sabato 29 maggio 2010

I contemporanei – Parole (Words - 1985) di Naomi Mitchison (1897-1999)


Naomi Mitchison ha ottantotto anni quando viene pubblicato questo racconto, e continuerà a scrivere praticamente fino alla morte. Nata in una antica famiglia dell’aristocrazia scozzese (gli Haldane) che concentra le sue figure di rilievo proprio nello scorso secolo, lungo tutto l’arco della sua vita sarà impegnata sul fronte delle tematiche femministe. E’ stata una scrittrice assai prolifica, dedicandosi alla saggistica, alla poesia, al romanzo storico e di costume, alla narrativa per ragazzi e a quella fantastica. Nel campo strettamente fantascientifico ha prodotto un pugno di romanzi e racconti, tra i quali spicca Memoirs of a spacewoman (1962), tradotto in Italia prima come Diario di un’astronauta e poi Memorie di un’astronauta, una space-opera dove l’accento è tutto sulla conoscenza, la sua dimensione biologica e relazionale e i problemi connessi, resi in una chiara ottica femminile e mancando l’elemento più propriamente avventuroso.

Parole è un breve racconto che nonostante la collocazione, tanto originaria che italiana, in antologie di fantascienza al femminile e femminista in realtà non è così caratterizzato in tal senso. Certo, protagonista è una figura di scienziata, la dottoressa Toni, delineata con cura dall’autrice, ma questo è tutto. Il tema centrale del racconto verte su questioni percettive e cognitive che si possono allargare, a ben vedere, a tutta una serie di considerazioni sulla fantascienza e più in generale la letteratura.

La protagonista è una neurofisiologa che va compiendo studi appunto sulle percezioni sensoriali. Il suo lavoro sperimentale va oltre la biologia e fisiologia dei sensi comunemente intesi (tatto, vista ecc.) e la conduce dunque a sviluppare metodologie atte a risvegliare, nelle sedi deputate del cervello, le strutture cellulari preposte a sensi che nell’uomo non sono attivi.

Con lo sperimentare in prima persona gli effetti cognitivi di queste nuove percezioni, la donna si troverà ad affrontare la questione decisiva dell’impossibilità di descrivere tali effetti, di rendere con gli strumenti del linguaggio le proprie reazioni. E’ il cuore del racconto. Dante, che in realtà ben possedeva gli strumenti linguistici per esprimere l’ineffabile, nel Paradiso insiste sull’ineffabilità del divino. Però il divino, in quanto creazione dell’uomo, rientra nella sfera dell’esperienza umana. E infatti l’ineffabilità nel caso di Dante è la misura iperbolica e simbolica dell’inattingibilità della dimensione divina da parte dell’intelletto umano.

Se ci poniamo invece nell’ottica di percezioni sensoriali ignote all’uomo, dunque del tutto al di fuori del suo patrimonio esperienziale, vediamo che l’ineffabilità si fa problema tecnico e, di riflesso, filosofico. Quel che Naomi Mitchison fa, è usare dei moduli della fantascienza per innescare considerazioni in prima battuta letterarie in senso generale, e che successivamente si possono individuare come specifiche della science fiction.
Copertina di una biografia dedicata all'autrice

Le parole sono gli strumenti dello scrittore. L’uomo è faber anche, forse soprattutto, di idee. La definizione è centrale perché l’idea possa essere comunicata, veicolata ad altri e così condivisa. Perché divenga patrimonio comune e quindi strumento. La parola è la definizione divenuta simbolo dell’idea e materiale utilizzabile dall’uomo. Alla parola, come definizione dell’idea sottesa, l’uomo giunge attraverso l’esperienza. E’ la vecchia questione: come è possibile spiegare il colore a chi è cieco? La dottoressa Toni si trova appunto in questa condizione. Che è possibile assumere anche come metafora di quel faber particolare che è lo scrittore di fantascienza, che deve trovare le parole per descrivere mondi, idee, fatti che non esistono. Che sono, al meglio, congetturali. La giovane giornalista che va a intervistare la scienziata si troverà proprio nella posizione dello scrittore di fantascienza. La donna infatti la incaricherà (poiché è “brava con le parole”) di trovare il modo di tradurre in una forma letterariamente sensata i suoi appunti sulle esperienze fatte nel corso dei suoi esperimenti che le permettono di provare le nuove percezioni. Vi è come la proposizione della schematica divisione tra cultura scientifica e letteraria. Ma molto più, mi pare vi sia la proposizione della primordiale funzione interpretativa, quasi magica, della parola. La parola è una chiave. E lo scrittore è colui che apre le porte per noi.

Lo scrittore di fantascienza va oltre: deve creare le chiavi per porte che non esistono, alle quali deve dar consistenza attraverso la sua attività di fabbro.

Sarà riuscita la giovane giornalista a venire a capo del problema di cui era investita? Non lo sapremo mai. Sappiamo che vi ha dedicata tutta sé stessa, e che senza dubbio ha raggiunto qualche tipo di risultato. Le manca però l’esperienza diretta. Non aliena da pericoli, perché ci si deve sottoporre a stimolazioni nervose in gran parte ancora ignote nei loro effetti collaterali (di assuefazione, per dire). In un incontro finale con la dottoressa ella discuterà proprio di questi aspetti. La donna più anziana appare provata, ma serena. Di certo “vede” la realtà in modo nuovo, e non potrebbe essere diversamente, e il suo cruccio resta l’impossibilità di trasmettere agli altri le sue percezioni. Il blocco dello scrittore deve essere una brutta bestia per chi è del mestiere ;-).
 L'antologia italiana (1990) e quella originale (1985) di pubblicazione del racconto

Al di là della scarna idea di base e delle possibili interpretazioni metaforiche, il racconto colpisce ancor di più per la figura della scienziata, che l’autrice descrive quasi più per allusioni e sottrazioni che dicendoci qualcosa di lei o lasciando che sia il personaggio stesso a svelarsi nei suoi gesti e azioni. Brevissimi accenni, quasi nuance che mettono in campo abilità e raffinatezza nel creare una psicologia credibile e una figura di donna viva e appassionata quanto misteriosa. E non a caso una luce di mistero illumina la sua morte. Non nelle cause: quel pericolo connesso agli esperimenti che compiva, di cui era avvertita e del quale tutti coloro che le volevano bene la scongiuravano di tenere conto infine si realizza, e la scienziata muore nel corso di uno di essi. Il mistero è più sottile, nelle parole dell’anonima giornalista che aveva imparato ad amarla che chiudono il racconto: Solo le sue labbra erano ancora atteggiate al sorriso, come se, forse, avesse finalmente trovato le parole per dirlo. Non sappiamo se davvero è così, ma è bello pensarlo: la vita, a quanto pare, è pericolosa, ma solo vivendo possiamo apprendere e crescere.

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