martedì 13 luglio 2010

I contemporanei – Uno Zero (0 One 2003) di Chris Roberson (n.1970)


I racconti di storia alternativa hanno un fascino tanto sottile quanto intenso. Forse è dovuto alla loro natura intermedia, spuria. Fiabe, in certo qual modo: su mondi che non sono, ma potrebbero essere. Che il caso avrebbe potuto rendere concreti e invece sono (rimasti) pura creazione della fantasia. Ma anche, nelle mani dello scrittore abile, fiabe che innescano la riflessione sulla nostra storia e il nostro presente. Sui meccanismi sociali, psicologici e intellettuali lungo i binari dei quali la nostra storia si sviluppa, o non si sviluppa. O si sarebbe sviluppata se fosse accaduto qualcosa. A volte quei mondi assumono i contorni dell’incubo, e particolarmente fertile in questo senso è il filone di storie che parte dall’ipotesi della vittoria dell’Asse nella II Guerra Mondiale, o comunque manipola il destino dei protagonisti di quel periodo. Rare altre volte, il percorso alternativo della storia appare un’utopia realizzata – sempre che la fregatura non attenda in agguato dietro l’angolo. Ma più spesso la realtà altra non è migliore né peggiore: solo diversa – e in quanto tale bizzarra. Un motivo ulteriore del fascino di queste storie deve risiedere nell’esotismo delle loro ambientazioni – tanto più esotico per certi versi quanto più sentiamo che esse sono vicinissime alla nostra realtà e irrimediabilmente altre. Non c’è dubbio infine che le storie di questo tipo siano legate intimamente alla natura più autentica della fantascienza, quel nucleo speculativo che è il what if, una struttura così semplice e così in grado di ramificarsi. Cosa accadrebbe se: è la domanda cardine della letteratura fantascientifica (è in effetti la fantascienza stessa), la quale rappresenta il tentativo di rispondere a essa e alla doppia esigenza umana di conoscere e di costruire la propria conoscenza. Sono insomma seducenti e complessi giochi intellettuali, talvolta irresistibili.

Il racconto di Roberson non appartiene agli incubi, e ha davvero un sentore di fiaba. E’ un racconto pacato, riflessivo, all’apparenza perfino idilliaco. I gesti e i tempi della Città Proibita e della corte imperiale cinese dove egli ambienta la storia li possiamo immaginare solo lenti, ritualizzati. La scena che apre il racconto ci trasmette alla perfezione questa sensazione di calma e di pace. Un uomo è immerso nella quiete di un giardino, in contemplazione della vasca dove nuotano dei pesci: è il Capo Calcolatore di Corte Tsui, ai suoi ordini c’è un esercito di uomini chini sui propri abachi e impegnati calcolo su calcolo per la maggior gloria dell’Impero. Tsui non è un mero capo contabile, a lui e al suo ufficio sono demandati anche i calcoli matematici che dovranno realizzare il sogno imperiale di conquistare lo spazio. Un sogno commisurato a chi siede sul Trono del Drago intuitivamente intorno al primo quarto di quello che nella nostra linea temporale sarebbe il XX secolo e che domina sull’intero pianeta, eredità delle guerre dei suoi antenati vittoriosi da un capo all’altro della Terra. Non è detto dove la linea temporale abbia iniziato a divergere dalla nostra: il racconto a quanto si appura in rete fa parte di una serie di storie, il ciclo del Celestial Empire, ma ignoro se altrove Roberson affronti l’argomento. Sulla base unica di Uno Zero si potrebbe ipotizzare che alla metà del XIII secolo il Gran Khan dei Mongoli Ogodei sia sopravvissuto qualche anno in più permettendo in tal modo che l’esercito condotto dal generale Subotai e da Batu Khan completasse la conquista mongola dell’Europa; o più probabilmente che nel primo terzo del XV secolo, all’inizio dell’età Ming, gli imperatori non avessero posto bruscamente termine alle azioni commerciali, esplorative, diplomatiche e militari della grande flotta dell’ammiraglio Zheng He, dilapidando in breve tempo i notevoli risultati strategici e i vantaggi geopolitici conseguiti dal brillante eunuco: quella Cina, se avesse puntato sull’espansionismo commerciale e militare, avrebbe probabilmente avuto ragione delle potenze europee che cominciarono di lì a poco a creare i loro imperi commerciali e coloniali. Quale che sia il punto di distacco con la nostra linea temporale, Tsui vive nel cuore del potere planetario.
L'Ammiraglio Zheng He: che abbia avuto mano libera?

Il Capo Calcolatore è immerso nelle sue sognanti riflessioni (si potrebbero anche definire delirii matematici: un numero infinito di operatori all’abaco che in un tempo istantaneo compiano le infinite operazioni necessarie a calcolare ogni cosa) quando è raggiunto, ai bordi del laghetto dei pesci, dal Regio Ispettore Bai. Il dialogo di due navigati cortigiani ha qualcosa del minuetto, della danza rituale. Ma sotto la pacatezza degli uomini e la placidità della natura si avverte il pericolo. Così, il Regio Ispettore sbocconcella un panino ripieno di carne di maiale - un’abitudine importata da una delle province più periferiche dell’Impero, l’Inghilterra - dividendolo equamente: il pane ai lenti pesci-abaco, frutto di un bizzarro esperimento per selezionare una specie di pesci che assumendo certe configurazioni nel nuoto aiutassero nelle operazioni di calcolo (siamo in Cina, dopo tutto); la carne a dei pesci innominati, ma che sono con ogni evidenza dei piranha.

