domenica 16 maggio 2010

[fantascienza] I contemporanei – Le stelle senzienti (Stars Seen Through Stone - 2007) di Lucius Shepard (n.1947)


E’ un vero piacere anche tornare a parlare di Lucius Shepard, un autore la cui voce è tra le più significative tra gli scrittori americani di science fiction.

Shepard, tra i dominatori della scena negli anni ’80 e ’90 (ha esordito nel 1983), dimostra di scrivere oggi narrativa eccezionale come allora. Le stelle senzienti è una novella molto lunga, finalista nel 2008 ai due principali premi fantascientifici, lo Hugo e il Nebula, ma ha il passo di un romanzo. Pubblicata in origine sul fascicolo del luglio 2007 della rivista Fantasy&science fiction, e successivamente ristampata nell’antologia The best of Lucius Shepard, è stata edita in Italia in volume dalla Delos Books nel 2009. E’ un’opera decisamente non comune; al di là dell’equivoco su una connotazione come genere, ciò che non essendolo non le appartiene, la fantascienza è generalmente contrapposta alla narrativa mainstream: da un lato il fantastico e dall’altro il realismo. Shepard scrive qualcosa che troverebbe una perfetta definizione dall’intima fusione dei due campi. Di più, anche: da una loro indistinguibilità all’interno dell’unità della novella.

L’elemento fantascientifico, che è anche fantastico tout court, irrompe in scena sin dalla prima frase dell’opera. Ma sin da quella stessa prima frase l’ambientazione realistica vi si connette, non meramente innervata ma consustanziale:

Mi stavo facendo una canna sui gradini della biblioteca pubblica quando giunse il soffio di una ventata gelida, che non proveniva da uno dei punti cardinali ma proprio dal cielo notturno sopra di me.

Nel mentre Shepard svolge piano gli elementi fantastici e fantascientifici, dipanandoli in un crescendo che è come il fluido e maestoso innalzarsi del Bolero di Ravel, vediamo prendere corpo nelle pagine della novella un ritratto analitico, penetrante dell’America e dei suoi abitanti. Un ritratto schizzato più che dettagliato, ma ugualmente in grado di affondare nella realtà. Un’America marginale, ma non emarginata. O forse più correttamente un’America eccentrica. Lontana da quelle ribalte che (ci) sono abituali: New York; la California; la Florida di Miami e Orlando; la Seattle dell’ultima frontiera culturale; il Texas, vecchia e nuova frontiera al quadrato; la luccicante spudoratezza di Las Vegas. Al limite la trasognata fantasticheria di New Orleans. Black William è invece una qualunque cittadina, un grosso paesone, del grigio bacino industriale di Pittsburgh, provincia americana profonda. Nessun degrado vero, ma l’anonimità di un immoto benessere senza slanci.

La storia è presto detta. E’ in questa città che, una decina d’anni prima degli eventi narrati, vengono a incagliare la loro vita Andrea e suo marito Vernon, narratore e protagonista principale della novella. In viaggio per raggiungere la California settentrionale dove intendono trasferirsi, quando la loro macchina si rompe nei pressi di Black William, Pennsylvania, decidono di fermarsi il tempo di guadagnare qualche soldo e poter comprare una nuova auto. Resteranno per tutta la vita. Noi li conosceremo molto dopo, una decina d’anni appunto. E qualche mese dopo il prologo rappresentato da quella prima epifania notturna dell’Insolito nella vita di Vernon e di Black William.

Dopo arriveranno le Stelle. Che non sono astri, ma luci che si presentano quasi fantasmatiche, legate a strani fenomeni luminosi. E a fenomeni più strani. Shepard non ne chiarisce la natura in modo conclusivo; esse sono senza dubbio un qualche tipo di forma di vita intelligente che esiste in quello che sembra una sorta di campo fisico che ciclicamente giunge in un punto di intersezione con il nostro pianeta, localizzato a Black William. Non vi è nessuna comunicazione con esse, e si riveleranno tanto enigmatiche e remote quanto anche pericolose. La loro apparizione è accompagnata da fenomeni bizzarri. Molti abitanti della città dopo il contatto con le Stelle sviluppano talenti prima inespressi o repressi, o mai posseduti e probabilmente solo sognati. Stanky, l’immondo aspirante musicista che è la terza figura di maggior rilievo della storia vede le sue già notevoli doti musicali esplodere in un parossismo creativo di talento puro; Rudy, un mediocre architetto amico di Vernon ed ex aspirante fumettista frustrato riprende in mano la matita per disegnare vignette di ottimo livello. E poi c’è chi si mette a scrivere romanzi; chi inventa nuovi, geniali attrezzi per il giardinaggio; chi idea inediti processi di produzione industriale e chi un sistema fiscale comprensibile ed equo. Ma non è solo questo: un serial killer in erba sviluppa un “talento” diabolico per l’omicidio; e per converso un detective da quattro soldi lo arresta grazie a un fiuto investigativo eccezionale. E Vernon e Andrea tornano ad amarsi. Le dinamiche della vita li avevano prima allontanati e poi fatti divorziare, ma gli anni trascorsi non avevano interrotto una tensione erotica ed emotiva che non riusciva a fuoriuscire, concretizzarsi, se non appunto come tensione irrisolta. Fin quando le Stelle stimolano il loro talento per l’amore reciproco. Le doti più disparate, dunque: dal genio artistico o tecnico a quello per l’interazione umana, o magari solo per dare corpo alle proprie aspirazioni e senso alla propria vita. Pare di essere inseriti nel filone de La Sentinella di Arthur C. Clarke, il monolite che sarà poi kubrickiano. Ma l’incombente presenza delle Stelle è molto più inquietante, rimanda ai Vitoni di Schiavi degli Invisibili di Eric Frank Russell. Shepard scioglie la questione secondo un ben rodato schema, ma con la sua non comune acutezza: esse “seminano” gli abitanti di Black William per poter poi nutrirsi dei frutti di questa semina. Non tutti i talenti sviluppatisi interessano loro: solo quelli artistici. Se ne nutrono lasciando i “seminati” più vuoti di come li avevano trovati. Qualcuno più sensibile e in grado di intuire forse la natura delle Stelle, come Rudy, cede e si suicida prima del “raccolto”. I “seminati” che non risultano interessanti manterranno le doti acquisite, come Vernon e Andrea, che probabilmente continueranno a interrogarsi sulla naturalità del loro sentimento ritrovato… e continueranno ad amarsi. E’ anche un romanzo d’amore questa storia. Sui suoi meccanismi, sulla sua natura, sulla sua psicologia.

