La pubblicazione italiana di Stelle morenti risale al 2000, l'anno seguente quella francese. Erano i bei tempi, tra la fine degli anni '90 e i primi del nuovo decennio, nei quali l'orizzonte fantascientifico dell'editore Fanucci non si era ristretto alla pubblicazione fin anche della lista della spesa di Philip K. Dick, e solo di Philip K. Dick. Meritorio, ma limitante. E limitato al passato. Per il resto, oggi pubblica cavolate per il 90%. Erano i tempi nei quali la Fanucci è stato forse il miglior editore italiano di sf. Certo le edizioni erano a dir poco discutibili - cura editoriale pressoché assente, traduzioni non poco sciatte -, però il materiale presentato era spesso molto interessante, e anche coraggioso, come è il caso di questo grosso volume; l'anglofilia dei lettori italiani di fantascienza è tutt'ora un limite forte: Jean-Claude Dunyach e Ayerdhal (nom de plume di Marc Soulier) sono da molti anni tra i nomi di maggior prestigio di una fantascienza d'oltralpe descritta in piena fioritura (e di cui solo Fanucci presentò allora qualcosa), e questo romanzo è un capolavoro; ma in Italia è giunto pochissimo di quanto da loro scritto.
Stelle morenti è in prima istanza una complessa e perfino difficile space-opera, e uno squarcio di storia futura. Anzi di una pluralità di storie future. Si presenta dunque in modo molto classico. La sua complessità stilistica e la sovrastruttura scientifica si approfondiscono e completano tuttavia in autentica riflessione filosofica e sociologica sull'umanità e sulle direttrici del suo sviluppo. Sullo sfondo di una teoria cosmologica grandiosa, deus ex machina dell'opera, che per l'audacia dello scenario avrebbe fatto la felicità dei lettori americani degli anni '30 e dei loro autori preferiti - da Edmond Hamilton a "Doc" Smith, da John Campbell a Jack Williamson - i due scrittori francesi innestano e innescano uno studio psicologico e antropologico fin troppo minuzioso e spassionato. Se il manifesto del romanzo potrebbe essere quello che indicavo, il suo legato finale è sicuramente il riconoscimento e l'accettazione delle differenze e delle diversità. Individuali e di gruppo. Riconoscimento e accettazione pure dell'esistenza di una conflittualità inevitabile ad esse legata. Ma riconoscimento anche della necessità di trascenderle sulla base di una necessaria collaborazione. Quanto meno, o forse solo, per obiettivi limitati e specifici: al minimo per non scannarsi fino all'estinzione. Apprendere insomma a gestire la conflittualità in modo sano, convivendoci. Meglio ancora: con-vivendoci. Ma riconoscimento anche della forza dell'istinto primario - che sia amore o solo attrazione sessuale (se vi è poi reale differenza) - sempre in grado di travalicare i limiti culturali posti dall'uomo, in ragione e in forza dell'imperativo biologico da una parte, e dall'altra di quella curiosità intellettuale che è il motore alla base della cultura umana. Per lo meno di una cultura vitale, che faccia proprio il manifesto del romanzo. Alla base di tutto questo vi è un solido realismo; verrebbe da dire un razionale realismo molto francese.
A diversi secoli dalla nostra epoca, intuitivamente una decina, l'umanità è dispersa nella galassia. Una dispersione che è prima fisica, ma è culturale molto di più. Un'umanità che si è irrigidita, sclerotizzata in quattro Rami superstiti, ciascuno con la propria ferrea organizzazione sociale, esclusivista e chiusa. Da molti secoli, gli uomini hanno a che fare con l'altra specie intelligente della Galassia, gli AnimaliCittà. Organismi colossali che sanno spostarsi nello spazio in modo quasi istantaneo sfruttando i nodi del Ban (la struttura dello spazio-tempo dell'universo), e che con l'umanità hanno intrecciato una complessa serie di relazioni. Più precisamente alcuni AnimaliCittà hanno intrecciato tali relazioni con alcuni Rami; e ancor più specificamente con alcuni esseri umani. Relazioni nelle quali non è estranea una compnente erotica. Longevi fin quasi ad apparire eterni per i parametri umani, gli AnimaliCittà non hanno ispirato la Ramificazione, ma hanno quasi imposto la dispersione dei Rami, la Diaspora, al fine di evitare un'estinzione completa dell'umanità dopo che le guerre tra i Rami avevano portato alla distruzione di uno di essi. Per viaggiare a distanza ultraluce gli uomini hanno bisogno degli AnimaliCittà. La relazione instauratasi non è però risolvibile in una sorta di tutela paternalistica da parte delle gigantesche creature. Non fosse che solo una frazione quasi marginale di esse pare occuparsi degli uomini, e instaura rapporti preferenziali con solo una frazione della popolazione umana; e che due rami umani su quattro hanno soltanto rari e occasionali rapporti con le Città. Noone, Turquoise, Nostra Madre delle Ossa, Lapis Lazuli - le Città che si affermano nelle pagine del romanzo - sono personaggi complessi come e più di quelli umani; la loro alienità si intesse a volte di sentimenti lontanamente umani, sfociando in una psicologia coerente seppure di non facile accessibilità: i moventi degli AnimaliCittà appaiono misteriosi e alieni, come devono essere; ma ciascuno di loro ha una propria condotta e una propria risposta agli eventi, e tutti insieme hanno una precisa biologia da osservare e che determina i loro comportamenti. Come è per noi esseri umani.