La scena e l’insistenza di Roberson non sono gratuite: creano una forte immagine delle psicologie coinvolte e delle dinamiche che esse innescano, oltre a una chiara percezione delle tensioni che nascono in un ambiente siffatto. Altri dettagli similari innervano tutta la trama del racconto. Così Tsui è fatto chiamare dal Ciambellano alla presenza dell’Imperatore facendo in modo che egli giunga in ritardo e, prevedibilmente, ciò irriti costui e metta sotto grande pressione il Capo Calcolatore. Può apparire una sottolineatura ridondante che l’Imperatore esprima la propria irritazione, ma ancora una volta non è (o non lo è in modo decisivo) nei dettagli delle schermaglie verbali che Roberson elabora la trama né evidenzia i sottintesi ad uso del lettore distratto: sono le personalità, le psicologie dei personaggi ad emergere dalle parole dette. E quelle non dette, paradossalmente, pesano di meno: perché sono ovvie. E dei personaggi emergono le paure e le debolezze, che restano allo scoperto proprio quando essi vorrebbero nasconderle.

Al cospetto del monarca si svolgerà uno psicodramma umano e culturale. Da quella stessa lontana provincia inglese del panino dell’Ispettore Bai è giunto un inventore, tale Napier, in cerca di finanziamenti da parte del trono mondiale per le sue ricerche. Napier ha inventato un prototipo di computer (il titolo del racconto si basa infatti sul sistema numerico binario), ed è venuto a proporre la sua macchina, ovviamente da sviluppare e migliorare, quale elemento risolutivo per le ambizioni spaziali del sire planetario. L’ingenuo e incolpevole Napier sta portando un attacco mortale al cuore del potere e della posizione (ereditaria) di Tsui, e di tutta la struttura burocratica della corte. 
 La copertina di Live without a net, l'antologia dove il racconto di Roberson è apparso in origine nel 2003

Roberson risolve il confronto tra Napier e Tsui allestendo una ironica “cineseria”, sfoggiando nel mattatore della scena, il Lord Ciambellano, la perfidia e la sottigliezza che ci si aspettano dal potere e dall’intelligenza dietro un trono globale. Al di là della godibilità del gioco manipolatorio dell’alto dignitario e dei dialoghi misurati e insinuanti, il vero cuore della vicenda è nello spettacolo dell’impasse culturale che l’autore mostra al lettore. In sé il fatto è banalissimo, come si può osservare leggendo il racconto: l’impossibilità (o l’estrema difficoltà) di sviluppare una mentalità e una cultura aperte all’innovazione da parte di una società totalitaria, o comunque verticistica e dirigista, basata sullo strapotere di una organizzazione burocratica centralizzata con tutti i suoi intrighi, i veti incrociati, le rendite di posizione. L’onnipotente impero mondiale sembra giunto sulla soglia della replicazione di quella chiusura al mondo che il più piccolo impero dei Ming intraprese tra XV e XVI secolo e condusse alla marginalizzazione della Cina per i successivi quattro secoli e passa. Certo, assodato che lui è il solo ad avere le competenze per costruire l’infernale macchina calcolatrice, Napier finirà, molto elegantemente e di nascosto, ai piranha; non è però difficile immaginare che nella lontana provincia britannica o in qualche posto simile, prima o poi, qualcun altro riscoprirà l’informatica, e, sempre prima o poi, qualcuno manderà a gambe all’aria l’onnipotente imperatore.    

Americano del Texas, Chris Roberson ha esordito professionalmente proprio con questo racconto (disponibile online sul suo sito all’indirizzo: http://www.chrisroberson.net/O_One.html), vincendo nel 2004 il Sidewise Award, il premio dedicato a romanzi e racconti ucronici e di storia alternativa, che ha poi bissato sulla lunghezza del romanzo con un’altra storia del ciclo. Già da anni, tuttavia, andava pubblicando racconti e romanzi, tra l’altro con la formula del print on demand. Di suo in Italia si è visto un solo altro racconto oltre a Uno Zero che è stato pubblicato nel fascicolo n.47 della rivista Robot.

domenica 11 luglio 2010

Il Classico – De Profundis (id.1953 – noto anche come The Visitors) di Henry Kuttner (1914-1958) e C. L. Moore (1911-1987)


Dalle profondità: dello spazio e del tempo. Ma anche nelle profondità: della psiche. O forse è vero il contrario. Trattandosi di un racconto di fantascienza, per De Profundis si dovrebbe probabilmente preferire un’interpretazione più letterale; ma è pur vero che proprio in quegli anni i suoi autori andavano intraprendendo la loro formazione accademica nel campo degli studi psicologici e stavano diradando molto, fino praticamente a tralasciarla, la loro produzione fantascientifica, dedicandosi in prevalenza ai mystery novels, (dopo la morte del marito, Catherine Lucille Moore avrebbe scritto per qualche anno ancora sceneggiature per le principali serie televisive dell’epoca, abbandonando poi del tutto la scrittura dopo il suo secondo matrimonio nel 1963).