Quella che Shepard mette in scena è una rappresentazione ricca e complessa della vita e delle dinamiche che essa innesca, della psicologia dei sogni che viviamo o non riusciamo a realizzare. Un affresco di un angolo residuale d’America che facilmente si muta in una epitome di tutta la nostra società occidentale, e almeno per quel che attiene i risvolti psicologici, della natura umana. La solida, e affascinante, sovrastruttura fantascientifica serve da potente lente di ingrandimento per arrivare a comprendere questa struttura alla base, per focalizzarne gli elementi portanti. La personalità frastagliata e sfaccettata di Vernon, il modo in cui le sue iniziali aspirazioni di successo quale rockstar si sono mutate nella soddisfatta insoddisfazione di un moderato, placido successo come affidabile produttore musicale e talent scout. E Vernon riassume in sé la città, l’America, forse tutti noi. A partire da Andrea, che è avvocato giuslavorista che difende i lavoratori, e sa che i suoi clienti in genere perdono anche quando in tribunale vincono. Quella che Shepard racconta è una terra di mezzo dove la sconfitta non è forse così sconfitta e la vittoria non è mai vittoria. Forse perché i personaggi non sono (ovvero non siamo noi) capaci di agire in modo diverso da quello che conduce a tale risultato.

Lucius Shepard è dotato di una ars narrandi di elaborata raffinatezza, un registro stilistico sempre alieno dalla banalità, che illumina la narrazione con la finezza della caratterizzazione psicologica e comportamentale dei personaggi; l’atmosfera da realismo magico che trasfonde nelle sue descrizioni naturalistiche o urbane. Così, Vernon emerge con nettezza dal ritratto appassionato che l’autore fa della sua ossessione musicale e del lavoro di produttore (Shepard del resto fu musicista a sua volta). Così, le Stelle assumono una connotazione narrativa allusiva, trasognata, sfumata, e lo scrittore americano vi intesse un presagio malevolo, sfuma le sensazioni in un indistinto che evoca tuttavia con precisione pericolo e angoscia. E’ un romanzo anche sulla creazione artistica, le sue tensioni e aspirazioni.

Non è mai scrittore di facile accessibilità, Shepard, ma a farsi trasportare nella dovizia prismatica del suo narrare si può godere di un’esperienza che è prima sensuale e solo poi intellettuale, ma ancor più un’esaltazione dei due aspetti. Lucius Shepard è uno scrittore autentico, raro. E non solo tra gli autori di sf.    

A proposito di titoli, Le Stelle senzienti è del tutto preciso e funzionale al contenuto, ed è di una piattezza che sconsola. Il titolo originale non è solo una scheggia di lirismo malinconico, ma anche una fotografia ancor più precisa, e soprattutto intima, della magia di cui Shepard sa rivestire le apparizioni delle Stelle. Ci voleva davvero tanto a mettere Stelle viste attraverso la pietra? Nella canzone di Stanky la frase c’è…

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima recensione!E un pò che non ci si becca più sul blog di Urania...
NICK

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie!

In effetti è da un po' di tempo che non mi capita di scrivere sul blog di Urania, ma lo seguo regolarmente.

V.

Squirek ha detto...

Io sono rimasto al Shepard degli anni 80 (settore giada, il drago griaule, ecc.;) mi chiedevo se il suo stile è rimasto quello "allucinato" di un tempo o si "normalizzato" negli ultimi suoi lavori.

Vincenzo Oliva ha detto...

In questa novellona è sicuramente più "tranquillo", ma non per questo meno profondo e interessante.

V.