lunedì 17 agosto 2009

[fantascienza] I contemporanei - Impatto mortale (Hard landing - 1992-93) di Algis Budrys (1931-2008)


I lavori di Algis Budrys sono stati pubblicati con regolarità in Italia a partire dai primi anni '60, pochi anni dopo l'inizio della sua carriera letteraria, e dopo un racconto isolato nel 1954; Budrys tuttavia può essere poco conosciuto. In parte ciò si deve al fatto che non abbia mai scritto una serie di opere collegate; e d'altro canto Budrys è stato anche uno scrittore poco prolifico, soprattutto a partire dalla fine degli anni '60 (negli ultimi quarant'anni di vita pubblicò tre romanzi, tra cui il capolavoro Michaelmas, in italiano Progetto Terra). Tuttavia, Budrys è stato uno degli scrittori di maggior rilievo della sua generazione, molto apprezzato dai colleghi per le sue doti di autore, e se non ha acquisito una vasta fama forse è anche perché è uno scrittore complesso, dallo stile molto elaborato e poco appariscente, il che risulta in un approccio non popolare al genere, e comunque più intellettuale della gran parte degli scrittori americani del suo periodo.

Impatto mortale è il suo penultimo romanzo. A quel che ho raccolto in rete, fu dapprima edito sulla rivista Fantasy&Science Fiction nel 1992 e successivamente in volume nel 1993; quello stesso anno apparve in Italia, pubblicato nel volume Urania Millemondiestate 1993. Di dimensioni modeste, il romanzo è un ritorno a molte tematiche delle origini di Budrys, e una profonda riflessione sull'identità, individuale, psichica e sociale. Il tema dell'identità è centrale in tutta la prima parte della carriera di Budrys, conseguenza della sua storia personale: lo scrittore era un autentico deraciné. Si chiamava Algirdas Jonas Budrys, era nato da genitori lituani in una regione della Germania oggi in territorio russo, ed emigrato negli Stati Uniti, dove poi visse sempre, all'età di cinque anni. Emblematico in tal senso è il romanzo del 1958 Incognita Uomo (Who?). Per la trama si veda: http://en.wikipedia.org/wiki/Who%3F_(novel)

Impatto mortale parte come un thriller, e del thriller e della spy-story manterrà la tensione fino alla fine, con pochissimi cali in sequenze più distese e narrative. Impostato come un reportage redatto da uno scrittore nel quale Budrys identifica sé stesso firmando A.B. le parti autografe, si apre sull'apparentemente banale caso di un uomo morto per cause forse accidentali. La reale identità dell'uomo assume rapidamente connotazioni misteriose, e il primo ansiogeno capitolo si chiude sulla prima nota genuinamente fantascientifica: a quanto pare si ha a che fare con un alieno. Di qui, il romanzo si svolge sempre più approfondendo e rendendo complessa la situazione di partenza con il sapiente uso alterno di sequenze in flashback, inserti pseudodocumentali e parti ambientate nel presente narrativo. Lo stile di Budrys è lento e compassato, a tratti faticoso, ma comunque avvincente: la trama si arricchisce via via e con essa monta l'interesse nella lettura. Gradualmente, il lettore è portato a conoscenza che Sealman/Selmon, il morto all'inizio del romanzo, non è il solo alieno giunto sulla Terra. Uno dopo l'altro, Budrys introduce gli altri tre personaggi alieni (e alcuni umani di complemento), e nelle "parole" dei quattro extraterrestri ricostruisce l'evento drammatico che li ha fatti precipitare sul nostro pianeta e la vita che da allora hanno condotto su di esso.

L'alieno è certo uno dei grandi temi della fantascienza, ma il modo in cui Budrys qui lo sviluppa è peculiare. Privo in sostanza di vera e propria azione, thriller "burocratico" che arriva a saldarsi con la storia americana e i suoi meccanismi di potere, il romanzo ha la sua chiave di volta nella descrizione analitica e acutissima degli alieni, o più precisamente dell'alienità. Di sequenza in sequenza, di pagina in pagina, Budrys trasforma quelli che inizialmente erano gli alieni - o meglio un Alieno Indifferenziato, un Altro sconosciuto e statutoriamente inconoscibile, forse buono o forse cattivo; sicuramente da temere - in quattro personalità fortemente distinte, perfino idiosincratiche. Olir Selmon, Ditlo Ravashan, Hanig Eikmo e Dwuord Arvan sono dunque i protagonisti di un dramma identitario, di una ricostruzione minuziosa delle sensazioni, aspirazioni, moventi, passioni, paure, ossessioni e quant'altro dei profughi di ogni tempo e luogo. Degli sradicati come Budrys. Per nessuno di loro la decostruzione dell'identità originaria e la ricostruzione dell'identità terrestre sarà uguale o anche solo simile a quella di uno degli altri. Ciascuno ha strategie e obiettivi ben differenti. L'illusione dell'Altro-Da-Noi come serie infinita di esseri tutti uguali è smontata pezzo per pezzo: esistono gli individui, e ogni individuo è diverso da quelli che con lui condividono la storia, le conoscenze, perfino le ideologie. Ciascuno di loro - e ciascuno in modo accuratamente diverso e realistico - colpisce per l'alienità e l'umanità contemporaneamente. Ci appaiono diversi da noi e tanto simili a noi. Perché ciascuno di noi è tanto diverso e tanto simile a noi. Siamo circondati di una alienità che ci è così familiare, e di una familiarità che ci è del tutto aliena. Budrys lo mostra senza fronzoli letterari, ma con una narrazione letterariamente rigorosa e raffinata, giungendo a un risultato stilistico e di contenuti non lontano dai suoi lavori più noti.

Gli elementi più genuinamente spionistici e thriller si articolano in quella che non è tanto una sottotrama laterale, quanto, paradossalmente, la trama vera e propria del romanzo, per quanto essa risulti secondaria rispetto alla analisi psicologica dei quattro personaggi alieni. Budrys li sviluppa nella elegante ricostruzione dall'interno di una vera e propria teoria del complotto in atto, che andrà a concludersi, con beffardo sarcasmo, sull'evento par excellence della politica USA degli anni '70: lo psicodramma del Watergate.

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