Nel corso della storia umana coloro che sentono le Voci hanno avuto diversi destini. Anche in funzione a chi appartenessero tali Voci: Dio o un qualche dio; il Diavolo o un qualche diavolo; gli alieni; i morti. Chi sente Dio (o un dio) può avere fortuna e accreditarsi come profeta o grande sciamano, come mistico visionario. O magari può fondare una religione in proprio. Se invece non ha fortuna lo fanno fuori o lo ficcano in manicomio e buttano via la chiave. La diversità di sorte può dipendere meramente dal caso, o magari dalla furbizia dell’individuo. A volte nell’arco della vita capitano entrambe le soluzioni. Alcuni di coloro che sentono le Voci obbediscono loro e uccidono, e per questo vengono riconosciuti come assassini e rinchiusi in galera o giustiziati; altri invece obbediscono loro e uccidono, e per questo vengono riconosciuti come santi ed elevati agli altari. Anche qui la diversità di sorte può dipendere dal caso o magari dalla maggiore o minore oculatezza nella scelta dell’identità da attribuire alle voci. Anche qui può capitare di essere prima visti in un modo e poi nell’altro: l’umanità è bella perché è varia. Tuttavia, se le Voci che un individuo sente sono confuse, indeterminate, o sono quelle degli alieni, la sua massima fortuna sarà di essere riguardato come un pazzoide innocuo, tollerato perché giudicato quale sociopatico non pericoloso. William Rogers, il protagonista e io narrante del racconto, non ha questa fortuna.  


William è un matto certificato, un uomo ancora giovane che sin dalla più giovane età entra ed esce dagli istituti di cosiddetta igiene mentale. William si professa cosciente del fatto che da sempre c’è qualcosa di storto nella sua testa: allucinazioni, illusioni, forme strane, diavoli, voci. E la Nube: una forma indistinta, discreta e non troppo invadente, una presenza, a volte sfuggente, in un cantuccio mentale. William afferma di sapere che nulla di tutto questo è reale. Reali invece, giura William, sono i Visitatori (The Visitors era il titolo del racconto prima che Kuttner e Moore ne licenziassero una versione leggermente revisionata), che solo da poco si sono aggiunti alla compagnia. Alieni, probabilmente, o forse provenienti da un altro tempo e un altro spazio, i Visitatori studiano l’umanità e la Terra, servendosi di personalità particolarmente sensibili, come William, per potersi incuneare nella realtà spazio-temporale terrestre. Come i Visitatori gli hanno detto, solo William può vederli. Logico che i medici curanti di William tendano a non credergli granché quando racconta loro dei Visitatori. La cui visione e le cui azioni sono per William fonte di enormi dolori, non solo spirituali, nella completa indifferenza dei suoi aguzzini venuti da chissà dove. Prima che William giunga alla fine per consunzione, però, la Nube – quell’innocua Nube che con l’avvento dei Visitatori era divenuta per l’uomo come la presenza rassicurante di un vecchio amico – si appaleserà quale entità di ben maggiore potenza dei tormentatori di William, e scaccerà e distruggerà quei rozzi sfruttatori della sua privilegiata postazione di osservazione dell’umanità. Nel finale gli autori non sciolgono davvero la vicenda, al lettore resta un margine di ambiguità aperto alla sua interpretazione. La Nube è effettivamente, anch’essa, un’entità aliena o comunque reale; o tutta la vicenda non è altro che l’aggravarsi delle condizioni mentali di William Rogers? De Profundis è un racconto di sf, e come dicevo una lettura letterale appare in tal senso da privilegiare. E tuttavia gli spazi della nostra mente (e tanto più quasi sessant’anni fa) non sono ancora più incogniti e gravidi di sorprese di quelli fisici del nostro sistema solare e oltre? La nostra mente, sotto certi aspetti, è ancora l’oggetto più alieno che (non) conosciamo. La doppia lettura possibile non depotenzia il racconto come prodotto genuino di fantascienza, né lo limita nei confini di genere in quanto ritratto di una mente disturbata. Ne esalta anzi entrambe le dimensioni, fornendo al racconto di fantascienza una profondità e uno spessore tridimensionali; e al racconto mainstream una venatura enigmatica che ne aumenta la carica ansiogena. Un’eco lontana della fattiva influenza esercitata da Lovecraft su entrambi gli autori si avverte.

