domenica 28 luglio 2013

I classici – La sua mano (1970) di Luigi De Pascalis (n.1943)



Se non fosse per la sede di pubblicazione del racconto, ne si inizierebbe la lettura come quella di una storia marinaresca, nel solco della grande tradizione della letteratura d’avventura: La nave, il trealberi Argos della Compagnia di Guinea, salpò dal porto di Nantes alla fine di settembre del 1737, al comando del signor Couron. Mi ero imbarcato su di essa dieci giorni prima in qualità di chirurgo e medico di bordo; le ragioni che mi avevano spinto a preferire un simile ingaggio su una nave negriera piuttosto che esercitare la professione medica a Parigi, fanno parte di un’altra storia che, se oggi mi sembra banale e priva di consistenza, ebbe allora la forza di strapparmi a un tranquillo futuro.

Il racconto vira poi sui temi, le atmosfere, il linguaggio e le suggestioni visive dell’horror: Il sorriso sulle mie labbra si spense e un cupo presentimento mi assalì. Le ricerche continuarono in uno strano silenzio per più di un’ora, poi udimmo una voce piena di orrore provenire dalla gabbia dell’albero di maestra e tutti volgemmo con un solo movimento lo sguardo in aria. Un marinaio aveva trovato mastro Richard. Egli era lì, morto, con le mani ancora spasmodicamente contratte sulla ferita mortale che si era prodotta al cuore con il proprio coltello. 

Galassia n.113
Proseguirà a lungo così, in una misurata e sapiente progressione di immagini ed emozioni, rese vive e vivide dall’abilità evocativa, “pittorica” della penna di De Pascalis – non a caso anche illustratore grafico di talento: di lui si ricorda un Pinocchio a fumetti di grande fascino visivo e narrativo, ispirato al burattino collodiano. Una progressione di immagini angoscianti, sempre meno sottilmente, sempre più materiche e concrete, evocate e plasmate dalla capacità di provocare nel lettore un turbamento crescente appellandosi a paure ataviche, ancestrali, legate a un mondo sempre più lontano dai nostri tempi eppure ancora presente nelle stratificazioni culturali giunte a noi. La sterzata finale del racconto avverrà inoltrandosi nei territori di una fantascienza - a un tempo metafisica e in qualche modo vicina a tematiche, soluzioni e cliché dei suoi primordi - che giustifica in pieno la collocazione del racconto sulle pagine della prima delle antologie che Vittorio Curtoni, Gianfranco De Turris e Gianni Montanari (in rigoroso ordine alfabetico) dedicarono ai fermenti della fantascienza nostrana al tempo in cui Curtoni e Montanari presero il timone di Galassia. È dunque su una delle riviste che davvero hanno fatto la storia della fantascienza nel nostro paese che è apparso il racconto la prima volta. Finale del racconto che si inserisce con naturalezza nella sua trama e nelle sue atmosfere, mantenendo inalterato il fraseggiare visivo e grafico della storia e le sue ricche atmosfere orrorifiche. Il talento di Luigi De Pascalis risiede senza dubbio anche in questa naturalezza con la quale mescola le carte, ricomponendole in una narrazione che si presenta unitaria nel contemperare i suoi vari aspetti. 

Una tavola del "Pinocchio" disegnato da De Pascalis
Talento poliedrico e vero, Luigi De Pascalis è un veterano della letteratura fantastica e non solo, uno di quegli scrittori che restano nascosti agli occhi dei più, in favore spesso di scrittori molto meno dotati. In una carriera lunga ormai quasi cinquant’anni ha prodotto un corpus narrativo di tutto rispetto e impreziosito da prove notevoli. Come già è questo racconto giovanile, che nel solco di una tradizione consolidata mostra una padronanza sicura degli strumenti professionali dello scrittore di genere (e non solo), usati in modo tutt’altro che pedissequo e di maniera, e anzi nell’ottica di una ricercatezza stilistica posta al servizio del finale del racconto, sorta di riflessione metafisica sul destino e la sua mutevolezza, sull’insensatezza della ricerca della conoscenza non sorretta dalla tensione etica e sulla fallacia della superbia dell’uomo che crede di poter conoscere ogni cosa. E non soltanto. Temi ricorrenti, eterni: ma proprio per questo, saperne parlare senza annoiare, rendendo anzi il lettore partecipe e interessato a quanto si scrive, dà prova del mestiere e della qualità letteraria di uno scrittore. Farlo attraverso un racconto tanto classico nell’impostazione, nelle situazioni descritte, nei personaggi utilizzati, è un’ulteriore prova dell’abilità nel far uso di ogni risorsa della grande tradizione per presentare un proprio discorso personale – seppure su argomenti non meno classici e già mille e mille altre volte affrontati nella storia dell’uomo e della sua letteratura.

