche scandalizzare.

Anche nella risoluzione della vicenda Sir Arthur manterrà l’ambiguità di fondo che percorre il tessuto di tutta la novella: il nodo gordiano in cui i due protagonisti hanno intrappolato sé stessi non viene sciolto né da Austin né da Helen Penclosa, ma più semplicemente dalla casualità della vita, a ribadire dunque la non scelta di campo dello scrittore. E in tal modo viene anche preservata la verginità morale di Gilroy; oggi un riguardo del genere all’eroe non verrebbe concesso e dovrebbe sporcarsi non solo le idee e l’anima, ma anche le mani ;-)

La breve novella può essere letta in inglese a questo (tra i molti) indirizzo: http://www.classic-literature.co.uk/scottish-authors/arthur-conan-doyle/the-parasite/

2 commenti:

eugenio ha detto...

questa bella segnalazione mi fa tornare alla mente un quesito sulla figura dello scienziato nella fantascienza.
Perchè mai la figura del giovane scenziato, intelligente e capace, protagonista-eroe delle vicende di fine '800/inizio secolo scorso, si trasforma nella figura negativa di scienziato pazzoide e criminale, antieroico e villain per eccellenza, nel dopoguerra?
Sembra quasi che nell'immaginario collettivo della ricostruzione lo scienziato sia divenuto "colpevole" della devastazione bellica (vedi bomba atomica) e quindi il cattivo ideale da contrapporre al nuovo eroe, pragmatico e ipertrofico, come se forza fisica fosse preferibile ad una intelligenza troppo sviluppata.

Vincenzo Oliva ha detto...

E' più un ritorno alle origini, credo. Quelle origini alle quali presiedono le figure di Frankenstein e Jekyll. Un ritorno chiaramente favorito dal trauma bellico e da quello nucleare, senza dubbio.

V.