Quando scrivono questo racconto, Henry Kuttner e C. L. Moore sono scrittori ormai maturi e pienamente consapevoli dei propri mezzi espressivi. Attivi sin dagli anni ’30 (Catherine esordisce nel 1933, Henry nel 1936, entrambi con due racconti memorabili), sono stati tra gli assoluti dominatori della scena delle riviste americane di fantascienza negli anni ’40, sia per la quantità che per la qualità dei lavori pubblicati. Se oggi il loro nome è meno noto di quelli di Asimov, Heinlein, Leiber, Sturgeon (e anche Simak e van Vogt, pur più negletti) è perché come ricordavo prima alla fine del decennio la loro attività nel campo rallentò grandemente, per poi terminare del tutto con la morte precoce di Kuttner. Molte delle loro opere appaiono però valide ancora oggi, e andrebbero rilette e riportate all’attenzione dei lettori.  

La copertina della prima edizione hard cover dell'antologia Ahead of time dove venne pubblicato il racconto.

De Profundis è un esempio brillante sia della grande inventiva che li caratterizzò che della loro scrittura vigorosa ed emozionalmente colorita. William è una figura che colpisce l’immaginazione del lettore e si scolpisce nella sua memoria. Che sia pazzo o veramente visitato da qualcuno non ha importanza: non siamo in grado di arrivare davvero a comprenderlo dall’interno della sua mente, figuriamoci quindi se potremmo esserlo dall’esterno, dove ad esempio sono i suoi medici. Ma al di là di questo nodo irrisolto (e irresolubile), ciò che davvero risalta e rende preziosa la lettura è il rilievo realistico che comunque assume questo viaggio nelle profondità della psiche di William. Kuttner e Moore non affondano magari del tutto, e  in qualche modo il loro sguardo non si spinge davvero fino in fondo alla mente di William - si tratta pur sempre di un breve racconto, e privilegiare un certo effetto rispetto a una maggiore sostanza ha un suo perché. Tuttavia il vigore della descrizione compensa questa carenza relativa con la violenza con la quale fa emergere la disperazione e l’angoscia di William, ritratte con partecipazione e incisività. Per quanto in grado di essere flamboyante ed emotiva, infatti, la scrittura dei due autori si mantiene lucida e analitica per tutto il racconto. La sconsolata afflizione spirituale di William si trasmette al lettore con forte impatto sui suoi sensi, ma viene anche accuratamente sviscerata nella pur ristretta brevità del racconto. E in ogni caso la lettura puramente fantascientifica resta pienamente legittima, e la storia di questa povera mente umana campo di battaglia per possenti entità aliene è per sé già ricca di sottintesi (è il 1953, non dimentichiamo, e per dire Joe McCarthy è vivo e lotta con Loro…).


Su Henry e Catherine le leggende fiorirono: era più bravo lui – no, era più brava lei; quel racconto l’ha scritto lui (o prevalentemente lui) – no, l’ha scritto lei (o prevalentemente lei). Il fatto che dopo il loro matrimonio nel 1940, per pubblicare abbiano fatto uso di innumerevoli pseudonimi – almeno una quindicina - oltre che dei loro nomi, non aiuta certo a districare i vari nodi. Lewis Padgett fu quello che usarono di più; Lawrence O’Donnell era forse usato per racconti (molti meno di quelli di Padgett, ma quasi tutti memorabili) scritti dalla sola Catherine o in prevalenza da lei. Rintracciare una regola è però quasi impossibile: per dire, la novella del 1943 Clash by night fu pubblicata da Lawrence O’Donnell e molto probabilmente è stata scritta dalla sola Catherine; il romanzo Fury del 1947, rielaborazione ed espansione della novella è una collaborazione tra i coniugi, e fu ugualmente pubblicato su rivista sotto lo pseudonimo di O’Donnell… tuttavia l’edizione in volume di qualche tempo dopo uscì sotto il solo nome di Henry Kuttner. Il fatto che ai loro tempi il lavoro di una scrittrice fosse generalmente sottovalutato (e pagato peggio…), ha probabilmente portato allora a sottovalutare l’apporto di Catherine; e il revisionismo degli ultimi decenni ha probabilmente portato a sottovalutare nei tempi più recenti quello di Henry. La vulgata vuole che Kuttner fosse uno scrittore dall’inventiva più fertile e dalla maggior facilità e rapidità di scrittura, abile nell’intreccio e nel creare psicologie credibili e approfondite, ma debole nello sviluppo consequenziale delle trame; mentre Moore fosse autrice stilisticamente più raffinata e dall’immaginazione meno ampia ma dalle coloriture più fantasiose, e molto più rigorosa nel condurre in porto le proprie trame. Quel che i loro lavori precedenti il matrimonio ci dicono è che Henry Kuttner e C. L. Moore erano già due eccellenti scrittori popolari (Henry pubblicava di più; e Catherine aveva senza dubbio una scrittura evocativa, romantica ed emotivamente esuberante in grado di scatenare il sense of wonder), che negli anni successivi seppero crescere ulteriormente e integrarsi alla perfezione in uno scrittore più completo della somma delle loro parti: il racconto qui in questione mostra, fusi armonicamente, i pregi di entrambi che la vulgata accredita. L. Sprague de Camp aggiunge alla loro leggenda che con il tempo fossero diventati a tal punto coordinati che l’uno o l’altra poteva interrompere il lavoro nel mezzo di una frase e l’altra o l’uno riprendere immediatamente senza che vi fossero interruzioni e si notassero differenze. E’ probabilmente un’esagerazione, ma rende bene l’idea di quella che dovette essere una collaborazione davvero profonda, a estensione e integrazione di un rapporto di vita.