I quattro Rami umani (sopravvissuti) rappresentano altrettanti grandi orientamenti psicologici. I Meccanicisti sono potenti tecnocrati bellicosi, le loro mire egemoniche mettono in reale pericolo l'oikoumene complesso e precario di Umanità e AnimaliCittà; gli Originari sono i custodi di una tradizione che è più che conservatorismo: la personae, la tecnologia attraverso la quale gli Originari si procurano una continuazione fantasmatica della vita dopo la morte è qualcosa più di una tecnologia, è un'ipostatizzazione del passato; gli Artefattori sono anarchici ed ecologisti, arditi sperimentatori sociali e biologici, pacifisti che all'occorrenza combattono come truppe scelte; i Connessi vivono in rete, hanno rinunciato a ogni idea di privacy, e anzi senza il contatto continuo e pervasivo con le menti di tutti gli altri la loro coscienza non può che collassare: la loro società reticolare è ormai fragilissima, il loro stesso livello di complessità li condanna. Tutto ciò, ovviamente per sommi capi.
Quando i grandi AnimaliCittà indicono un Ricongiungimento, il periodico ritrovarsi dei Rami attraverso una sorta di conferenza di "ambasciatori", chi più e chi meno essi innescano con cosciente incoscienza un pericoloso jeu au massacre di cui conoscono i termini iniziali ma del cui esito possono soltanto sperare.
Gli autori innescano a loro volta una macchina narrativa elaborata e inesorabile, partendo dalla presentazione delle varie culture e dei vari personaggi e portando lentamente questi ultimi a incontrarsi, scontrarsi, conoscersi, disconoscersi, interagire e contrapporsi. Tra loro e con le Città. E' privilegiata l'analisi dei rapporti di Nostra Madre, la Città albina e invalida, con gli Originari Gadjio e sua figlia Marine, e in seguito con Erythréé degli Artefattori; così come della stessa Erythréé e di sua madre Tachine con Lapis Lazuli prima e Turquoise in seguito: sono il motore centrale della narrazione, insieme a quelli che i personaggi dei vari Rami svilupperanno tra loro: il Meccanicista Tecamac con Erythréé e la Connessa Nadiane; Eythréé con Nadiane e con Marine; Tecamac con Marine; Gadjio e il Caronte, il leader degli Originari; e quest'ultimo che intesse da lungo tempo rapporti segreti e interessati con i vertici del Meccanismo. Ovviamente Tachine con Erythréé, una delle situazioni di conflitto/attrazione narrativamente più ricercate e riuscite. Resta più sullo sfondo la relazione tra il Caronte e Noone, la più antica delle Città. E' una subalternità narrativa che cela la centralità della strategia di Noone. E' il rischioso gioco di Noone, che non spoilero, a fare di questo Ricongiungimento un evento completamente nuovo nella storia dell'universo cambiando in tavola le carte del cosmo.
Sia i personaggi umani che le loro Società che l'umanità tutta non potranno che uscire cambiati dall'esperienza del Ricongiungimento; senza illusioni o forzature idealizzanti o moralistiche, ma sulla base molto razionale che conoscere è un passo verso la comprensione, al di là di quelle che sono le differenze. La scommessa della veneranda Noone, basata su quella che non è altro se non una lontanissima, leggendaria reminiscenza cosmologica, realizza il manifesto del romanzo, indicando che il cambiamento non è un'alternativa alla conservazione, ma è la sola alternativa al declino e alla morte. Saper mutare è realizzare il nostro programma biologico, trascendere il nostro bisogno culturale di staticità. Una scommessa non facile, che o si vince o si perde, ma non si pareggia.
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