L'ultimo romanzo di fantascienza dell'autore, sequel di un racconto apparso nell'antologia "Sul filo del rasoio" (http://olivavincenzo.blogspot.it/2013/07/i-contemporanei-extraci-2010-di-massimo.html)
Lo spunto per il racconto, a quanto scrivono i tre antologisti presentandolo, è tratto da un fatto storico: una nave di nome Argos esistette davvero, salpò effettivamente da Nantes nel 1737 e a quanto riportano le cronache fu teatro di un ammutinamento; del pari, i nomi dei suoi ufficiali risulterebbero quelli usati dall’autore. La storia è tra gli interessi di De Pascalis che all’attività di narratore, anche di romanzi storici, ha affiancato quella di saggista; e che tra le pieghe della storia è andato in questo caso a trovare materia per la costruzione di un’elaborazione fantastica a partire dal quotidiano. Egli parte dal glorioso racconto marinaresco, e dalla realistica descrizione di quell’infamia che fu la tratta degli schiavi dall’Africa verso le Americhe, un commercio che fu attività tra le tante possibili per gli uomini del tempo, professione normale, come è sempre per la crudeltà estrema verso i propri simili, che l’uomo può compiere solo disconoscendo la natura umana dell’altro e derubricando le proprie azioni a compimento di pratiche di una banale burocrazia. Qualche anno dopo la pubblicazione di questo racconto il tema della tratta degli africani entrò con forza nell’immaginario più diffuso e mediatico attraverso il grande successo della serie televisiva Radici, adattamento della poderosa epica popolare del romanzo omonimo scritto da Alex Haley. L’abilità visuale di De Pascalis pare quasi anticipare le scene della serie tv ambientate sulla nave che porterà Kunta Kinte dalla sua terra d’origine a quell’America dove secoli più tardi nascerà il suo discendente e cantore del suo destino. Certo, in Radici non vi era l’inquietante presenza del colossale nero che è al centro della narrazione de La sua mano, ma l’orrore umano è il medesimo, e la penna di De Pascalis lo rappresenta con icastica efficacia: il capitano Couron assume facilmente le sembianze del grande Ed Asner che interpreta il comandante della nave che porta il giovane Kunta in America.

Rosso Velabro, primo di una trilogia di romanzi ambientati nella Roma della seconda dinastia Flavia. Qui nella sua nuova edizione per La Lepre.
Poi l’orrore lascia la sua dimensione più prosaica e “rassicurante”, pur senza mai abbandonarla, e si inoltra nei territori dell’anima. A onta della fisicità descrittiva dell’autore, le paure dei protagonisti e delle comparse del racconto dinnanzi agli accadimenti sempre più misteriosi e terrorizzanti è la chiara manifestazione dei loro sensi di colpa, così come l’epilogo degli eventi è il suicidio spirituale al quale essi si condannano per quelle colpe. In questo senso il deus ex machina degli eventi, il gigante nero sul quale si sbizzarrisce il talento visuale dell’autore, altro non è che la materializzazione dei sensi di colpa, il fattore esterno a noi che tanto frequentemente e spesso senza frutto utilizziamo per non finire schiacciati da essi. 

L'ultima edizione del racconto.
Certamente nulla di nuovo, ma proprio per questo risalta la capacità dello scrittore di affascinare con temi tanto ricorrenti e abusati. Se la conclusione del racconto approda infine sui lidi della fantascienza è, io credo, per una sorta di pessimismo cosmico. La crudeltà e la sopraffazione non sono esclusive dell’uomo, sono connaturate all’ordine cosmico, parte della natura. L’uomo è soltanto una delle pedine del gioco di questa natura e di questo cosmo, talvolta attore e talvolta vittima. Sempre e comunque parte del meccanismo. Forse un altro modo per porre all’esterno di noi stessi la responsabilità della nostra crudeltà, una chiamata a correo dell’intero universo che, in ultima analisi, conduce a una disperazione ancora maggiore. Al di là delle letture e delle interpretazioni che se ne possono dare, La sua mano è una gemma che attraversa i vari generi letterarii per raccontare in primo luogo una storia coinvolgente dalla prima all’ultima pagina. È un peccato che un così bel racconto non mi risulti più ristampato da oltre trent’anni, dalla sua pubblicazione nel quarto volume della mondadoriana Biblioteca di Fantasy&Horror.   


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, ho letto il racconto di De Pascalis tanti anni fa sull'antologia "Incubo" della Mondadori. Credo che sia uno dei racconti migliori di quella raccolta, e tenendo presente chi era il resto degli autori direi che non è cosa da poco (per quanto possa valere il mio giudizio). "Incubo" faceva parte della collana "Biblioteca di Fantasy&Horror" della quale aimé furono pubblicati solo 4 volumi ("Alla corte degli eroi", "Horroriana", "All'ombra degli dei" e "Incubo"), ed era curata da Gianni Montanari. Che fine ha fatto Montanari, dopo che è stato (sempre secondo me) il migliore curatore di Urania? Scusami se sono andato fuori tema.

Murgen

Vincenzo Oliva ha detto...

Confesso di non sapere di preciso cosa abbia fatto e faccia Montanari da quando ha lasciato la curatela di Urania. Traduzioni, senza dubbio, e deve aver continuato a occuparsi di editoria, ma non ho notizie. Compiango però che la sua direzione di Urania sia stata troppo breve: GM è stato di gran lunga il miglior direttore di Urania.

Hottoriana è stata una bella - e breve :( - collana. Incubo presenta diversi bei racconti, e quello di De Pascalis è davvero uno dei più belli.

V.

p.s. non esistono gli off topic ;-)

Mina ha detto...

Così oggi, chi volesse leggere De Pascalis (dopo questa recensione, saremo in molti), non può. O si?

Vincenzo Oliva ha detto...

Ciao, Mina, grazie del commento :).

La reperibilità della narrativa popolare è da sempre difficile, i libri scompaiono in fretta e si trovano solo sulle bancarelle - quando si ha fortuna. I libri più recenti o recentemente ristampati di De Pascalis sono sicuramente ancora in catalogo per l'editore La Lepre. Per il racconto in questione, invece, se mi contatti alla mia mail credo si possa fare qualcosa ;-)

V.