De Profundis fu pubblicato, a quanto mi riesce di appurare, sotto il solo nome di Henry, ma è una collaborazione acclarata tra i coniugi. In Italia è stato pubblicato tre volte, nessuna delle quali recente. Le ultime due nell’antologia Il Twonky, il tempo e la follia (in origine Ahead of time), per lo SFBC nel 1971, e in seguito nel volume dei Massimi della Fantascienza dedicato a Kuttner, che contiene parecchi altri notevoli racconti, tra i quali spiccano la novella Vintage season, quasi sicuramente opera della sola Catherine, e The Twonky, probabilmente del solo Henry. 

Segnalo qui di seguito i link ai loro racconti di esordio. Shambleau, apparso su Weird Tales nel 1933 è la novella iniziale del ciclo di science-fantasy dedicato all’avventuriero spaziale Northwest Smith. Oggi appare datato per molti versi, tuttavia il trionfo di fantasia, orrore e pura immaginazione rappresentato dalle sue pagine, così come la brillante ricchezza barocca della scrittura, ne fanno ancora una lettura da godere. The graveyard rats, ugualmente pubblicato su Weird Tales, nel 1936, è un racconto horror di rara quanto semplice efficacia (Lovecraft, con ogni probabilità, operò un’approfondita revisione del testo dell’esordiente discepolo Kuttner).

Shambleau:

The graveyard rats:
 

venerdì 9 luglio 2010

NO BAVAGLIO! - No al DDL sulle intercettazioni


Pellizza da Volpedo - Il Quarto Stato

domenica 27 giugno 2010

Biblioteca di fantascienza VII - Isaac Asimov (1920-1992)

Chissà quando nacque davvero Isaac Asimov; le discrepanze tra i vari calendari in uso in Russia ai tempi della sua nascita e la mancanza di registri ufficiali a seguito di tempi tanto turbolenti portano a credere che egli fosse nato tra i primi di ottobre del 1919 e la data poi ufficiale del 2 gennaio 1920. Isaac dovette nascere con il nome di Исаак Юдович Озимов, che a traslitterarlo ne esce fuori un qualcosa come Isaak Iudovich (o Iudich) Ozimov. Comunque, importante è quell'Isaac Asimov nato il 2 gennaio del 1920, che diverrà forse il più famoso scrittore di fantascienza, e che riceverà il nomignolo di Good Doctor, il Buon Dottore. Prolifico in modo prodigioso, Asimov fu un divulgatore scientifico infaticabile oltre che un narratore in grado di spaziare ben oltre quella science-fiction che era la sua passione primeva e che gli diede la fama iniziale che perdura solida a tutt'oggi. Alla base del suo successo vi è senza dubbio la chiarezza della sua scrittura. A volte è accusato di essere uno scrittore troppo semplice, perfino rozzo, e incapace di dar vita a personaggi realistici. Il mio consiglio è di leggere le sue opere con più attenzione, e non scambiare per sciatteria la sua naturale immediatezza di comunicazione e facilità di scrittura, le "armi" grazie alle quali favoriva la comprensione, una lettura fluida e creava personaggi che univano una perfetta funzionalità narrativa e caratteristiche umane di sobrio e misurato realismo.


Anche non volendo considerare, che è quel che farò, le opere scritte a far data dal 1982, quando a partire dal romanzo The Edge of Foundation egli cedette alle lusinghe e riprese e unificò le sue due serie maggiori (Fondazione e Robot), con una sequenza di romanzi anche di ragguardevole mole, la sua opera narrativa fantascientifica è comunque imponente. Asimov dette probabilmente il meglio di sé nella copiosa produzione novellistica, dove spiccano varie decine di ottimi racconti e novelle; ma anche sulla lunghezza del romanzo alcuni dei suoi risultati furono ottimi. Per comodità suddividerò i suoi libri in varie sezioni: le serie; i racconti; gli altri romanzi; le antologie realizzate in veste di curatore, altra sua attività quasi compulsiva :-). Sempre rammentando che negli ultimi anni di vita Isaac raccordò - a posteriori - in una onnicomprensiva Storia Futura praticamente tutto ciò che aveva scritto, aggiungendo ai cicli originari quei numerosi nuovi romanzi cui accennavo: non tutti trascurabili, però sicuramente tutti per appassionati dell'autore più che della sf tout court


Un Asimov poco più che adolescente


Le Serie


Ovvero i Robot e Fondazione. 


Nel corso degli anni '40 Asimov scrisse otto tra novelle e racconti che andavano a comporre una coerente Storia Futura della nostra galassia, interamente colonizzata dall'uomo in un lontano futuro. Influenzato dalla parabola dell'ascesa e declino dell'Impero Romano, Asimov scelse di narrare il declino dell'Impero Galattico e i tentativi di scampare a un lungo medioevo su scala galattica. La Storia Futura asimoviana è una delle creazioni più affascinanti e ricche di sense of wonder della fantascienza classica, e si può ben dire che quel suo ottimismo infine frustrato abbia di questi tempi un'attualità anche maggiore che non all'epoca in cui quelle storie vennero scritte. All'inizio degli anni '50 gli otto racconti e novelle vennero raccolti nei tre libri che compongono quella che ancora oggi è nota come la Trilogia (originaria) della Fondazione: First Foundation; Foundation and Empire; Second Foundation.Che in italiano diventeranno...




La struttura del ciclo dei Robot è decisamente più frastagliata. Sempre nel corso degli anni '40 Asimov scrisse una serie di racconti imperniati appunto sui robot, costruiti dalla immaginaria US Robots and Mechanical Men Corporation. Protagonisti umani di alcuni erano Powell e Donovan, due uomini d'azione al soldo della compagnia, e degli altri racconti, i migliori, la "robopsicologa" Susan Calvin, forse uno dei più realistici ritratti di scienziato nella storia della sf. Questi racconti furono riuniti negli anni '50 nell'antologia I, Robot (Io, Robot in Italia), con l'appendice data negli anni '60 da The Rest of Robots (Il secondo libro dei Robot). In seguito, altri e più miscellanei racconti robotici confluiranno insieme ai precedenti nella successiva antologia del 1982 The Complete Robot (Tutti i miei Robot). Asimov però continuerà a scrivere racconti sull'argomento fino alla fine.


Almeno quattro i racconti memorabili contenuti nell'antologia: Bugiardo!; Il piccolo robot perduto; La prova; Il conflitto evitabile.


Memorabili sono qui almeno tre racconti: Esseri superiori; Soddisfazione garantita e Lenny.


Oltre quelli già citati, qui voglio segnalare diversi altri racconti: Sally, un racconto davvero bizzarro e malinconico con protagonista un'automobile-robot che non si scorda facilmente; Vittoria involontaria; Immagine speculare, dove Asimov riprende i personaggi di Elijah Baley e R.Daneel Olivaw di cui dico oltre; Intuito femminile; Luciscultura e la celebre, splendida novella L'uomo bicentenario, poi orrendamente massacrata nel penoso film interpretato da Robin Williams. 






Negli anni '50 Asimov scrisse due tra i suoi migliori romanzi: The Caves of Steel e The Naked Sun (Abissi d'acciaio e Il sole nudo in italiano). In essi si assisteva allo "scontro di civiltà" tra le due culture nelle quali si era suddivisa l'umanità: i terrestri, confinati su una sovrappopolatissima Terra, caratterizzati da vita breve (la nostra attuale...) e da vera e propria fobia per i robot, nonché relegati in mostruose megalopoli coperte da cupole di metallo e sotterranee; e gli Spaziali, discendenti di coloro che un tempo lasciarono la Terra per fondare su altri pianeti delle società caratterizzate dalla fondamentale presenza dei robot: essi vivono a lungo, fino a quattro secoli, vivono su pianeti scarsamente popolati e le loro (ai nostri occhi bizzarre) culture sono tutte assai più ricche di quella terrestre. Senza scendere nei dettagli dei due celebri romanzi, tra i migliori connubii di fantascienza e giallo, protagonisti di entrambi sono l'investigatore terrestre Elijah Baley, bellissima figura di deraciné asimoviano (nel quale, come nell'Andrew Harlan de La fine dell'Eternità non è difficile intravedere aspetti dell'autore), e il robot umanoide R.Daneel Olivaw (che nella ripresa produttiva degli anni '80 diverrà il cardine centrale attorno al quale Asimov unificherà i suoi cicli narrativi). Senza dubbio tra i migliori personaggi ideati dal Nostro. Nel secondo romanzo Asimov introdurrà un terzo e riuscito personaggio: Gladia Delmarre.



I Racconti


Oltre a quelli raccolti nelle già citate antologie robotiche, Asimov nel corso della sua carriera ha scritto decine, centinaia di racconti, moltissimi dei quali sono nella storia della fantascienza. La Mondadori ha pubblicato tre corposi volumi che raccolgono quasi l'intera produzione novellistica asimoviana (Tutti i racconti voll. 1-3 - The Complete Stories).
La copertina del terzo volume dei racconti completi.


E però le moltissime antologie personali di Asimov pubblicate in precedenza mantengono un loro fascino e un loro perché. Tra le molte mi piace segnalare e consigliare quelle che di seguito elenco.


Riunisce molti (dei moltissimi) racconti scritti nei primi anni di carriera. Inevitabilmente in parecchi casi una certa rozzezza è evidente, ma soprattutto verso la fine si incontrano già esempi pregevoli dell'inventiva asimoviana: Gatto temporale, Diritti d'autore e Vicolo cieco. E soprattutto quel fantasmagorico divertissement che è Le proprietà endocroniche della tiotimolina risublimata.







  
I tre volumi uraniani dell'Antologia Personale (Nightfall and other stories) e i due di Testi e Note (Buy Jupiter) saranno poi riuniti in cofanetto Oscar Mondadori suddiviso nelle due antologie originarie. Innumerevoli i racconti memorabili. Mi limito a segnalarne alcuni: Notturno (noto anche come Cade la notte), forse il racconto più celebre e senza dubbio tra i migliori di Asimov; Chiazze verdi; E se...?, fulminante racconto che è una vera e propria summa della sf; Condotto "C"; Una così bella giornata; Crumiro; Mio figlio il fisico; Occhi non soltanto per vedere; Biliardo darwiniano; Il giorno dei cacciatori; Pianeta comprasi; I Fondatori; La Tiotimolina fra le stelle.


Il cofanetto doppio Il meglio di Asimov (The Best of Isaac Asimov) riunisce i racconti che il Buon Dottore stesso riteneva i suoi migliori. Ovviamente all'atto della pubblicazione dell'antologia originale, nel 1973. Oltre a racconti già presenti nelle antologie in precedenza citate, vi si trovano gioielli come Chissà come si divertivano; L'ultima domanda; Il Cronoscopio; Anniversario.


 Earth is room enough è una bella antologia miscellanea che raccoglie diversi ottimi racconti asimoviani. Oltre ad alcuni già presenti nelle precedenti antologie segnalate, vale la pena ricordare Diritto di voto; La tromba del giudizio; Sognare è una faccenda privata.


 Asimov's Misteries riunisce prevedibilmente una serie di racconti gialli di fantascienza del Nostro, che ne fu un vero specialista. Oltre al mini-ciclo incentrato sul professor Wendell Urth, peculiare figura di investigatore, e ad alcuni già visti, merita segnalare almeno due altri racconti: Paté de fois gras e A Marsport senza Hilda.


In The Winds of Change vale la pena citare Persuasione e Le idee sono dure a morire, oltre alle prime apparizioni del piccolo demone Azazel, protagonista negli ultimi anni della vita di Asimov di una serie di brevi racconti umoristici, al peggio gradevoli e al loro meglio davvero deliziosi, soprattutto per la vena di crudeltà e sadismo che Isaac vi riversava sotto il velo dell'umorismo.


... E naturalmente l'antologia che raccoglie una buona selezione dei brevi racconti con protagonista il diavoletto. 















Mi permetto infine di consigliare, al di fuori però della science fiction, i cinque volumi dei racconti giallo-umoristici imperniati sul gruppo di amici riuniti nel club dei Vedovi Neri, testimonianza del talento umoristico del Buon Dottore e tra i suoi migliori risultati narrativi.


Gli altri romanzi

Oltre ai due romanzi-capolavoro robotici degli anni '50, e a quelli scritti a partire dal 1982, Asimov ha al suo attivo un certo numero di altri romanzi. Ugualmente negli anni '50 scrisse La fine dell'Eternità (The End of Eternity), che insieme a un altro di cui dirò tra poco considero il suo miglior risultato sulla distanza lunga. Nel romanzo è narrata la storia dell'Eternità, il corpo di ingeneri temporali che, sostanzialmente, bloccano la storia umana controllando l'intera linea temporale occupata dall'umanità e impedendo ogni vero e libero sviluppo culturale della nostra specie. La storia e la fine degli Eterni. E' in questo romanzo che agisce Andrew Harlan, l'altro sradicato asimoviano oltre a Elijah Baley, e figura in cui è sicuramente possibile scorgere dei riflessi autobiografici. Sempre agli anni '50 risale il cosiddetto Ciclo dell'Impero. In realtà si tratta di tre romanzi indipendenti, concettualmente unificati dall'essere ambientati tutti e tre in vari periodi della formazione di quell'Impero Galattico di cui Asimov narrerà la caduta nel Ciclo della Fondazione. Dei tre, Paria dei cieli (Pebble in the sky) e Le correnti dello spazio (The currents of space) sono tra i migliori di Isaac, mentre Stelle come polvere/Il Tiranno dei Mondi (The Stars like dust/Tyrann), pur dignitoso, ha una trama leggerina e a tratti non esattamente impeccabile. Nel 1972 Asimov pubblicò poi Neanche gli dei (The Gods themselves) che personalmente colloco sullo stesso piano de La fine dell'Eternità. Il romanzo, cosa rara per la narrativa asimoviana, presenta degli alieni, ma è soprattutto una matura riflessione sulla natura della scienza e sulla figura (le figure) dell'uomo di scienza.






Il curatore di antologie



Il pletorico scrittore fu anche un infaticabile curatore di volumi antologici. Di fantascienza in primo luogo, ma anche in questa attività Asimov spaziò in quasi ogni campo della narrativa. Da solo o più spesso in qualità di co-curatore insieme ad altri (in particolare l'amico Martin H. Greenberg, cui talvolta si aggiungevano ulteriori apporti) Isaac ha raccolto e presentato ai lettori in innumerevoli antologie una sceltissima selezione del patrimonio novellistico della sf angloamericana. Scelta ovviamente secondo i criteri suoi e degli altri curatori, ma l'eccellenza media delle loro scelte può essere facilmente verificata.


Il miglior risultato conseguito in questo campo resta, a mio giudizio, la serie delle antologie Le Grandi Storie della Fantascienza, curata insieme a Greenberg. Si tratta di venticinque volumi che, con criterio annuale, raccolgono i migliori racconti del periodo 1939-1963. Estrapolare un elenco di titoli migliori sarebbe comunque riduttivo; inoltre, perfino più dell'indubbio valore della gran parte dei testi, è la ricostruzione storica complessiva che emerge dai volumi a farne uno strumento indispensabile di conoscenza e apprezzamento della fantascienza classica.
Le copertine del primo e dell'ultimo volume de Le Grandi Storie della Fantascienza




Asimov fu il curatore delle prime raccolte dei racconti e novelle che ricevettero il Premio Hugo, il primo e ancor oggi il principale in ambito fantascientifico. Il volume qui a fianco in realtà è incompleto (stendiamo un velo pietoso sulle politiche editoriali italiane) mancandovi Il mondo della foresta di Ursula Le Guin (reperibile per esempio nel volume dei Classici Urania che presenta i Premi Hugo del biennio 1972-73).  


Alba del domani è un corposo volumone che raccoglie una selezione di racconti dei veri primordi (gli anni '30, in effetti...) della fantascienza delle riviste. Inevitabilmente anche i migliori esempi di quei tempi pionieristici sono spesso grezzi; la loro rozzezza è però compensata dalla gestazione evidente di quel patrimonio di idee e concetti che in seguito si disperderà nei mille fertili rivoli della fantascienza che giungono  fino a noi. Tra i racconti più notevoli, a mio parere, vi sono L'uomo che si evolse e Devoluzione di Edmond Hamilton; Tumithak dei corridoi e Tumithak a Shawm di Charles Tanner; Colossus di Donald Wandrei; Bivi nel tempo e Proxima Centauri di Murray Leinster; Il pianeta dei parassiti di Stanley G. Weinbaum; Passato, presente e futuro di Nat Schachner.  




Insieme a Greenberg e a Charles G. Waugh, altro frequente collega curatore, Isaac editò poi una serie di tre volumi antologici (Il Grande Libro della Fantascienza) ciascuno dedicato specificamente ai migliori romanzi brevi di un decennio (anni '30, '40 e '50). Nel primo volume vorrei ricordare, oltre a Bivi nel tempo già citato di Leinster, Questione di forma di Horace L. Gold; Chi va là? di John W. Campbell jr.; Dividi e domina di L. Sprague de Camp e Lupi dalle tenebre di Jack Williamson. Nel secondo, oltre a un'altra novella di Williamson, Le mani incrociate (poi espansa nel romanzo Gli Umanoidi), meritano particolare attenzione Nervi di Lester Del Rey (che diverrà il romanzo Incidente nucleare); Fra tutte le donne nate di Catherine L. Moore; Il Negozio delle Armi di Alfred E. van Vogt (punto di partenza di una serie di romanzi) e Killdozer! di Theodore Sturgeon. Nel terzo volume, infine, vorrei segnalare... di leggervi tutte le novelle :-)




Due delle più belle e interessanti antologie cui Asimov mise mano come curatore sono poi l'Antologia Scolastica (in seguito più correttamente rititolata Dove da qui?) che editò da solo, e Catastrofi! per la quale lavorò insieme a Greenberg e Waugh. Vale la pena sicuramente leggere tutti i racconti contenutivi, senza eccezioni.
  


Decisamente sfiziosa è l'antologia curata da Asimov insieme al solito Greenberg e a Joseph D. Olander il cui titolo originale è 100 Great Science Fiction Short Short Stories e che venne divisa in due volumi su Urania: 44 microstorie di fantascienza e Microfantascienza: altre 44 microstorie (vabbe'...). Alcuni dei brevissimi racconti sono davvero dei folgoranti gioiellini, e si tratta in ogni caso di una lettura allo stesso tempo rilassante e stimolante.



Una delle antologie più inaspettate che Asimov curò, insieme a Greenberg e Waugh, è certamente Hallucination Orbit - La psicologia nella fantascienza. Tra i racconti più interessanti del volume citerei La macchina del suono di Roald Dahl; Una rosa con un altro nome di Christopher Anvil; Girotondo dello stesso Isaac; Assalonne dei coniugi Henry Kuttner e Catherine L. Moore e L'uomo che non sapeva dimenticare di Robert Silverberg.


Vorrei chiudere questa rassegna asimoviana con un'eccezione, un volume che non è di Asimov né curato da lui. Ma a lui dedicato. In genere le antologie celebrative in cui dei colleghi incensano lo scrittore di turno con racconti ambientati nell'universo narrativo creato dal festeggiato lasciano il tempo che trovano. Questa antologia, curata da Sheila Finch in occasione del cinquantenario della carriera letteraria del Buon Dottore, è però una sorprendente smentita, e più di un racconto è valido di per sé. Vorrei citare almeno l'intenso L'ultima sfida di Pamela Sargent che apre il libro; La caduta di Trantor, di Harry Turtledove e Il presente eterno di Barry Malzberg, acutissima chiosa del racconto asimoviano E se...?.



Infine, una buona risorsa online su Isaac:
http://www.asimovonline.com/asimov_home_page.html